Il #MeToo vi fa scemi

Di Bérénice Levet
16 Dicembre 2018
Fenomenale filippica contro il femminismo che riduce le donne a prede e gli uomini a Barbablu. Per contrastare il nuovo prêt-à-penser occorre tornare a educare il desiderio
Protesta del movimento #MeToo in Francia contro le molestie sessuali

Articolo tratto dal numero di Tempi di novembre

Bérénice Levet, nata in Francia nel 1971, è filosofa e saggista. Docente presso il Centre Sèvres di Parigi, istituto universitario dei gesuiti, ha vinto nel 2012 con il suo Le Musée imaginaire d’Hannah Arendt il premio Montyon e il premio filosofico Perreau-Saussine. Collaboratrice di numerose riviste, i suoi interventi sono spesso ospitati sui principali quotidiani francesi. Dopo aver pubblicato nel 2014 La Théorie du genre ou Le Monde rêvé des anges con una prefazione di Michel Onfray, giudicato da Atlantico «uno dei dieci saggi più importanti dell’anno», ha da poco dato alle stampe la sua ultima fatica: Libérons-nous du féminisme!

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Hannah Arendt descrive l’ideologia come «logica di un’idea», logica inevitabile nella quale tutti i fatti devono, per convenienza o in modo forzato, rientrare. Seguendo questa definizione si può dire che anche il femminismo è un’ideologia, in quanto si offre come sistema fondato su un’unica idea, e cioè la dominazione degli uomini sulle donne, che dovrebbe rendere conto della storia delle relazioni tra i due sessi dalla preistoria fino ai giorni nostri.

A partire da questa premessa, il femminismo svolge il filo della storia delle donne, con una coerenza che non si riscontra mai nella realtà. Così, alcune studiose francesi, compresa la celebre antropologa Françoise Héritier, arrivano a sostenere la tesi secondo la quale se le donne sono di corporatura più minuta rispetto agli uomini, questo sarebbe perché gli uomini fin dall’alba dei tempi si sono riservati i tagli migliori di carne, privando così le loro compagne delle proteine necessarie alla crescita!

Tutto questo può apparire ridicolo ma questa teoria, ad esempio, è presa sul serio dall’élite mediatica e culturale, le vengono dedicati documentari, rilanciati e osannati dalla stampa. Il femminismo deve il suo prestigio a questa capacità di spiegare tutto. Ricordiamoci dell’insegnamento di Tocqueville: l’uomo democratico è affaccendato e poco incline allo sforzo, il suo gusto è segnato da idee generali che «contengono molte cose in un piccolo volume» e «hanno questo di ammirabile, che permettono allo spirito umano di formulare in modo rapido giudizi su un gran numero di oggetti in una volta».

Come ideologia il femminismo ha precisamente degli effetti devastanti sulle opere della cultura, e si impone come una griglia interpretativa di tutta la nostra tradizione letteraria e artistica. Questo si può osservare nei licei, nei collegi e nelle università: gli alunni e gli studenti sono invitati a rileggere i capolavori della letteratura in una “prospettiva femminista”, attraverso il prisma della dominazione maschile. I direttori teatrali e dell’opera si dedicano totalmente a questo compito e questo accade anche in Italia, come si è visto con la riscrittura della Carmen di Bizet.

