
Tentar (un giudizio) non nuoce
L’autonomia differenziata è sussidiarietà e responsabilità

Dichiaro subito che il titolo e il contenuto di questo articolo contrastano con quanto espresso da Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, in diverse occasioni negli ultimi mesi e in particolare in un editoriale, “L’autonomia differenziata? Aumenterà le disuguaglianze”, apparso su Il Sussidiario dello scorso 28/6, nel quale tra l’altro egli scriveva: «L’autonomia differenziata non è sussidiarietà (…) non serve un arretramento del potere centrale ma un suo salto di qualità (…) il rischio è che questi divari possano solo aumentare portando il Paese a un regionalismo delle disuguaglianze».
Insomma, anche Vittadini si iscrive al coro di coloro che dipingono l’autonomia differenziata come un modo per spaccare il Paese e aumentare le disparità. Egli arriva persino in conclusione a rimpiangere «una gestione centralizzata degli investimenti a favore del Sud, fatta con la Cassa del Mezzogiorno da persone competenti e che avevano grandi ideali».
Autonomia e sussidiarietà da sempre camminano insieme
Non posso nascondere la mia sorpresa! Su questo tema, ho già avuto modo di esprimermi su queste pagine il 27 gennaio di quest’anno. Per non essere ridondante, rimando a quanto già scritto, ma denuncio l’incongruenza di parole che teorizzano che l’autonomia differenziata non possa che aumentare le diseguaglianze, pronunciate non da un trinariciuto statalista di sinistra, ma da uno dei più forti sostenitori della sussidiarietà. Non sono affatto insensibile alle preoccupazioni di Vittadini di mantenere «un welfare equo e sostenibile» e ridurre «da sempre una disuguaglianza di sviluppo e capacità di spesa e di intervento amministrativo». Ma quale sarebbe la ricetta? La riproposizione del centralismo, ovvero della stessa medicina che ha aggravato la malattia?
Questo assunto è per me davvero sorprendente perché autonomia e sussidiarietà da sempre camminano insieme. Abbiamo imparato, dall’insegnamento sociale della Chiesa, che la difesa dell’autonomia è uno dei cardini ideali di una concezione della politica che non cala dall’alto le proprie soluzioni, ma le costruisce dal basso, riconoscendo le autonomie sociali e locali e dando loro quello spazio di protagonismo che è proprio di una concezione sussidiaria. Persino la necessaria e giusta solidarietà fra territori più ricchi e più poveri non può essere solo il frutto della intermediazione centralista dello Stato, che, in modo assistenziale, preleva risorse ai più capienti e le distribuisce ai meno abbienti, ma al contrario di politiche che favoriscano l’assunzione di responsabilità e di iniziativa di chi dal basso crea sviluppo e lavoro.
Basta che la proposta non sia più sostenuta da sinistra perché diventi sbagliata?
Quante volte ho sentito raccontare dal presidente della Fondazione per la Sussidiarietà l’esempio virtuoso dei giovani produttori di vino di Alcamo come testimonianza di questa assunzione di responsabilità e protagonismo del proprio sviluppo! Cosa è cambiato? Basta che la proposta non sia più sostenuta da sinistra perché diventi improvvisamente sbagliata? Lasciare che le Regioni che si sentono in grado di farlo, senza obblighi per nessuno, si assumano l’onere e la responsabilità, su alcune materie, di affrontarle autonomamente, non è forse proprio secondo il principio di sussidiarietà? Aumentare la responsabilità dei territori, a cominciare dai loro amministratori locali, non è un esempio di fiducia e scommessa sulle capacità di ciascuno di essere protagonista del proprio sviluppo? O dobbiamo pensare che esistono regioni inabilitate a farlo?
Ora, perché questo dibattito a tratti appare surreale? Perché è diventato un dibattito ideologico e strumentalizzato a fini politici. Non si parla più di quello che c’è nella Costituzione e nella Legge, ma di come la si vuole rappresentare per la propria utilità politica, da una parte e dall’altra.
