La preghiera del mattino

Se anche Berlino, patria dell’ambientalismo, boccia l’ideologia green

Manifesto a Berlino in vista del referendum sulla neutralità climatica
Manifesto a Berlino in vista del referendum del 26 marzo sulla “neutralità climatica” (foto Ansa)

Su Dagospia si riprende un articolo di Agenzia Nova dove si scrive: «“Due paesi in grado di dominare il mondo – Stati Uniti e Cina – si affrontano come ultimi contendenti. Sono governati da sistemi interni incompatibili”, ha detto Kissinger, secondo cui una guerra tra Washington e Pechino “potrebbe rovesciare la civiltà, se non addirittura distruggerla”».

Mentre non si può non contrastare il disperato tardo imperialismo grande russo che ha aggredito l’Ucraina, non si può neanche non avere consapevolezza del contesto in cui si colloca l’appoggio a Kiev e l’inevitabile scelta di sconfiggere Mosca.

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Su Strisciarossa Paolo Soldini scrive: «Va bene, diciamo che nel loro incontro a latere del vertice di Bruxelles almeno non hanno platealmente litigato e che su qualche tema un minimo di accordo è stato recuperato. Il che peraltro non è detto che sia necessariamente un bene perché il presidente francese avrebbe trovato, si dice, un certo ascolto dall’italiana sul proposito di “riabilitare” il nucleare tra le fonti di energia sostenibili e forse sarebbe il caso di chiedere qualche ulteriore spiegazione sulle “iniziative comuni” che si starebbero immaginando tra Parigi e Roma in merito alla crisi tunisina. Ma sul capitolo davvero decisivo sul quale si dovrebbe ricostruire l’intesa tra l’Italia e la Francia, la riforma del Patto di stabilità, che è nell’interesse primario di tutti e due i paesi, la posizione del governo Meloni è drammaticamente indebolita dal riufiuto di ratificare il Mes ormai del tutto insostenibile, a meno di non mettere nel conto una rottura drammatica con le istituzioni di Bruxelles e con la Banca centrale europea oltre che la perdita di fiducia che già c’è stata. La necessità imposta dal tener buono Salvini ma al quale Meloni va cercando cervellotiche scusanti come la necessità di approvare prima l’Unione bancaria, come se proprio l’esistenza del fondo salvastati non fosse uno degli elementi necessari per farla andare avanti, è un altro fattore di debolezza dell’Italia che, se non verrà superato presto, potrebbe metterci in gravi difficoltà».

Soldini, in grande sintonia con una Elly Schlein impegnata ad applaudire una Bruxelles che avrebbe lasciato “con un pugno di mosche in mano” Giorgia Meloni, canta le lodi di un Consiglio europeo che avrebbe isolato l’Italia. Si esprime nell’analisi di questo giornalista, pur colto e preparato, tutta la disperata speranza che un mondo in cui la burocrazia europea avrebbe garantito un sicuro progresso, sia ancora vitale e decisivo. In realtà siamo di fronte a una fase di enormi sbandamenti di questo “europeismo” (le fragilità di Berlino e Parigi, le liti tra Ursula von der Leyen e Charles Michel, quelle tra la Spd e i Grünen, i nuovi poli che si formano nell’Unione da quello scandinavo baltico a quello centroeuropeo, il crescente definirsi di un fronte popolari-conservatori, le improvvisazioni di Christine Lagarde mentre Deutsche Bank lancia segnali di crisi, la caduta dell’egemonia francese in Africa e l’avanzata di quella cino-russa, i gravissimi sommovimenti in Medio Oriente, le tentazioni pro Pechino e i rapporti non semplici con Washington). Parte rilevante di questi sbandamenti ha le sue basi nella scelta della Germania prima di Gerhard Schröder e poi di Angela Merkel di sostituire innanzi tutto nei rapporti con Mosca e poi nel modo di esprimere l’egemonia tedesca su Bruxelles, di sostituire la politica con mercantilismo e tecnocrazia. Chi si cura essenzialmente delle “debolezze” dell’Italia invece di concentrarsi sul quadro preoccupante dell’Unione derivato dalle scelte storiche sbagliate, merita di essere definito “sonnambulo” come quegli inglesi, tedeschi e francesi che portarono l’Europa alla Prima Guerra mondiale ponendo le basi per le tragedie novecentesche.

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Su Startmag Pierluigi Mennitti scrive: «È fallito a Berlino per mancato raggiungimento del quorum il referendum proposto da sigle ecologiste che chiedeva di anticipare di 15 anni, dal 2045 al 2030, il raggiungimento dell’obiettivo di città climaticamente neutra. Secondo i dati forniti dall’ufficio elettorale, i sì sono stati 442.210, mentre il quorum da raggiungere era di 607.518 voti favorevoli (pari a un quarto degli aventi diritto al voto che erano 2.430.072). Sono mancati oltre 150 mila voti, non pochi. A differenza di quanto avviene in Italia, il quorum richiesto per la validità del referendum non era quello del superamento del 50 per cento dei votanti: era necessario che i promotori riuscissero a mobilitare per il sì un quarto dell’elettorato cittadino. Questo non è avvenuto».

Un osservatore particolarmente acuto come Mennitti riporta una notizia sorprendente di una Berlino già patria dell’ambientalismo che rifiuta di allinearsi all’ecologismo più radicale. Ecco un fatto su cui sarebbe opportuno concentrarsi per capire che cosa sta succedendo e che cosa potrebbe succedere in Germania.

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Su Formiche Giovanni Orsina dice: «È evidente che, se in Spagna dovessero vincere i popolari e fare il governo con Vox, si avrebbe un ulteriore elemento di spostamento del baricentro europeo verso quel tipo di soluzione: è sicuramente un parametro da tenere sotto osservazione».

Già è evidente. Come è evidente che considerare l’isolamento della Meloni come un fatto saldamente acquisito, è una forzatura che nel breve periodo potrebbe essere completamente rovesciata.

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