Bérénice Levet

Per il femminismo, il rapporto tra uomo e donna è una relazione di forza e di potere, dove l’uomo rappresenta il predatore e la donna la sua preda. Ma non è affatto così, ed è la nostra esperienza a dirlo. Questa narrazione è infatti estremamente povera, completamente staccata dalla realtà, che è sempre complessa e viva: non solo non ci sono soltanto rapporti di forza tra i due sessi – c’è complicità, gioco, soprattutto il gioco della seduzione –, ma anche nei rapporti di forza i ruoli possono essere invertiti. La donna può essere dominatrice e l’uomo sottomesso, non fosse che per la potenza del desiderio che esercita sull’uomo, e la donna non ha mai cessato di raffinare le astuzie della seduzione. Anche la donna calcola, ha le sue astuzie e le sue strategie. E questo è ciò che è sempre stato occultato nel trattamento mediatico dell’affaire Weinstein: perché non sono mai state evocate le donne che hanno saputo approfittare del sistema Weinstein? Il femminismo espropria le donne del loro statuto di “soggetti”, le tratta come vittime innocenti del maschio dominatore, per non dire predatore. I due sessi ci vengono presentati come due comunità separate, due gruppi antagonisti, mentre fin dal principio si potrebbe dire che, se si pensa al racconto della Genesi, il loro destino è legato, l’uno discende dall’altro e insieme vengono cacciati dal Paradiso. Non si tratta di sviluppare una qualche pastorale, quale che sia, questi due sessi sono diversi e suscitano delle divergenze che non verranno mai superate. Non ci sarà mai la fine della storia. La narrazione è cominciata con la creazione di Adamo ed Eva e continuerà fino a quando questi due sessi si attrarranno, così simili e così diversi. A questo proposito, io raccomando vivamente la lettura di un piccolo testo scherzoso, spirituale e pieno di tenerezza che io commento nel mio libro. È di Mark Twain, Il diario di Adamo ed Eva. Invece che abbandonarci a queste teorie sterili, rivolgiamoci alla letteratura, alla pittura, al cinema, che esplorano con piacere e incessantemente i meandri, le gioie, le delusioni, in parole povere la complessità, l’ambiguità del desiderio e dell’amore. Invito i lettori a rileggere Questo non è un racconto di Diderot, che paragona un’amante immolata dal suo uomo e un amante perfetto ucciso dalla sua donna.

Il movimento #MeToo mi sconvolge. Con la scusa della liberazione della parola delle donne si è imposta una visione assolutamente da incubo della condizione femminile in Europa nel XXI secolo. Le donne sono state dipinte come vittime di predatori maschi e gli uomini ci sono apparsi come dei Barbablu, i cui armadi erano pieni di cadaveri!

Le pareti della metro parigina e della Rer (rete espressa regionale, ndr), come anche le banchine degli autobus, si sono riempite di cartelli che mostrano una creatura debole, sola in un ambiente ostile (foresta oscura, grotta buia, fondo del mare), sul punto di essere assalita, a seconda dei casi, da un lupo, un orso, uno squalo. Il messaggio non lascia spazio all’ambiguità: l’uomo è un predatore e una minaccia perpetua per la donna. Questo movimento si iscrive nell’era della vittimizzazione che sta conquistando l’intero Occidente.

In Francia, il movimento #MeToo ha degli effetti particolarmente deleteri. Ha permesso a un femminismo identitario, che esalta cioè l’identità delle donne, e separatista, che favorisce cioè la separazione dei sessi, di affermarsi con una veemenza inedita. Questo femminismo di origine anglosassone, proveniente soprattutto dagli Stati Uniti ma che incontra le istanze europee influenzate dalla Svezia e dalla Norvegia, è estraneo allo spirito della nostra nazione, che ripudia ogni forma di comunitarismo e che si distingue per aver fatto dello scambio fra i sessi un’arte. La passione per il mondo comune e l’ideale universalista propri della Francia, già sotto l’assedio del comunitarismo musulmano, devono combattere allo stesso modo su questo fronte.

DOVE REGNA LA LEGGE ISLAMISTA

Le iniziative si moltiplicano, proponendo alle donne di non essere guidate che dalle donne. Uccidere la fiducia che regna tra i sessi è uno degli obiettivi delle nostre militanti femministe: diffidate degli uomini, chiunque e dovunque essi siano. Viene in mente un verso di Alfred de Vigny: «Ritirandosi presto in un regno mostruoso/ la donna avrà Gomorra e l’uomo Sodoma/ E, gettandosi, da lontano, uno sguardo irritato/ i due sessi moriranno ciascuno al suo posto»

Ed è in un mondo simile che noi aspiriamo a vivere! Io sono molto severa nei confronti di questo movimento, il #MeToo, perché è sintomatico dei due pesi e due misure praticati dalle femministe. Se il femminismo si mobilita rapidamente quando il maschio ha l’immagine di Harvey Weinstein (bianco, eterosessuale, ricco, potente, sulla cinquantina), queste grandi coscienze sono totalmente assenti dal terreno dove la battaglia femminista ha ancora un senso, i territori cioè dove regna la legge islamista, dove le donne hanno abbandonato lo spazio pubblico o lo attraversano nascoste sotto abiti che le coprono dalla testa ai piedi. Io tratto molti casi di questo tipo nel mio libro.

