Benedetto WV

Di Alessandro Giuli
05 Ottobre 2006
Dal Campidoglio a Palazzo Chigi magari passando pure per il Vaticano. Veltroni non è più solo un augustarello circonfuso di miele e potere. Adesso studia pure da (anti)papa. Ecco le sue omelie migliori

Con chi parla Dio? Con Walter, che domande. Sia il Dio rarefatto delle scritture monoteistiche, oppure quello malmostoso e vestito di luci cinematografiche, ovvero quello della letteratura, ancora più carezzevole agli spiriti vanesi, sempre lì andrebbe a parare: a casa Veltroni. Così almeno si finisce per credere, a forza di seguire lo spettacolare calendario del sindaco romano. Il demone del cinema gli è servo storico, ma adesso è sopraggiunta la bolla del britannico Guardian a consacrare l’investitura dall’alto sulla Festa del cinema capitolino. Autore, Geoffrey Macnub. Tesi: con l’ammuffito festival di Venezia non c’è più storia ormai; Veltroni vince grazie a un paio d’idee semplici semplici: 8 milioni di euro investiti nel baraccone della Dolce vita de’ noantri, 200 mila euro destinati al vincitore. E una sfilata d’inviti commerciali che non lasceranno scontento nemmeno un produttore o un distributore, le autentiche leve del potere hollywoodiano. Altro che Sean Connery al Caffè Greco. Piuttosto il trionfo d’una scienza del calcolo millimetrico sposata con il luccichio dei tappeti rossi stesi a via Veneto. Alla faccia di Francesco Rutelli, che da ministro della Cultura si sta giocando ogni carta possibile pur di prenotare la leadership di un partito che non c’è, il partito democratico, ma ha già una guida seduta sul trono della vanità e dell’ambizione.

L’uomo della provvidenza
Per essere Walter Veltroni, in effetti, bisogna avere ridotto in schiavitù il senso della misura e arruolato un ufficio stampa all’altezza di certe ambizioni cesaropapiste. Perché ormai al Campidoglio non siede più soltanto un sindaco augustarello circonfuso di miele e potere. Adesso, proprio mentre manda in scena i grandi fasti del cinema romano, il neroniano Walter studia perfino da (anti)papa. Bisogna solo mettere in fila gli eventi, collegarli come gli arabeschi morbidi di cui si sostanzia l’agire pubblico veltroniano, e scoprire che l’industria del successo allestita nella capitale ambisce a traguardi da uomo della provvidenza.
Prendiamo il conflitto di civiltà, lo scontro fra visioni religiose irriducibili appena illuminato da Benedetto XVI nella controversa lezione di Ratisbona. Sappiamo cosa voleva dire il Papa attraverso l’involucro erudito del periodare concesso al teo-filosofo bavarese. Sappiamo cosa ci ha ricavato Veltroni. Ha portato in mostra, pochi giorni fa, il demone della pax religiosa purchessia. Lo ha fatto riunendo e benedicendo, nei giorni in cui s’impennava la protesta sanguinaria islamica per le parole pronunciate dal Pontefice a Ratisbona, una serie di uomini volenterosi: il cardinale Poupard (presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso), il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, l’imam della moschea di Roma, Sami Salem, il segretario del Centro culturale islamico Abdallah Redouane, il presidente della comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, e il presidente della comunità ebraica di Roma, Leone Pasermann. Operazione di suo ineccepibile e coronata dalla presentazione d’una rivistina, Conoscersi e convivere, dedicata al dialogo culturale e religioso equo, giusto e solidale.