L’isteria del centrosinistra sul referendum abrogativo
Vedere oggi il centrosinistra in piena crisi isterica, che raccoglie firme per il referendum abrogativo gridando alla frantumazione del paese, se non è ridicolo, è sicuramente il frutto di una strumentalizzazione di bassa politica propagandista che cavalca le paure per conquistare qualche voto. Allo stesso modo, non si può trasformare questa opportunità solo in una bandiera politica, come sembra fare qualche partito di maggioranza, apparentemente più preoccupato di sventolarla, al posto di favorire percorsi concreti di autonomia reale.
L’autonomia differenziata non è una novità. È l’applicazione di un articolo della Costituzione (116 – terzo comma) frutto di una modifica, promossa e voluta nel 2001 dal centrosinistra che lo aveva già inserito nel suo programma elettorale nel 1994, per cercare di contrastare la Lega. Centrosinistra che ancora nel 2018 volle raggiungere un’intesa con alcune Regioni, compresa la Lombardia. A riprova di ciò, il governatore Pd dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, assunse un’iniziativa nel 2019 affiancando le richieste di Veneto e Lombardia. Peraltro, la riforma del 2001 insieme all’autonomia differenziata (art.116 3c.) ha introdotto in Costituzione il Principio di Sussidiarietà (art. 118.). Chi ci garantisce che il cambiamento di posizione della sinistra sull’autonomia differenziata non valga anche per la sussidiarietà?
Chi è contro l’autonomia, cosa vuole proporci?
La legge Calderoli è una legge di procedura, ossia non introduce alcuna forma di autonomia nell’immediato, rimandata a dopo un confronto tra le Regioni, il Governo e il Parlamento, successivamente alla determinazione dei Livelli Essenziali di Prestazione (i LEP), che si baseranno, tra l’altro, sulla necessità di assicurare a tutti i territori livelli omogenei di prestazioni essenziali, assicurandone il pieno finanziamento, prima di poter procedere a qualunque trasferimento di competenze alle regioni. È, dunque, evidente che oggi questi livelli non sono garantiti o comunque non lo sono nello stesso modo sull’intero territorio nazionale. A conferma di come il centralismo non sia stato in grado di ridurre le disparità.
Non dimentichiamoci poi che una forma di autonomia differenziata esiste già, con le cinque regioni a Statuto Speciale. Non credo che si possa dire che questa connotazione presente dall’inizio della Repubblica abbia spaccato l’Italia, anzi, al contrario, ha tenuto quei territori legati al nostro paese. Penso all’Alto Adige, con forme che sono state riconosciute in tutto il mondo come innovative ed efficaci.
Detto tutto ciò, chi è contro l’autonomia, cosa vuole proporci? Il mantenimento dello statu quo, cioè poteri locali deboli e irresponsabili e Stato centrale forte e assistenziale?
Altroché spaccare l’Italia
L’autonomia parte dal principio opposto, ossia che ciascun territorio ha le risorse e gli strumenti per caricarsi sulle spalle la responsabilità del proprio sviluppo. Altroché spaccare l’Italia. Questa, a mio parere, è l’unica via affinché il nostro paese possa realmente ricompattarsi riducendo le differenze. L’esperienza degli Stati federali come la Svizzera, la Germania e gli Stati Uniti ne sono il più concreto esempio.
Prendiamo atto dell’esperienza: il diverso grado di sviluppo delle regioni italiane non nasce oggi, è un tema che ci portiamo appresso da sempre. L’introduzione dell’autonomia differenziata è un modo più adeguato che merita di essere sperimentato, a maggior ragione, a fronte degli insuccessi e delle inefficienze del centralismo. Un modo perfettamente costituzionale, che non può essere ridotto a una caricaturale volontà di rapina dei ricchi nei confronti dei poveri. Una forma che a me sembra pienamente in linea con il principio di sussidiarietà. Sono consapevole che questo percorso non è privo di limiti e anche di rischi, ma offre spazi di libertà mai sperimentati, tra l’altro tutelati dai LEP. L’autonomia differenziata è sussidiarietà e responsabilità. Non trovo altra forma più efficace per rispondere con amicizia a Giorgio Vittadini.
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