Benedizione coppie gay. Tre quarti degli anglicani abbandonano la Chiesa d’Inghilterra

Di Rodolfo Casadei
22 Febbraio 2023
La maggior parte delle chiese non vuole più riconoscere il primato dell’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, a causa delle sue aperture sugli omosessuali
L'arcivescovo di Canterbury Justin Welby, Londra, 28 novembre 2022 (Ansa)
L'arcivescovo di Canterbury Justin Welby, Londra, 28 novembre 2022 (Ansa)

Più che uno scisma, è un’Opa sulla Comunione anglicana.

La dichiarazione con cui gli arcivescovi primati di 12 Chiese nazionali affiliate alla Global South Fellowship of Anglican Churches (Gsfa) esprimono il loro dispiacere per l’approvazione da parte della Chiesa d’Inghilterra delle benedizioni per le coppie dello stesso sesso e non riconoscono più l’arcivescovo di Canterbury come guida primus inter pares di tutti gli anglicani del mondo, ha per obiettivo di strappare la leadership della Comunione anglicana dalle mani del reverendo Justin Welby e del Parlamento britannico per consegnarla a un arcivescovo del Sud del mondo, presumibilmente africano.

Donne e omosessuali

La Comunione anglicana, come è noto, non ha un vertice autorizzato a prendere decisioni in materia dottrinale, disciplinare o pastorale: ognuna delle 42 province che la compongono è pienamente autonoma per le sue decisioni, avendo come comune riferimento dogmatico e liturgico i 39 Articoli di religione fissati nel 1571, il Libro delle preghiere comuni, il libro liturgico delle ordinazioni e il Libro delle omelie, anch’essi prodotti nel XVI secolo.

Negli ultimi anni le questioni relative all’ordinazione presbiterale ed episcopale delle donne e degli omosessuali attivi e alle benedizioni/matrimoni di coppie dello stesso sesso hanno provocato tensioni fortissime fra le varie Chiese, che sono state fino ad oggi contenute attraverso la tradizionale prassi anglicana di lasciar fare a ogni Chiesa quello che vuole, di provvedere servizi a parte per i “dissidenti” delle singole chiese e di presentare la Comunione anglicana come una “grande tenda” all’interno della quale convivono credenti cristiani con visioni totalmente diverse – a volte agli antipodi – di ciò che la Chiesa può o non può fare.

Classico esempio di questo atteggiamento sono i commenti di Justin Welby, arcivescovo di Canterbury dal 2013, che dopo la recente decisione del Sinodo della Chiesa d’Inghilterra si è detto orgoglioso di fare parte di una chiesa che comprende persone favorevoli alla benedizione delle coppie dello stesso sesso, persone contrarie a tale benedizione e persone che continuano a chiedere che la Chiesa anglicana celebri matrimoni omosessuali!

«Un falso insegnamento»

La pazienza delle Chiese anglicane non anglosassoni nei confronti di quelle apparentemente favorevoli a modificare la dottrina tradizionale sull’omosessualità fino alla benedizione delle unioni o al matrimonio (a oggi quelle di Inghilterra, Scozia, Galles, Stati Uniti e Nuova Zelanda) è andata diminuendo nel tempo.

Il primo grosso scossone ha avuto luogo nel 2008, quando alla vigilia della 14ma Conferenza di Lambeth (la riunione decennale di tutte le Chiese anglicane del mondo) a Gerusalemme si riunì per la prima volta la Gafcon, Conferenza globale per il futuro anglicano, un assise di vescovi e leader anglicani conservatori di tutto il mondo, ostili alla svolta pro-lgbt che si andava delineando nelle Chiese anglicane anglosassoni. L’importanza dell’iniziativa è andata lievitando nel tempo: all’ultima Gafcon (2018) parteciparono 316 vescovi, 669 sacerdoti e 965 laici in rappresentanza di 50 paesi.