Stesa Venezia, ora tocca a Milano
Al di là delle buone intenzioni dei partecipanti, s’è trattato d’un capolavoro di distrazione che nulla toglie e nulla aggiunge alla gravità dello scontro in atto. La trasformazione d’un caso internazionale nel pretesto d’una medaglia da appuntare sul proprio petto: “Roma città della pace”, come ha detto Walter mentre Al Jazeera (la tv che ha il monopolio dei video di Al Qaeda e di quello con Fabrizio Quattrocchi ammazzato e squartato dai terroristi del deserto) riprendeva il tutto leccandosi i denti canini. Poi campo lungo, applausi, dissolvenza e titoli di coda. E che ci vuole? Sia chiaro, solo un genio del potere può riuscire in tutto questo. Lo stesso genio dell’apparenza sostanziale che, stesa Venezia con il rullo dei nastri di celluloide, sfamate le ansie multiculturali di una città-stato costipata di paure e menefreghismi, zitto zitto sta pure riuscendo nell’impresa di stendere Milano brandendo l’Alitalia come un fucile a palle grosse. Pochi se ne ricordano, adesso che pure il povero Cimoli sta meditando se non sia il caso d’interrompere l’accanimento terapeutico sulla compagnia di bandiera più bollita del mondo. Pochi se ne ricordano ma Walter Veltroni, lungimirante, sa che in economia si muore per rinascere poco dopo. Sopra tutto in Italia. E così nel maggio scorso ha firmato un accordo grazie al quale l’hub capitolino diventerebbe monopolista delle nuove tratte internazionali Alitalia. E sono un sacco di soldi in arrivo. Abbandonato l’ombelico del Nord, cioè il milanese aeroporto di Malpensa, Alitalia si prepara a lanciare l’operazione “Summer 2007”. Traduzione: un aumento poderoso nei collegamenti aerei a medio e lungo raggio, nuove destinazioni intercontinentali e un incremento annuo stimato di 3,5-4 milioni di passeggeri. Il che, per una città con crescita turistica annuale del 6,5 per cento (lì dove nel resto d’Italia si scende in media di sei punti percentuali), fa pensare a un granaio inespugnabile in fatto di rendite e clientes.
Ce n’è quanto basta affinché il sempre giovane Walter si chiuda a doppia mandata nella sua Roma a godersi per altri quattro anni filati il bel tempo che fa. Ma perché porre limite all’appetito? Negli ultimi due mesi Veltroni ha detto chiaro e forte due o tre cose interessanti il cui sottotesto implicito è che gli sta passando il mal d’Africa. Primo segnale, quando a fine agosto s’è lasciato scappare che sul partito democratico si stavano addensando troppi ostacoli opachi. Un’ammissione implicita che lui è lì e aspetta le condizioni giuste per avanzare. Ma siccome l’uomo aspetta la chiamata perché l’autopromozione non rientra certo nel suo stile salvifico, poche ore dopo già dissimulava sulla possibilità che una nuova legge gli consenta, nel 2011, di candidarsi per una terza volta al Campidoglio.

E attenzione al Premio Strega 2007
Tesi e antitesi? Non esattamente. In ogni modo se c’è una sintesi è quella che l’augustarello kennediano mai stato comunista ha elargito durante l’ultima festa nazionale dell’Unità: «Il sogno politico della mia vita? Da tutte le feste dell’Unità che sto girando in questi giorni mi viene la stessa sollecitazione. Sì, io dico che si può fare, che un partito del 40 per cento, nel campo riformista e democratico, può essere alla nostra portata, immediatamente. Purché, come ho già detto, e ripeto, non si viva questa sfida come la fine della sinistra, purché non si cerchino tutti i motivi per non farlo, il partito». Altrimenti? «Preferisco stare con i bambini di un ospedale africano che sedere in un cda».
Eccolo là, il solito Walter della provvidenza, con il cuore aperto, la mente svelta e il registratore di cassa sempre acceso. L’unico uomo politico che avrebbe potuto scrivere La scoperta dell’alba. Un romanzo d’esordio necessariamente tendente al capolavoro (attenzione al Premio Strega 2007) e che sembra finalmente esaurire il campo delle esperienze necessarie al sindaco di tutti gli italiani. E non sarà un centinaio di taxisti scalmanati, ancora decisi a contestargli la finta riforma del trasporto pubblico romano, a rovinare i programmi del cesaropapista Walter. Alla fine troveranno un accordo bottegaio (chissenefrega se Bersani va in crisi d’astinenza da liberalismo) e faranno festa tutti insieme in una grande e dolce Notte bianca. E quando la sbornia avrà saziato forsennati e mediatori, a Palazzo si dice che il botto finale per lanciare la corsa veltroniana all’empireo (o a Palazzo Chigi) sarà la rinnovata candidatura di Roma a ospitare le Olimpiadi del 2016. Sai l’invidia di Massimo D’Alema, e vuoi che con questa prospettiva qualcuno non cerchi di piantarsi prima del tempo al posto di Romano Prodi? Miracoli del veltronismo.

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