
Barzellette analogiche per la tv digitale
Se uno ha potere, state tranquilli, lo usa. Anche se pensa e dice cose che non passerebbero neanche dallo sfinterio di una gallina. Roma. Prendete la televisione. Se non è Berlusconi, che quando interviene a reti unificate lo fa né più né meno di come lo fa quel sant’uomo del Presidente Ciampi (cioè per comunicazioni di servizio, spiegare perché il governo decide così sulle pensioni, cosà sulla guerra in Irak), uno in Tv ci va per mestiere. Il mestiere di leggerci notizie, di raccontarci quanto sono belli i trichechi in amore, di comunicarci che tempo farà domani. Poi c’è chi, pagato profumatamente per farlo, in televisione ci va per satireggiare o per intrattenere. Tutti vendono qualcosa (cellulari, cellule staminali, detersivi, psichiatri, provette Flamigni). Pochi hanno però un’educazione all’altezza del compito. Così, sempre più spesso, capita di vedere che un tale – di nome Paolo piuttosto che Maurizio – si permetta di usare la Tv, pubblica o privata che sia, come un cannone per sparare contro il Parlamento. Queste sparatorie, che con il loro codazzo di polemiche montate ad arte finiscono per imbolsire il già fin troppo bolso dibattito politico nazionale, sono ormai diventate all’ordine del giorno. E non c’è niente da fare. Perché loro hanno i cannoni, noi qui abbiamo un aeroplanino di carta, i telespettatori a casa nemmeno quello. Quindi, prendere o lasciare. Mentre i Bonolis e i Costanzo prendono soltanto (che poi alla fine a loro cosa interessa se non il rinnovo del loro contratto, naturalmente con qualche aggiustamento miliardario?). Il modo in cui trattano e considerano il pubblico ricorda una barzelletta: ci vuole una donna bassa per fare che? E con le orecchie grandi per fare che? E con la testa piatta per fare che? “Per appoggiarci sopra la birra”. Questa è l’alta prospettiva da cui muove chi spara su Parlamento e Politica con l’obiettivo di godere del ritorno di audience (e denari). Lo facesse come lo si fa in qualsiasi bar o bordello, come ogni qualunquismo insegna, andrebbe anche bene. Il problema è che gli slogan ruffiani e gli spot demenziali si moltiplicano non sul calcio, ma su cose da cui dipende la vita di un popolo. Il problema è che certi imbonitori Tv sembrano sinceramente persuasi dell’inutilità del voto degli italiani. Il problema non è che in questo Paese c’è la censura. Il problema – come diceva il ministro degli Interni Cossiga all’epoca degli anni di piombo e degli allegri manifesti “né con lo Stato, né con le Br” – è che l’Italia è il paese più libero del mondo. Ma per quanto tempo se fosse consentito un diritto televisivo di slealtà, col proprio mestiere e con gli italiani? Che libertà sarebbe quella dello scemo del villaggio televisivo che si fa comiziante politico, legislatore, catone del parlamento, e che se pizzicato, sanzionato (e licenziato, possibilmente) si fa fotografare nella posa di “vittima della censura”?
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