La Gsfa è un’entità più antica, essendo stato creata nel 1994, ma in gran parte i suoi aderenti coincidono con quelli che hanno dato vita alla Gafcon nel 2008. Attualmente presieduta dal reverendo Justin Badi Arama, primate del Sud Sudan, la Gsfa rappresenta probabilmente i tre quarti di tutti gli anglicani del mondo (stimati in 85-100 milioni a seconda delle fonti); da sola la Chiesa anglicana della Nigeria, coi suoi 25 milioni di battezzati, è quantitativamente sullo stesso piano della Chiesa d’Inghilterra, che conta 26 milioni di battezzati. Il panel dei 12 arcivescovi che hanno sottoscritto la dichiarazione del 20 febbraio propone alle “province e diocesi ortodosse” (cioè fedeli alla dottrina tradizionale sull’omosessualità) di rompere formalmente la comunione con la Chiesa d’Inghilterra e con le province che «si sono allontanate dalla fede storica e hanno imboccato il sentiero di un falso insegnamento», e di disconoscere il ruolo di leadership della Comunione da parte dell’arcivescovo di Canterbury.

Crisi di leadership

La roadmap proposta è la seguente: «Nel più breve tempo possibile i primati del Gsfa incontreranno, consulteranno e lavoreranno con altri primati ortodossi nella Chiesa anglicana in tutte le nazioni per ristabilire (re-set nell’originale) la Comunione sul suo fondamento biblico. Non vediamo l’ora di collaborare con primati e vescovi del movimento Gafcon e con altri gruppi anglicani ortodossi per elaborare insieme la forma e la natura della nostra vita comune e come mantenere la priorità di proclamare e testimoniare il Vangelo di Gesù Cristo al primo posto nella nostra vita come popolo di Dio. Insieme ad altri primati ortodossi, cercheremo di affrontare la crisi di leadership che si è creata (…). I primati del Gsfa lavoreranno attentamente con altri primati ortodossi per fornire supervisione primaziale ed episcopale alle diocesi ortodosse e alle reti di chiese anglicane che manifesteranno i loro bisogni e si consulteranno con noi. Questo per garantire che i fedeli di tutta la Chiesa anglicana mondiale, compresi quelli che si trovano nelle province revisioniste (quelle che hanno cambiato la dottrina sull’omosessualità – ndt), ricevano la supervisione pastorale, la guida e la cura di una Chiesa globale e connessa come la Comunione anglicana dovrebbe essere».

Le Sacre Scritture

Allo scopo di formulare la loro “scomunica” senza contraddire la tradizione di autonomia delle singole Chiese anglicane, i 12 primati rimproverano alla Chiesa di Inghilterra di avere violato con la sua decisione la sua stessa dottrina, come è configurata nel Canone 5A: «La dottrina della Chiesa d’Inghilterra è fondata nelle Sacre Scritture e in quegli insegnamenti degli antichi Padri e Concili della Chiesa che sono conformi a dette Scritture».

Su questa base si giustifica l’affondo finale, al punto 7 della Dichiarazione: «La Chiesa d’Inghilterra è la “storica prima provincia”, ma ora che si è allontanata dalla fede storica la responsabilità ricade sui restanti primati ortodossi. Non ci allontaneremo dalla Comunione che ci ha così riccamente benedetti e per la cui fedeltà a Dio e alla Sua parola i nostri antenati hanno pagato un caro prezzo. Quello che è successo nella Chiesa d’Inghilterra è servito solo a rafforzare la nostra determinazione a lavorare insieme per ristabilire (re-set nell’originale) la Comunione, e ad assicurare che la nuova Comunione sia contrassegnata dalla riforma e dal rinnovamento».

Pressioni per le nozze gay

Probabilmente le decisioni caldeggiate dai 12 primati verranno approvate dalla prossima Gafcon, che si terrà in aprile a Kigali (Ruanda). Justin Welby aveva tentato un’ultima conciliazione fra le parti all’Anglican Consultative Council, che si è riunito ad Accra (Ghana) fra il 12 e il 19 febbraio scorsi. Attraverso una proposta della Iascufo (Inter-Anglican Standing Commission on Unity, Faith & Order) aveva chiesto che tutte le Chiese anglicane continuassero a «camminare insieme». La proposta viene esplicitamente rigettata al punto 6 della Dichiarazione dei 12 primati.

Secondo quello che riferisce il Guardian del 20 febbraio, ad Accra Welby avrebbe confidato ai suoi pari le pressioni a cui è sottoposto: «Sono stato convocato due volte in parlamento e minacciato di azione parlamentare per costringerci al matrimonio tra persone dello stesso sesso». Gli anglicani di paesi che furono colonie britanniche non sembrano disposti a farsi dettare la propria religione dal parlamento britannico 60-70 anni dopo la fine del colonialismo britannico.

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