Il Belgio è sempre più islamizzato, ma se lo dici sei un fascista

Di Mauro Zanon
31 Marzo 2025
Un dossier del Figaro racconta un paese in cui il lassismo delle istituzioni e l'ipocrisia progressista woke hanno permesso l'halalizzazione della società. Ma per la sinistra è solo "xenofobia di destra"
Belgio islam
Islamici in preghiera a Bruxelles, il 28 giugno 2023 (foto Ansa)

Parigi. «Il Figaro si avvicina ai ranghi dell’estrema destra?», si chiede il media belga 7 sur 7. «La prima pagina xenofoba del Figaro Magazine», rincara la dose L’Humanité, lo storico quotidiano comunista francese, mentre La Libre Belgique, uno dei giornali francofoni più influenti del Belgio, denuncia un «articolo-accozzaglia, privo di una qualsiasi analisi».

Il motivo di tanta indignazione? Un dossier del supplemento settimanale del quotidiano liberale-conservatore francese intitolato “Voyage en Belgiquistan”, dove con testimonianze e interviste sul campo viene raccontata una realtà che esiste ormai da molto tempo, che gli attentati di Parigi e Bruxelles nel 2015 e 2016 avevano portato sotto gli occhi di tutti, ma che un certo mondo progressista continua a negare o a far finta di non vedere: la “halalizzazione” del Belgio, sotto la pressione degli estremisti e degli utili idioti dell’islamismo, la sinistra multiculti.

Il dossier del Figaro sul Belgio “halalizzato”

Il reportage del Figaro Magazine inizia nel comune di Schaerbeek, a nord-est della Regione di Bruxelles-Capitale, tra la strada in cui «i corpi delle prostitute sono esposti dietro le vetrine come merce per gli occhi avidi dei passanti», rue d’Aerschot, e la strada in cui «dietro le vetrine sono disponibili libri coranici e altre opere religiose», dove «gli orologi scandiscono la chiamata alla preghiera con precisione svizzera», e «dove i tappeti attendono di essere srotolati in direzione della Mecca», rue de Brabant.

Belgio islam Figaro

Tra i primi testimoni, figura Fadila Maroufi, ex assistente sociale di origini marocchine. Premiata nel 2024 con il prix de la Laïcité consegnato a Parigi dal Comité Laïcité République (Clr) per le sue coraggiose prese di posizione contro la diffusione dell’islam separatista, Maroufi è tacciata di “islamofobia” dalla comunità musulmana e dalla sinistra benpensante belghe. «C’è qualcosa di schizofrenico in quest’area (Schaerbeek, ndr). Da una parte c’è lo sfruttamento a oltranza degli esseri umani e del sesso, dall’altra i tabù e il fanatismo religioso. Entrambi si esprimono con violenza in luoghi fatiscenti e sporchi», racconta la militante laica al Figaro Magazine.

L’islamizzazione conquista sempre più territorio

Si è sempre parlato di Molenbeek, del comune in cui si radicalizzarono i fratelli Abdeslam, membri del commando dell’orrore del 13 novembre 2015, del mini-califfato incastonato nel cuore dell’Europa dove si vive secondo la sharia. Ma l’islamizzazione sta conquistando sempre più porzioni di territorio, rendendo irriconoscibili quartieri e favorendo lo sviluppo di un’economia parallela.

«La capitale d’Europa sta rapidamente cambiando. E lo sta facendo da diversi anni. Basta aprire gli occhi e passeggiare per le strade di Bruxelles per vedere che il comunitarismo e l’islamismo, entrambi ostentati, stanno occupando sempre più spazio. In alcuni luoghi è visibile solo l’‘economia islamica’. Tutto è ‘halalizzato’. Dai parrucchiere non misti alle bettole, fino ai negozi di abbigliamento. Una mono-economia al servizio non dei musulmani, ma degli islamisti», scrive il Figaro Magazine.

«Hanno preteso che mi sottomettessi all’islam»

Peter, ex educatore, ha lavorato a Mechelen e Boom, due cittadine situate tra Anversa e Bruxelles. Al settimanale francese dice di aver gettato la spugna, disgustato dai metodi, dai non detti e dalla cecità dei politici locali che, per logiche clientelari, hanno lasciato che l’islam radicale mettesse radici, denunciando «quarant’anni di lassismo». Figlio di un sindacalista e cresciuto con valori di sinistra, racconta di essere stato ostracizzato nel suo ambiente professionale a causa delle numerose critiche che aveva osato esprimere pubblicamente sull’islamizzazione.

