
Caro Berlusconi, va bene dare battaglia su Imu e Iva, ma qui c’è da scrivere la storia
Silvio Berlusconi ogni tanto ricorda il borghese gentiluomo molieriano che aveva parlato in prosa tutta la vita ma senza sapere di farlo. Così il gran capo carismatico del centrodestra appare talvolta uno che ha fatto la storia d’Italia – rappresentando forze sociali fondamentali, resistendo a tentativi oligarchici e di eccesso di influenze straniere, e tenendo aperti spazi rilevanti di libertà – ma senza mai elaborare l’impresa. Benissimo, però una politica istintiva arriva fino a un certo punto, poi la storia propone nodi che se non sciolti consapevolmente strozzano anche i più forti e fortunati. E in questo senso vanno evitati convincimenti come quelli dell’Arnold Toynbee bambino che, accomodatosi sulle spalle del padre, assisteva al giubileo della Regina Vittoria e credeva – di fronte all’esibizione della potenza imperiale – impossibile qualsiasi declino e che dunque «the history» fosse «something unpleasant that happens to the other people» qualcosa di spiacevole che capita agli altri. Invece i processi storici sono ineludibili: o li affronti tu o loro affrontano – in modo definitivo – te.
Il centrodestra ha alle spalle, oltre all’esperienza del ’94 che per brevità può considerarsi conclusa in sé, due fasi su cui riflettere: gli anni 2001-2006 e gli anni 2008-2010. Nella prima fase positiva di governo, Berlusconi stabilisce rapporti solidi con Bush, Blair e Aznar, i suoi antagonisti continentali (Schröder e Chirac) vengono sconfitti, ma nonostante una certa abilità di iniziativa non si costruiscono equilibri né europei né internazionali che aiutino a consolidare un quadro interno sempre vacillante per la crisi dello Stato aperta con il ’92. Così tutti i tentativi riformisti avviati grazie un po’ alla Confindustria damatiana, un po’ alla Cisl, alle aperture della Mediobanca di Vincenzo Maranghi si dileguano. Tra gli industriali (grazie anche alla disattenzione berlusconiana) riprende centralità la Fiat guidata da Luca Cordero di Montezemolo che prepara la nuova (sia pur traballante) vittoria di Romano Prodi.
Pochi anni dopo, con in Francia e in Germania Nicolas Sarkozy e Angela Merkel assai più simpatetici dei predecessori, si apre una fase nuova per il centrodestra con la Confindustria marcegagliana, la Cisl bonanniana, Mediobanca presieduta da Cesare Geronzi: un terreno che consentirebbe un’iniziativa riformista abbastanza incisiva. Però nel giro di due anni, quando un’amministrazione americana indecisa a tutto sceglie di destabilizzare il Mediterraneo e Parigi e Berlino le sacrificano Roma senza battere ciglio, la capacità di reazione berlusconiana è quasi pari allo zero, tra un certo clima da ozii di Capua e l’idea che basti dividere i propri principali collaboratori e alleati per vivere tranquilli: senza comprendere come accanto alla competizione interna, pur talvolta utile, ci si deve porre anche il problema di come unificare le forze che si dovrebbero guidare.
Ritenere che le recenti vicende nazionali possano essere rimosse dal blocco sociale che si ha rappresentato, è illusorio. E basta considerare che cosa è successo nel centrodestra per capirlo: dopo avere ceduto al commissariato dall’estero governo Monti, i consensi sono calati al 20 per cento, la geniale campagna berlusconiana li ha riportati al 30 (20 punti circa sotto il 2008), la capacità di indicare temi concreti e insieme assumersi responsabilità nazionali ha ridato fiato al centrodestra che è arrivato nei sondaggi quasi al 36-37 per cento, ma quanto sia serio e radicale lo sbandamento del blocco sociale fondamentale è reso con evidenza dall’ultimo voto amministrativo, con la perdita di certi comuni imperdibili dell’Alta Brianza o di Treviso.