Il movimento #MeToo oggi è sulla bocca di tutti ma non è così appoggiato come si crede. Le élite mediatiche lo sostengono e in modo rumoroso: sono le giornaliste che hanno fatto la fortuna del #MeToo donando a questo movimento nato sui social media, e che avrebbe potuto e dovuto restarvi confinato, una eco enorme. È sostenuto con fervore anche dalle élite culturali, politiche, che si rivestono di virtù erigendosi a cavalieri bianchi delle “donne-vittime-di-violenza-e-della-dominazione-maschile”, parole che formano ormai un unico sintagma. Evidentemente il pubblico si lascia impressionare dalle cifre sconvolgenti con cui ci vengono rotti i timpani. Quando viene ripetuta in tutte le salse, e in tutti i paesi, sempre la medesima storia, si finisce per crederci. Ma il discorso vittimista, a maggior ragione se veicolato da grandi attrici americane in vista, donne che occupano posti di spicco, non inganna nessuno. Io voglio credere che la leggerezza con la quale vengono utilizzate nozioni come stupro e aggressione sessuale susciti anche un sentimento profondo di indecenza. È vero che ci sono delle donne vittime di sistemi oppressivi, alle quali viene negata l’uguaglianza dei diritti e che sono asservite. Lo stupro è una realtà. Ma io sono convinta che molte donne si sentono offese da questo discorso vittimista. Le femministe degli anni Settanta avevano molto più mordente!

SQUALIFICARE UNA CIVILTÀ

In realtà, l’essenza della donna non è affatto quella di essere una vittima e la storia delle donne non si può ridurre a questo. Mi ha sempre colpito il contrasto tra il frutto dei lavori degli storici – e penso in particolare alla storiografia francese, alla sterminata Storia delle donne in Occidente realizzata da Georges Duby e Michelle Perrot – che mostrano il ruolo giocato dalle donne nella storia, spesso dietro le quinte, ma senza le quali il mondo non sarebbe cambiato; mi ha sempre colpito la contraddizione tra questi lavori e il discorso della dominazione che implica, preso alla lettera, l’impotenza delle donne. Questa storia le riporta al loro ruolo di soggetti e non le tratta come meri oggetti! Invece le femministe vogliono condurci proprio a questa conclusione, a questa equazione donna=vittima. Si può dire che alcune donne sono vittime di alcuni uomini, come del resto alcuni uomini possono essere vittime di alcune donne. Ma «quando si generalizza la sofferenza, abbiamo il comunismo», diceva il romanziere Philip Roth. «Quando si particolarizza la sofferenza, abbiamo la letteratura». Basta sostituire in questa definizione “femminismo” a “comunismo”.

Ho voluto intitolare il mio libro Liberiamoci dal femminismo, perché con questa ingiunzione vorrei invitare ad affrancarci da questo prêt-à-penser che rovina la nostra comprensione dei rapporti tra uomini e donne e il cui obiettivo è di squalificare un modello di civiltà che si fonda proprio sulla polarità dei due sessi. La polarità è un pungolo prezioso per una civiltà. L’interscambiabilità invece è un principio di indebolimento.

SCUOLA DI ISTUPIDIMENTO

Liberarsi dal femminismo vuol dire anche liberarsi dalla sua neolingua. Per alcuni, parlare e pensare in modo corretto significa parlare la lingua delle femministe: molestia, oltraggio sessista, femminicidio, ecc. Il femminismo non smette mai di inventarsi nuove nozioni o di capovolgere il senso di quelle vecchie, al fine di creare nuovi reati. Di qui la categoria del “manspreading”, forgiata per designare e incriminare l’abitudine degli uomini di sedersi a gambe divaricate: questa attitudine è ormai punita con una ammenda in numerosi paesi. L’uomo amico delle donne si riconosce da come tiene chiuse le gambe l’una di fianco all’altra o da come le accavalla una sull’altra. Tutta questa neolingua del femminismo deve essere interrogata, indagata, denunciata. Molestia: dove comincia e dove finisce la molestia? Un uomo che si ostina a vedere una donna in una donna, a non restare indifferente e ad arrischiarsi a farglielo capire, può ancora sfuggire all’accusa di molestia?

