
Benedetto XVI è stato un uomo della parola. Il suo Pontificato rimarrà nella storia

Con Benedetto XVI sale al cielo uno dei più grandi papi della storia. Questa affermazione così perentoria che contraddice la lettura che è stata fatta della vita di quest’uomo da parte di alcuni teologi, giornalisti e intellettuali (ma non da parte del popolo) va dunque sorretta da alcune ragioni fondamentali.
Joseph Ratzinger, nella sua lunga esistenza, ha sempre cercato fin dagli studi teologici, poi come perito al Concilio Vaticano II, come insegnante di teologia, arcivescovo di Monaco, prefetto della Congregazione della fede e infine Papa, innanzitutto di comprendere il tempo in cui viveva, le principali correnti filosofiche e culturali che lo animavano. Egli è stato tutt’altro che un “dogmatico”. Per lui la Chiesa era un mistero che viveva nel tempo, la cui comprensione non poteva assolutamente prescindere da un’analisi simpatetica e critica della vita dell’uomo.
Per questo, l’andamento dei suoi scritti non ha mai evitato la lettura storica dei fenomeni culturali e teologici. In questo modo, forse senza neppure esplicitamente volerlo, ha raccolto gli aspetti positivi della crisi modernista a cui pure il Concilio Vaticano II ha fatto riferimento.
Con Giovanni Paolo II, il cardinal Ratzinger – Benedetto XVI ha speso tutta la sua vita per la realizzazione delle riforme volute dal Concilio frenandone le derive rivoluzionarie che ne avrebbero tradito la lettera oltre che lo spirito.
Un teologo che rimarrà nella storia
Benedetto XVI così come Joseph Ratzinger è stato un uomo della parola, pensata, scritta e parlata. I suoi detrattori hanno creato intorno a lui il mito di un uomo difficile, freddo, irraggiungibile. Egli è stato tutto il contrario. La sua prosa, certo molto profonda, è in realtà accessibile ad ogni lettore di media cultura, ben lontana dalle difficolta di Hans Urs Von Balthasar o Karl Rahner.
Un giorno chiesi al cardinale Christoph Schönborn, l’arcivescovo di Vienna, quale teologo sarebbe rimasto nella storia, tra i maggiori del Novecento. Mi rispose: «Ratzinger» (non era ancora Papa). Gli chiesi perché e lui mi rispose: «È il più semplice, non ha bisogno di esegeti». Ascoltandolo parlare e leggendo i suoi testi ho sempre pensato a Leone e Gregorio Magno. Di Leone Magno Ratzinger ha la cristallina forza della verità. Di Gregorio Magno la carica pastorale che fa di Ratzinger uno dei più grandi mistagogi della storia della Chiesa.
Un’opera che appartiene al futuro
Di Ratzinger Papa si è detto: “Non ha saputo governare”. Vorrei far notare a tutti i nostri lettori che la prima espressione dell’arte e di governo di un Papa è la parola e la custodia della verità, questo è l’alveo in cui tutto cresce. Certamente Benedetto non è stato adeguatamente aiutato nel suo ministero petrino, ma ha creato una tradizione sapienziale che porterà frutti enormi per la Chiesa.
Egli non è stato “il cane pastore” come preannunciava Il Manifesto il giorno della sua elezione, con grande sensibilità umana: egli si è sempre presentato come uomo mite desideroso di comprendere le ragioni dell’altro. Uomo di preghiera, di silenzio, di studio, ha conservato nel dialogo con Dio il senso della inarrivabilità del Mistero e della sua manifestazione nell’incarnazione del Figlio di Dio. Le tre encicliche su carità, speranza e fede resteranno il grande portale attraverso cui leggere tutta la sua opera.
Come egli ha detto nelle sue Ultime Conversazioni, la sua opera non appartiene al passato, ma favorirà il crescere e il manifestarsi del nuovo in una Chiesa che attende nuove forme che esprimano la coniugazione della fedeltà alla tradizione con la vicinanza all’uomo contemporaneo.
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