
Berdjaev, il filosofo della libertà creativa
Nikolaj Berdjaev (1874-1948) fu il grande filosofo della libertà creativa dell’uomo. Nel secolo dei totalitarismi, che avevano ridotto l’uomo a un elemento insignificante del processo economico e naturale, della classe e della razza, sembrava quasi impossibile che si potesse ancora affermare la dignità della creazione umana. Infangata dalle invenzioni ideologiche, che avevano trasformato persino l’ideale dell’uguaglianza in uno strumento di oppressione e di emarginazione, la creatività umana sembrava definitivamente sepolta sotto il peso dei campi di concentramento, questa infernale invenzione del XX secolo. Né poteva far meglio sperare la leggerezza del mondo libero che non aveva saputo fermare il nazismo e si sarebbe limitato a sterili proteste contro il comunismo. Berdjaev partì esattamente da questo vicolo cieco, denunciando in maniera inesorabile sia l’oppressione totalitaria, comunista e nazista, sia la leggerezza nichilista della pseudolibertà borghese.
Spirito rivoluzionario in massimo grado, Berdjaev era potuto rimanere fedele all’ansia di liberazione che aveva animato tante ricerche dell’inizio del XX secolo, proprio perché alla radice di tutto, alla radice di sogni e di delusioni, aveva saputo intuire qualcosa d’altro, aveva saputo intuire che se aspira all’infinito l’uomo non può affidarsi a nulla di finito, né tanto meno costruirsi da sé questo infinito: «Se non c’è Dio, se non c’è Verità che lo innalzi al di sopra del mondo, l’uomo è totalmente subordinato alla necessità. L’esistenza di Dio è la carta delle libertà dell’uomo», aveva detto Berdjaev.
La libertà di Dio diventava la garanzia della libertà dell’uomo, l’infinito di Dio permetteva all’uomo di aspirare all’infinito e di sperare in un destino di eternità. Ma il fondamento di tutto, ciò che impediva che anche questa intuizione ricadesse in una dialettica intellettuale, era per Berdjaev il realismo dell’esperienza: l’uomo non era irriducibile perché lo desiderava o lo voleva, ma perché era fatto così; e si scopriva irriducibile, nonostante tutti i suoi limiti, perché riscopriva se stesso nel volto di Cristo: «La libertà della creatura diviene per noi definitivamente accessibile solo nella manifestazione sacrificale del Volto divino, solo nell’apparizione del Dio-Uomo».
Nell’abisso della rivoluzione e dei campi, l’uomo poteva continuare a sognare e a creare bellezza, anzi doveva farlo, perché a questo era chiamato, perché questa era la sua vocazione: non una sua pretesa o un obbligo cui era soggetto, ma la risposta al dono che lo costituiva; la creatività dell’uomo, per Berdjaev, era la risposta al dono che Dio aveva fatto all’uomo stesso creandolo: creato da Dio a propria immagine, l’uomo, in Cristo, era chiamato a sua volta a creare. E ciò che l’uomo crea, seguendo Cristo, non è né una sua invenzione né l’idealizzazione del finito, non è né una imitazione della creazione divina né la sua sostituzione con una pretesa umana, ma la riscoperta di ciò che rende pieno di senso il reale.
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