La nozione di sessismo, poi, è una delle più interessanti perché mostra bene che la battaglia femminista è un pozzo senza fondo: mascherata da lotta agli stereotipi affibbiati al femminile, e al maschile, questa categoria finisce per incriminare ogni percezione e ogni pensiero della differenza dei sessi. È sessista un uomo che si offre di aiutare una donna a portare una valigia o che si fa da parte per lasciarla passare. Chi segue ancora le regole elementari della cortesia rischia di essere accusato di sessismo e molto presto di dominazione…

Il femminismo è proprio una scuola di istupidimento, riduce le opere del nostro patrimonio letterario, figurativo, musicale al suo orizzonte ristretto.

Per recuperare un pensiero positivo del rapporto tra i sessi è centrale il tema dell’educazione. E il discorso femminista egalitarista ne perverte il senso. Non è ripetendo che i due sessi sono uguali che si miglioreranno le relazioni tra i due sessi. L’educazione deve rimanere sessuata, non è insegnando ai giovani a vedere nell’altro sesso nient’altro che un simile che li si sosterrà nella vita. Bisogna piuttosto donare loro i mezzi per dare una forma ai loro desideri, per trovare le parole per esprimere il loro desiderio e questo passa soprattutto dalla letteratura. Non si tratta di allineare il desiderio maschile a quello femminile, ma di educarlo, civilizzarlo, ripulirlo. È il desiderio e la manifestazione di questo desiderio che bisogna formare.

REALTÀ IN BIANCO E NERO

Noi dobbiamo riabilitare o abilitare l’educazione dei sentimenti, per sottrarre i futuri adulti alla brutalità delle loro emozioni grezze. Lo spirito consumistico non deve penetrare nell’ambito dei sentimenti. Bisogna assaporare la lentezza e la sinuosità dei sentimenti. Noi non siamo nel regno del “ti voglio, ti prendo”. Il tema del linguaggio è quindi di importanza capitale. È grazie al linguaggio che si pone un freno alle pulsioni, ai desideri. E questo è il tesoro della nostra civiltà, con l’arte della galanteria, quando l’uomo si preoccupa di farsi apprezzare dalla donna e si conforma ai suoi codici per piacerle, ed è anche il tesoro della nostra letteratura. Rileggiamo Marivaux!

Dopo le assordanti campagne #MeToo e #BalanceTonPorc, bisogna rassicurare le future generazioni di ragazzi e ragazze: i primi non devono crescere ossessionati soltanto dal loro desiderio e dalla loro sessualità, mentre le seconde non devono crescere nel terrore del desiderio del sesso opposto.Per rispondere al movimento #MeToo, il 9 gennaio è uscito su Le Monde un manifesto firmato da un collettivo di 100 donne, guidate da Catherine Deneuve. La lettera aperta ha il merito di far sentire una parola dissidente. Perché le zelote del #MeToo esaltano la liberazione della parola, ma pretendono che questa parola confermi la loro versione in bianco e nero della realtà. E poi la preoccupazione che veniva espressa in quella tribuna dell’avanzata di un nuovo puritanesimo è altamente giustificata. Io dedico un capitolo intero a questo problema e questa tentazione è particolarmente preoccupante soprattutto nell’ambito artistico. Una febbre inquisitrice e un furore epuratore si stanno impossessando degli spiriti. Ma evidentemente per dissimulare la loro ossessione verso il sesso, il desiderio, l’eros, queste nuove Tartufo (il personaggio ipocrita di Molière, ndr) hanno un alibi: la causa delle donne.

L’ORDINE MORALE PROGRESSISTA

Nei secoli cosiddetti “morali”, la censura si abbatteva sulle opere letterarie o figurative nel nome della morale e della religione. Oggi invece l’ordine morale veste i panni progressisti del neofemminismo e dell’antirazzismo. E questo lo rende ancora più pericoloso. In Francia, nel XIX secolo, sotto la Restaurazione, l’intendente alle Belle Arti di Charles faceva ricoprire con foglie di vigna le grazie delle statue del museo del Louvre e della città di Parigi; oggi, sono i piccoli soldati del femminismo che esigono la rimozione della Thérèse revant di Balthus o che si ricoprano di vernice bianca gli affreschi sicuramente osceni, rudi, ma potentemente grotteschi, delle sale di attesa degli ospedali.

