Bersani nella morsa di zombie, fasssisti e tortellatori

“Fasssisti”. Non sono la corrente di Piero Fassino, né tantomeno i sodali a Stefani Fassina. I fasssisti contro i quali ha tuonato Pier Luigi Bersani sono i pasdaran del Movimento cinque stelle di Beppe Grillo. Che da mesi attaccano il segretario del Partito democratico sulla rete con toni non proprio da convento delle Orsoline.
E anche – non tutti se ne sono accorti – gli strateghi della comunicazione di Antonio Di Pietro, che qualche settimana fa hanno realizzato un video con, tra gli altri, Bersani in versione morto vivente.

“Vengano via dalla rete, vengano qui a dircelo”, ha proseguito il segretario, facendosi bacchettare le mani dalla generazione dei veltroniani, quelli convinti (non a torto) che si possono veicolare contenuti e attrarre consenso anche attraverso la rete. “Consigliato forse male da qualche zelante del tortello magico, finisci per disprezzare o considerare irrilevante e virtuale quel che si muove sul web”, gli ha scritto in una lettera aperta il neodeputato Democratico Mario Adinolfi.

Se il segretario è stato veramente consigliato da magici tortellatori, questi ultimi devono essere assidui frequentatori delle osterie della bassa padana. Va bene l’ambiente amico di quel di Reggio Emilia, va bene l’irriducibilità dell’eloquio dialettale, va bene la calura cattiva consigliera. Ma il gesto da bullo con la manina, come a dire “vieni qui che ti spacco la faccia” è sembrato troppo non solo all’immancabile oppositore interno Arturo Parisi, ma anche ad una pasionaria di lungo corso qual è Deborah Serracchiani.

Qualche osservatore ha parlato di una tattica studiata a tavolino. Dopo mesi di silenzio di fronte alle provocazioni dei grillini, Bersani ha calato il fendente, salvo poi ritirarsi dalla rissa mediatica, inviando in prima linea i suoi. Un segno per mostrarsi forti di fronte al proprio elettorato e non prestare il fianco allo stillicidio dei seguaci del comico genovese, hanno scritto.

Una tesi in realtà ardita. Sono mesi che largo del Nazareno è preoccupata che il fenomeno grillesco – un tempo comoda zanzara intorno al corpaccione pigro del berlusconismo – dreni una caterva di voti al Pd che stenta a trovare una propria identità. Così Bersani è un po’ di tempo che utilizza nei confronti di Grillo una “cura medievale” (verbalmente parlando, s’intende). A fine aprile era quello che aveva “sdoganato evasori e mafiosi”, e un “qualunquista come Berlusconi”. A maggio prima un populista “che faceva finta di partire a sinistra per poi spuntare a destra”, quindi  è stato il destinatario dei voti degli sfascisti del Pdl. Toni sobri a giugno: “Niente primarie per Grillo, perché i suoi contenuti sono incompatibili con quelli del Pd”.

Quello di Bersani, più che una strategia oculata, è sembrato un riflesso nervoso. Nemmeno dopo il misero crollo della maggioranza berlusconiana il principale partito d’opposizione è stato in grado di catalizzare un consenso tale da potersi presentare serenamente come alternativa di governo nel paese. Ritrovandosi oggi invischiato nello stucchevole balletto sulle alleanze, con il timore che il M5s gli sfili via più schede di quanto non ci si poteva immaginare lo scorso novembre.

Una sclerosi che ha portato Bersani, qualche ora dopo aver urlato contro i fassisti, a dichiarare: “Non do del fascista a nessuno, inutile che facciano tutto questo chiasso e questi insulti perché so benissimo che il partito nazionale fascista non c’è più”.
Chiaro no?

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