Il diavolo Berlicche ha qualche dubbio sulla trasparenza dei grillini

Di Berlicche
15 Aprile 2013
Quelle trattative in diretta streaming tra Pd e M5S erano “vere” o una messa in scena con un copione già scritto e recitato?

Mio caro Malacoda, anche a me iniziano a venire meno alcune certezze, a furia di seminare confusione rischiamo di restarne impantanati. Regola aurea, oltre a quella che “non esistono regole auree”, era che “il diavolo vive nel nascondimento”. Il segreto, il non detto, il nascosto, il buio, il riservato… tutto ciò che avviene al riparo da occhi e orecchie pubbliche è sinonimo di menzogna, di ipocrisia, di falsità. La verità vive nella luce, la menzogna prospera nelle tenebre. Dallo sfruttamento di questa massima è discesa la celebrazione della trasparenza, soprattutto in politica. Tutto deve avvenire alla luce del sole, non c’è il “teatrino della politica” sulla scena e il “retroscena” su cui campano molti fantasiosi cronisti. Tutti devono poter vedere e ascoltare tutto.

Si è iniziato con le telefonate e si è finiti con le dirette in streaming delle consultazioni per la formazione del governo. E qui mi si è insinuato il dubbio: quelle trattative tra Pd e M5S erano “vere” o una messa in scena con un copione già scritto e recitato fedelmente? Avessero voluto realmente “trattare” (non solo nel senso mercantile del termine, anche in quello politico) sarebbero stati liberi di farlo in diretta? Quell’apparire travestito da trasparenza non è in realtà un nascondimento?

E poi. Se è vero, come i trasparenzialisti sostengono, che, oltre a fare in pubblico ciò che solitamente si faceva in modo riservato, bisogna anche sempre dire quel che si pensa… In quell’incontro veramente hanno detto tutto ciò che pensavano gli uni agli altri? C’è a questo proposito una banale considerazione di socialità: l’ipocrisia non è un valore, ma un po’ di ipocrisia è necessaria per essere se non buoni almeno civili. Chi accusa i politici di dire falsità in pubblico almeno una volta nella vita avrà fatto altrettanto per comportarsi da gentiluomo, e avrà detto di essere lieto di cenare con una signora che invece trovava terribilmente noiosa. L’ha fatto per gentilezza, non per cattiveria.

Ma non è di buone maniere che ti volevo parlare, quanto piuttosto di quella pena del contrappasso in cui sono inevitabilmente incappati i campioni della trasparenza. Girano per Camera e Senato con i cellulari spianati, fotografano scontrini dei bar interni, immortalano deputati distratti o in altro affaccendati durante le sedute in Aula, riconoscibili dalla borsa a tracolla in cui alloggia l’inseparabile pc, mettono immediatamente in rete commenti in diretta ai lavori parlamentari… Poi si chiudono in una stanza per discutere tra loro e chiedono al simbolo del potere della casta, all’uomo in divisa “strapagato” con i soldi dei cittadini, al commesso, di tenere lontani dall’uscio sbarrato i giornalisti, evidentemente “cittadini” che hanno perso questa qualifica e quindi indegni di ascoltare ciò che teoricamente dovrebbe essere udibile a tutti.

Non paghi di ciò, convocano un vertice di cui viene tenuto segreto anche il luogo, forse proprio per farsi inseguire dai cronisti e aggiungere suspense all’alone di mistero di cui in nome della trasparenza amano circondarsi. Ecco, ho il sospetto che là dentro, al chiuso, si diranno la verità. E forse allora i conti mi tornano, perché il sospetto è l’anticamera della verità. O no?
Càvatela.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche

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