L’inizio della disillusione è coinciso con la prima esperienza a Mechelen in un centro di accoglienza per migranti, la maggior parte dei quali di confessione islamica, dove Peter era incaricato di guidarli in un processo di integrazione alla società belga e ai suoi valori: «Dovevamo spiegare loro come funzionavano le nostre istituzioni e la società belga. Il mio primo incontro con questo gruppo di nuovi arrivati, la maggior parte dei quali musulmani, è avvenuto in pieno ramadan e sono rimasto scioccato quando, all’ora di pranzo, con un panino e un caffè in mano, i membri del team mi hanno chiesto di nascondermi per non offendere queste persone. È incredibile!».

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E ancora: «Hanno preteso che mi sottomettessi a una religione. Non è questa la base su cui dovremmo accogliere gli immigrati. Dobbiamo spiegare loro i princìpi del nostro Paese, quelli della democrazia, della libertà e del rispetto delle differenze. Solo il direttore della struttura mi ha manifestato un timido sostegno. Alcuni membri dell’ufficio, tutti di fede musulmana, hanno fatto in modo che venissi licenziato».

La Francia è sulla strada per diventare come il Belgio?

Dopo il licenziamento, Peter si sposta a Boom, dove trova lavoro sempre nel sociale. Un giorno incontra Fouad Belkacem, idolo dei giovani delle banlieue multietniche belghe, noto alla giustizia per le sue liaison con le reti islamiste, e in particolare con Sharia4Belgium, un’organizzazione jihadista dissolta nel 2012 che militava per la fine della democrazia e l’avvento di uno Stato islamico nel Paese (alcuni dei suoi membri, dopo la dissoluzione, sono partiti a fare il jihad in Siria, tra i ranghi dell’Isis). «All’epoca, tra il 2004 e il 2006, prima che diventasse politicamente attivo, ho segnalato il suo comportamento pericoloso al municipio di Boom. I politici locali mi chiesero di mantenere un basso profilo perché, a loro avviso, attirare l’attenzione sull’argomento avrebbe solo incoraggiato i voti per l’estrema destra. Ero sconvolto», ha raccontato Peter, invitando la Francia a prendere decisioni drastiche per evitare di finire come il Belgio.

Donne velate davanti alla Grande Mosquée di Strasburgo, Francia
Donne velate davanti alla Grande Mosquée di Strasburgo, Francia (foto Ansa)

L’attuale ministro della Giustizia francese, Gérald Darmanin, decise quando era ministro dell’Interno, nel 2020, di sciogliere l’associazione Collectif contre l’islamophobie en France, in ragione della propaganda islamista. Il suo destino? È rinata in Belgio sotto un altro nome, Collectif contre l’islamophobie en Europe, ma mantenendo le stesse idee estremiste.

Una situazione aggravata dall’ideologia woke

Le scuole e le università belghe non sono risparmiate, anzi: la situazione è aggravata dall’influenza dell’ideologia woke. La giornalista e militante laica Nadia Geerts ha collaborato alla preparazione di una conferenza del think-tank Les Universalistes, difensore dei principi dell’illuminismo, dedicata alle difficoltà degli insegnanti di fronte alle richieste identitarie e religiose dei loro alunni. Intitolata “Paroles de profs!”, la conferenza ha raccolto una serie di testimonianze inquietanti sul clima di censura.

Il Figaro Magazine ne ha selezionate alcune: «Certi insegnanti hanno rinunciato a portare i loro alunni di età compresa tra i 12 e i 18 anni nei Musées des Beaux-Arts, a causa del rischio di proteste di fronte ai nudi scolpiti o dipinti di uomini o donne”; “Sono un’insegnante di scienze. Già al primo anno di insegnamento mi sono trovata di fronte al rifiuto di alcuni alunni di studiare certe materie per motivi religiosi. Alcuni temi sono considerati ‘haram’, proibiti […]. Per esempio, ho alcuni alunni che si nascondono sotto i loro banchi quando espongo alla lavagna un diagramma anatomico del sistema riproduttivo maschile o femminile». Un poliziotto belga intervistato dal Figaro Magazine ha detto che in Belgio «la stampa è imbavagliata dall’islamo-goscismo». Le reazioni indignate dei media progressisti che invece di allarmarsi dinanzi alla realtà denunciano chi lancia l’allarme, come il Figaro Magazine, lo confermano.

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