E se la smettessimo di parlare della sardina Mattia Santori?

Di Piero Vietti
29 Settembre 2021
Due anni fa erano una novità (giornalistica) buona per dare addosso a Salvini. Di quel movimento è rimasta solo una candidatura in comune a Bologna. Scriviamo d'altro
Mattia Santori
Mattia Santori, leader delle Sardine (foto Ansa)

Qual è il motivo per cui, sfogliando un giornale nazionale come La Stampa, a pagina 3 ci si deve imbattere nella fotonotizia di un candidato al consiglio comunale di Bologna che è andato a pranzo a casa di un ex presidente del Consiglio, Romano Prodi, ritiratosi dalla politica attiva già da qualche anno?

Da mentore a meme

Perché le sue iniziative elettorali devono avere da settimane rilevanza nazionale, si tratti di un nascondino giocato in piazza o una fumosa proposta di costruire un impianto per giocare a frisbee nel capoluogo emiliano? Perché una sua protesta contro il traffico causato dai tifosi che vanno allo stadio – per cui lui incolpa Dazn – finisce sulle homepage di tutti i giornali con tanto di analisi sul fatto che il suo video è stato girato contromano? Semplice, perché stiamo parlando di Mattia Santori, il leader di uno dei bluff meglio riusciti della politica italiana, quelle Sardine servite ai giornali di sinistra per tirare la volata a Stefano Bonaccini in Emilia Romagna e poi abbandonate tra l’imbarazzo di chi le aveva strumentalmente pompate.

Da mentore a meme, Santori ha surfato sui media per due anni ripetendo supercazzole prematurate (con scappellamento a sinistra, ovviamente) ovunque andasse, spargendo citazioni pop de sinistra, incurante delle figure barbine fatte, massimo esponente del purché-se-ne-parli e del situazionismo politico. Ma se all’inizio l’innamoramento un po’ scemo dei giornali per le Sardine poteva essere comprensibile (a Tempi ci siamo divertiti a parodiarne articoli e titoli con il blog Sardine che sconfiggono cose), a due anni di distanza la copertura h24 di pensieri, parole, opere e omissioni di Mattia Santori inizia a puzzare – non di pesce, ma di pigrizia giornalistica.

Sardine, un progetto fallito

Da una parte e dall’altra: ma se nei media più vicini al centrodestra la narrazione della Sardina scema e cattiva non è mai cambiata, e Santori viene usato come simbolo di una sinistra a metà strada tra le occupazioni del liceo, Greta Thunberg, i grillini e il radicalchicchismo da Milano centro, dall’altra parte lo si è di fatto scaricato, e se ne parla con fare infastidito, rubricandolo nella sezione Strano ma vero. Le Sardine sono però creature giornalistiche (anche se i più vicini a Stefano Bonaccini assicurano che il governatore dell’Emilia Romagna all’inizio ne parlava pippobaudescamente come un’invenzione sua), buone per raccontare una sinistra che tornava di piazza per fermare i populisti fascisti della Lega.

Ci hanno provato, Repubblica e una nutrita pattuglia di altre testate, a cavalcarle per farle diventare fenomeno nazionale, illudendosi così di arrivare a parlare ai ggiovani. Il progetto è fallito, le Sardine si sono divise, Santori ha approfittato della notorietà per candidarsi a Bologna facendo parlare di sé per gaffe e uscite senza stile, come quella sulle risate che si sarebbe fatto con Prodi alla notizia dell’indagine su Luca Morisi. Lo sappiamo che questo articolo smentisce la richiesta che stiamo per fare ai colleghi giornalisti, ma promettiamo che è l’ultima volta che lo facciamo: Mattia Santori ha stufato, fino a che si occupa della viabilità e dei frisbee bolognese possiamo smettere di parlarne?

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