La pacificazione non è una favoletta
Questa è la realtà. E sperare di affrontarla limitandosi a proporre uno schieramento che contrasti solo il peggio (tasse, subordinazione internazionale, disgregazione sociale) è velleitario. Va benissimo dare identità al proprio blocco sociale con battaglie sull’Imu e sull’Iva, ma se non si spiega come si vuole stare in Europa, come si vuole collegare libertà a tradizione (secondo l’ispirazione di tutti i migliori conservatori nel mondo), su come in modo articolato si vuole riformare lo Stato (e in questo quadro la giustizia senza affidarsi a emendamenti improvvisati), se si dice che cercare la pacificazione è una favoletta, significa prepararsi al suicidio: oltre una certa misura una società non tollera lo “stato di guerra”; o sei in grado di risolvere tu la questione o si libereranno di te come ostacolo insopportabile alla vita normale della gente normale.
Ahimè! Affrontare una battaglia complessa e non semplificabile richiede in questo senso “idee”, che come ricordava don Benedetto non sono caciocavalli appesi a tua disposizione: vanno elaborate, meditate, discusse. Non è sbagliato che i partiti siano leggeri. Ma questo è comunque il momento di qualche “pensiero” pesante che non spunterà fuori da solo senza qualche sede dove organizzarlo.
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3 commenti
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Pur dando atto all’ articolista di avere lasciato un pò da parte l’ abituale faziosità di questo giornale, dubito che chi leggesse questo articolo digiuno di questi ultimi ventanni di storia Italiana, possa farsi un’ idea di quello che è successo.
Purtroppo parlano i fatti.
L’ Italia è andata sempre più declinando, nessun parametro comparato oggi rispetto a ventanni fa è migliorato.
Anche rispetto agli altri Paesi con cui ci siamo sempre confrontati, il nostro declino è terribile.
A dispetto delle “brillanti operazioni delle forze del’ ordine” vantare nelle TV, le delinquenze organizzate sono più vive che mai, la corruzione è molto vicina ad essere legalizzata per quanto ha ormai permeato il mondo politico che dovrebbe legiferare per debellarla.
Lo stesso mondo Politico è infestato come non mai da cialtroni arrivati al potere grazie alle nomine di chi ha voluto questa legge elettorale e pone tutti gli ostacoli per non modificarla.
Il Popolino viene ammaestrato sul fatto che tutti i problemi ormai incancreniti si risolverebbero facendo risparmiare 200 E di IMU ai meno abbienti e 1000 E ai più ricchi.
Naturalmente si finge di dimenticare che l’ IMU ex ICI, ai meno abbienti l’ aveva già tolta Prodi.
Corruzione, nepotismo, coi figli dei potenti, anche quando palesemente incapaci ai massimi livelli di politica ed Economia.
I giovani migliori costretti a cercare all’ estero ciò che in Italia non c’ è più.
Se il “bravo giornalista” avesse parlato anche di queste cosette, avrebbe inquadrato meglio l’ Italia di oggi.
D’accordo in linea di massima con l’articolo, ma occorre essere più duri sulla pagliacciata del “partito leggero”, sotto cui si nasconde in modo demagogico soltanto la sete di potere del satrapo di Arcore, che non tollera altro che lustrascarpe cooptati senza luoghi di discussione, anche perché ormai la gente li scuoierebbe vivi.
Articolo troppo leggero e benevolo: non dice in modo chiaro e univoco il piu’ brutto errore di B, cioe’ il fatto di aver avuto in mano l’Italia per quasi 10 anni e non averla voluta riformare davvero; x tralasciare di cio’ che causera’ la rovina del cdx, cioe’ il non aver voluto avviare una crescita di una classe dirigente pensante, una mentalita’ che sappia distaccarsi dal Capo carismatico indiscusso. Ma del resto, se dominano i Bondi, i Cicchitto ed i Brunetta, squallidi lacche’, non poteva che finire cosi’. B ha grossissime responsabilita’ nello sfascio del paese, ormai non serve + a niente fare il bomber in campagna elettorale