Basta sparare un inno a 100 mila watts per far sentire spagnole due squadre?

Di Emmanuele Michela
25 Maggio 2012
Stasera la finale di Copa del Rey Athletic Bilbao-Barcellona vedrà protagoniste due tifoserie in aperta avversione allo Stato. E la Federazione prende delle tristi contromisure.

27 secondi a 100 mila watts. Così stasera verrà suonato l’inno di Spagna, prima dell’inizio della finale di Copa del Rey tra Barcellona e Athletic Bilbao. Una versione short e ultra potente, per coprire i fischi di protesta che si attendono copiosi da entrambe le tifoserie. E così l’interesse per l’ultimo atto del calcio spagnolo 2011-12 si prevede altissimo, non soltanto perché sarà l’ultima di Guardiola sulla panchina del Barcellona, e forse anche quella di Bielsa alla guida dei Leones.

In confronto a quando potrebbe succedere stasera al Vicente Calderon di Madrid sono pernacchie i fischi di domenica sera all’Olimpico, quando prima della finale di Coppa Italia Arisa ha intonato l’Inno di Mameli. In questo caso non è malcostume, ma vera e propria ostilità a qualsiasi simbolo dello stato spagnolo: Paesi Baschi e Catalogna rivendicano la loro indipendenza da una corona accentratrice. Loro non sono Spagna, da sempre, se non a livello nominale. E questo irredentismo ha pervaso anche il mondo del pallone, uno sport che difficilmente rimane estraneo dalle realtà che rappresenta.

Già nella finale del 2009 i due club si erano sfidati, e una caterva di fischi aveva salutato l’inno nazionale e il re Juan Carlos presente allo stadio di Valencia: la tv spagnola preferì censurare tutto collegandosi con le piazze di Barcellona e Bilbao durante quel momento così imbarazzante, salvo poi riproporre durante l’intervallo le immagini del pre-partita con una traccia sonora diversa, dove le note della Marcha Real suonavano linde e illibate. Quest’anno si è deciso di usare la forza, sparando con altoparlanti alla potenza di un concerto rock l’inno reale, decisione accompagnata dalle dichiarazioni di Esperanza Aguirre, presidente della Comudidad de Madrid: in caso di fischi alla corona, bisognerà, dice lei, sospendere la partita e rigiocarla a porte chiuse. Scelte e parole che hanno tutto il sapore dell’imposizione di una identità in cui entrambe le tifoserie non si ritrovano.

D’altronde, bisogna anche pensare di quali squadre stiamo parlando. Se l’Athletic Bilbao è tanto legato alle sue terre d’origine da non aver mai ammesso in rosa giocatori che non fossero nati o cresciuti da quelle parti (con una politica d’investimento sui giovani ottima: pur attingendo da un bacino limitato possono comunque vantare il record di non essere mai retrocessi dalla Primera division, con 8 campionati vinti e 23 coppe di lega), inutile parlare di quanto a fondo vadano le radici del Barcellona tra la gente della sua regione. Da sempre la squadra sostiene la voce indipendentista locale, affidando la fascia da capitano a giocatori solo nati in Catalogna (eccetto durante il periodo del nazionalismo di Franco). Già negli anni Venti ci fu un primo caso di protesta all’inno nazionale durante un match, che fu sanzionato dalla mano dura della federazione: per sei mesi lo stadio fu chiuso e il presidente dell’allora Barcellona fu obbligato a rassegnare le dimissioni. Altri tempi, certo. Ora la squadra è diventata multi-etnica, ed esporta il suo calcio in tutto il mondo, con progetti che poco hanno a che vedere con quell’origine. Ma tra i tifosi il legame con la terra resta forte.

Gente che non vuole essere spagnola, e invece si trova ad esserlo, pur avendo lingue, storie, tradizioni e anche etnie diverse. Inutile quindi scandalizzarsi se due club danno ancora qualche spiraglio di rappresentanza più o meno abbondante della loro origine. Lo sport è questo, soprattutto il calcio: dietro a una maglia e a un 11 giocatori s’identifica una città intera, con la sua storia e le sue tradizioni. A Bilbao sono baschi, a Barcellona catalani. Glielo lasceranno essere stasera o s’inventeranno qualche disgustoso stratagemma per provare a farli condividere qualcosa di cui non si sentono parte?

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3 commenti

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    non esiste regione europea che possa offrire servizi ai cittadini (sanità, scuola,..) con le proprie risorse finanziarie e senza trasferimenti dallo stato centrale. quindi anche se rivendicano origini diverse sono dentro ad una comunità (compreso l’alto adige). devono (e dobbiamo) smetterla con la sindrome dello sfruttamento.

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