
Berlusconi e il Pdl: resistere, mollare o sparigliare? Parlano i sondaggisti
Pubblichiamo l’articolo uscito su Tempi n. 39/2011
Venti giorni fa era venuta a galla anche l’ipotesi del baratto. A formularla ci aveva pensato il filosofo dell’Udc Rocco Buttiglione: «Berlusconi passi la mano, lasci il governo e i suoi processi penali verranno bloccati. Tutti». Un salvacondotto, un lodo, un accordo, insomma. Se anche l’indicibile – l’inciucio – arriva sulle pagine dei giornali e non rimane nei corridoi del Transatlantico di Montecitorio significa che la rotta ormai è persa. Che deve fare Silvio Berlusconi? Dimettersi, resistere, “tirare a campare” – che è sempre meglio che “tirare le cuoia” come diceva Andreotti – nominare suo successore, Alfano, Tremonti, Formigoni, Alemanno? Andare alle elezioni nel 2012, indire le primarie, lasciare che la sua creatura Pdl inizi a camminare con le sue gambe? Completare la legislatura fino al 2013 e «se vogliono mandarmi a casa, mi sfiducino in aula»?
Il sistema italiano è berlusconi-centrico. Finché sta fermo lui, sta fermo tutto. Sia a destra – per quel che riguarda la successione – sia a sinistra – per quel che riguarda l’alternativa – tutto ristagna. Dalla sua, il premier ha più di una ragione per non mollare: ragioni di stabilità economica che non consentono di lasciare la nave Italia in balia delle burrasche finanziarie e ragioni non trascurabili di ordine simbolico-personale (mollare perché assediato da indagini giudiziarie con corollario porno-mediatico sarebbe un trauma in primis per lui, ma in prospettiva per qualsiasi successore).
D’altro canto, la vaghezza della mission politica, ancor più che l’insipienza di certe misure della manovra, gravano sul suo elettorato come pesanti fardelli. Lo certifica anche Antonio Noto, alla guida del centro di ricerche Ipr marketing: «La crisi di Berlusconi non è stata repentina, ma continua. A partire dal caso Noemi e proseguendo poi col caso D’Addario fino agli ultimi scandali, il consenso nei confronti del premier è andato calando di mese in mese. Si è passati da una punta massima del 63 per cento agli attuali 25 punti. Il partito non sta meglio. Ha perso 13 punti, scendendo dal picco dei 38 alle ultime politiche agli attuali 25». Secondo Noto la crisi economica e l’offuscamento dell’immagine pubblica del premier (causa bunga bunga et similia) hanno inciso in egual misura: «Il suo elettorato vive un momento di disamoramento». Anche Nicola Piepoli, alla guida dell’omonima società, ha rilevato un fenomeno simile, anche se con qualche distinguo: «Crisi e giudizio sulla vita personale di Berlusconi sono entrambi cause del calo, ma io do molto più peso al primo fattore. L’elettore berlusconiano guarda molto più al portafoglio che alla questione morale. A mio avviso il Pdl e il suo capo perdono consensi per le stesse ragioni per le quali li guadagnavano e cioè i conti in tasca, le tasse, il Pil. Ora, sebbene la situazione economica del paese non sia peggiore di quella di un anno fa, è subentrata la paura di un periodo recessivo. È in base a questo sentimento che l’elettore del Pdl si sente spaesato». Certo, aggiunge Piepoli, anche le vicende legate alle serate del premier hanno il loro peso: «Un peso per ora relativo, ma comunque un peso. Per quel che abbiamo potuto appurare con le nostre indagini, oggi l’elettore pidiellino discute di questi comportamenti. Non siamo ancora giunti al momento dell’abbandono, ma, diciamo così, tale stile di vita si aggiunge al novero delle perplessità sull’attuale esecutivo». Perplessità che con gli ultimi richiami del cardinale Angelo Bagnasco all’assemblea Cei «si sono aggravate».
Ragiona Noto: «Berlusconi ha sempre avuto un consenso simile al tifo. E chi tifa fa molta fatica ad abbandonare la sua squadra del cuore. Può essere amareggiato, ma non cambia casacca, di solito si astiene». Ora, aggiunge il direttore di Ipr Marketing, siamo quasi giunti sul crinale «del non ritorno». Lo scontento è profondo e poco ci manca che si tramuti in risentimento: «In definitiva potremmo dire che l’elettore berlusconiano difficilmente passerà a sinistra. Forse, in assenza di alternative, potrebbe trasmigrare verso il centro, anche se, date le condizioni attuali, il porto più probabile sembra quello dell’astensione». Che fare, dunque? In un paese ideale dove la politica sapesse sedere a capotavola, non sarebbe permesso al potere giudiziario tutto quel che oggi gli è permesso. E ai suoi possibili sbandamenti si saprebbe come reagire, in ultima ratio, anche con escamotage come quelli proposti da Buttiglione.
La sua golden share
Ma ormai la storia del ciclo biopolitico berlusconiano sembra giunta troppo in là per prevedere happy end o uscite di scena incruente. A meno che il fattore di maggior attrito non diventi il miglior combustibile per dare un’accelerazione agli eventi. Cioè se fosse il Cavaliere a guidare il cambiamento anziché subirlo. È quello che, in qualche modo, sostiene Alessandro Amadori, autore di svariati saggi sul premier – l’ultimo si intitola Madre Silvio – e direttore dell’Istituto Coesis Research: «Berlusconi dovrebbe abbandonare il Pdl ad Alfano o a Formigoni e farsi la sua lista personale. Varrebbe intorno al 12 per cento». Sostanzialmente Amadori rovescia l’assunto secondo cui nel campo berlusconiano “tutto è perduto” e cerca invece di guardare quali siano le specificità e i punti di forza dell’elettorato di quell’area. «Semplificando, potremmo dire che tale campo è composto da diversi sotto-elettorati: l’area dell’ex Dc di destra, i socialisti, conservatori moderati e altri. Tutte queste componenti, in un futuro, continuerebbero a dare la loro fiducia a chi fosse capace di incarnarne gli ideali e gli scopi. Ma quel che esiste oggi in quel campo è anche un elettorato specificatamente berlusconiano. È un elettorato ad personam, composto da apostoli del premier. Sono legati solo a lui, sono allergici a tutti gli altri, non accettano alcuna mediazione che si frapponga fra loro e il leader, sono disposti a perdonarlo sempre. Anzi, più lo braccano e più gli si stringono intorno. È un elettorato intimo, personale, che è il vero patrimonio, il “tesoretto”, su cui Berlusconi dovrebbe investire per la sua riscossa». Cosa dovrebbe fare esattamente il premier? «Non esiste altra exit strategy che mollare il Pdl, fondare la “Lista Berlusconi” e, forte di un consenso non indifferente, ritornare sul proscenio politico per giocare una partita diversa, ma da una posizione non meno determinante».
«La sconfitta di Berlusconi – prosegue Amadori –, che le elezioni siano domani, nel 2012 o nel 2013, è facilmente preventivabile». Perché non anticipare gli eventi, perché non sparigliare? «I suoi elettori che non lo hanno abbandonato nemmeno in questi mesi sono la sua golden share. Non è finito politicamente, può ancora risorgere. Il problema è che nemmeno lui ne è consapevole, è come l’Orlando di Ariosto: si è momentaneamente allontanato da se stesso, quasi vittima di un incantesimo che lui stesso ha generato. Occorre che qualcuno lo vada a riprendere sulla Luna e lo riporti sulla Terra».
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