Se io affermo con tanta certezza che il problema delle violenze e delle aggressioni sessuali è solo un alibi per intentare un processo alla civiltà occidentale, è a causa di un fenomeno molto particolare. Quando il maschio incriminato di ribellarsi ai nostri costumi è un immigrato, un migrante o un immigrato francese di seconda o terza generazione, le femministe diventano negazioniste. Vi ricordate degli avvenimenti di Colonia? Poco tempo fa, Marlène Schiappa, ministro dell’Uguaglianza tra donne e uomini, aveva deciso di trasferire per tre giorni i suoi uffici in una banlieue parigina, Trappes. Ha così potuto constatare che le donne avevano abbandonato lo spazio pubblico, che nei bar non c’era una sola presenza femminile. Ma ci sono volute le domande di rari giornalisti perché lo ammettesse. Questa twittatrice, elogiata per il suo parlare franco, era diventata improvvisamente muta.

SCRITTURA INCLUSIVA CHE DIVIDE

Marlène Schiappa è anche la femminista che ha sponsorizzato a livello governativo in Francia la scrittura inclusiva, a riprova che la battaglia contro il linguaggio è uno snodo fondamentale. Citerò ancora una volta la filosofa Hannah Arendt, secondo cui «ogni epoca per la quale il suo passato è diventato problematico deve infine urtarsi col fenomeno della lingua; perché nella lingua ciò che è passato ha il suo potere inamovibile, ed è sulla lingua che finiscono per arrivare tutti i tentativi di sbarazzarsi definitivamente del passato». La femminilizzazione del linguaggio rivendicata dalle femministe – un cantiere aperto fin dagli anni Ottanta dal presidente François Mitterrand, ed è imperdonabile per un uomo che amava infinitamente la lingua e la letteratura francesi – si basa su una concezione estremamente degradata e degradante delle donne: le donne si sentirebbero prese in considerazione solo da una lingua, da parole e da una sintassi che portano il marchio del femminile. La donna sarebbe dunque una specie di cane di Pavlov che non reagisce se non davanti a segnali sessuati. La scrittura inclusiva è un imbroglio perché non include nessuno: separa proprio quando pretende di riunire. La scrittura inclusiva mette i due sessi uno di fianco all’altro, li rinchiude nella loro identità, come se non avessero niente in comune, nessuna esperienza che li accomuna. Il maschile a portata universale, cioè il maschile al quale la lingua francese assegna il compito di dire l’universale, testimonia al contrario l’universalità della condizione umana, che non riguarda l’appartenenza a un sesso o all’altro. Su questo punto evocherò una magnifica frase di Simone de Beauvoir: «Nei due sessi si gioca il medesimo dramma della carne e dello spirito, della finitezza e della trascendenza, entrambi sono erosi dal tempo, soggetti alla morte, hanno lo stesso bisogno essenziale dell’altro».

Se rifiuto con veemenza la scrittura inclusiva e la femminilizzazione del linguaggio, è perché difendo una lingua che dica e quindi testimoni ciò che c’è di universale nella condizione umana. Quando leggo che “tutti gli uomini sono mortali”, ahimè, non mi sento di fare eccezione perché sono donna.

LE PROVE A CHE SERVONO?

Oltre al senso del linguaggio e alle regole della sintassi, il femminismo vorrebbe stravolgere anche il funzionamento della giustizia. Già quando scoppiò il caso di Dominique Strauss-Kahn, una giurista molto autorevole in Francia, Irène Théry, invocò il riconoscimento di una “presunzione di verità” per tutte le donne che denunciavano di essere delle vittime. E si può notare, soprattutto durante la campagna del #MeToo, che i giornalisti non parlano mai di “accusatrici”, ma sempre di “vittime”. Presunzione di innocenza per le donne, presunzione di colpevolezza per gli uomini, è questo lo schema. Gli dèi hanno sete, in effetti, per riprendere il titolo di un romanzo di Anatole France ambientato al tempo del Terrore e della costituzione dei tribunali eccezionali, che non rispettavano neanche le regole più basilari della giustizia. Le nostre femministe non accettano né la temporalità della giustizia – raccogliere le prove e stabilire un fascicolo richiede tempo – né le procedure dell’istituzione giudiziaria – precisamente la necessità di fornire delle prove. Le femministe militano per una inversione dell’onere della prova: sta all’accusato dimostrare di non essere colpevole.

Per concludere, penso che oggi non siamo destinati a soccombere al femminismo. Per recuperare una concezione positiva della relazione tra uomo e donna, però, ciascuno deve preservare la propria libertà di spirito e il proprio senso critico, senza lasciarsi indottrinare dal pensiero dominante.

Testo raccolto da Leone Grotti

Foto Ansa

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