Autonomia differenziata, cosa c’è davvero in gioco

Lo spauracchio che sia una secessione dei ricchi contro i poveri è una fake news capace di fare presa su un elettorato sempre più distratto, in favore di slogan urlati a squarciagola

Senatori del Pd protestano esponendo il tricolore durante le dichiarazioni di voto sul ddl autonomia differenziata, Senato, Roma, 23 gennaio 2024 (Ansa)

Pochi giorni fa, il Senato della Repubblica ha approvato, in prima lettura, il disegno di legge per l’attuazione dell’autonomia differenziata, proposta dal ministro Calderoli. Immediatamente si è scatenato un dibattito politico, tanto animato e vivace, quanto potenzialmente fuorviante. Vorrei dunque provare a contestualizzare quanto, a mio giudizio, questa riforma inciderà sugli aspetti pratici dei cittadini.

Innanzitutto, va sottolineato che il Ddl approvato dal Senato non è un testo che definisce i contenuti delle varie forme e condizioni particolari di autonomia previste dall’articolo 116 – terzo comma della Costituzione, ma è semplicemente una legge di procedura, ossia un documento che stabilisce quale è il percorso corretto per attuare quanto è previsto dall’articolo sopracitato. Un articolo, è bene ricordare, che è stato introdotto con la riforma del titolo V (legge costituzionale 3/2001) votata dal centrosinistra nell’ultimo scorcio della XIII legislatura, quando premier era Giuliano Amato e ministro Franco Bassanini (Pd). La legge venne sottoposta a referendum confermativo il 7 ottobre 2001 e approvata dalla maggioranza dei cittadini.

Reazioni spropositate

Ora, le reazioni di maggioranza e opposizioni sono parimenti sorprendenti. Da un lato, il trionfalismo mostrato dal Governo Meloni è in particolare dalla Lega è piuttosto esagerato perché, come spiegato, l’approvazione al Senato non coincide con l’immediato trasferimento di competenze e risorse aggiuntive dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario. Il percorso sarà assai lungo e complicato. Dall’altro lato, il lamento greco di Pd e 5 Stelle è altrettanto strumentale, visto che questo provvedimento non comporta il dissolvimento dell’unità del Paese, applicando, tra l’altro, una norma voluta proprio dal centrosinistra.

La manfrina di cantare l’inno d’Italia mentre avveniva la votazione conclusiva, ha avuto stesso sapore di un paradosso kafkiano. In verità il tema è estremamente serio e dovrebbe essere riportato entro i suoi confini reali. È fondamentale innanzitutto sottolineare in primis che l’autonomia differenziata è uno strumento che consente alle Regioni ordinarie che vogliono farne richiesta, di avere maggiori competenze, come peraltro già oggi avviene per le regioni a Statuto speciale, senza causare rivoluzioni. Le materie elencate nella Costituzione su cui possono essere richieste maggiori competenze sono complessivamente 23. Le Regioni, pertanto, possono chiederle tutte o solo alcune ma partendo dal presupposto che la gestione delle competenze trasferite a livello territoriale dovranno essere amministrate con modalità più efficienti e soprattutto a parità di risorse.

Questa sottolineatura chiarisce bene che l’autonomia differenziata non è in nessun caso una sottrazione di risorse dalle Regione più povere verso quelle più ricche. La narrazione che si sta facendo dall’opposizione una secessione dei più abbienti che romperebbe la coesione sociale del Paese indebolendo le Regioni più arretrate è destituita da qualsiasi fondamento.

La questione Lep

Nel testo della Legge Calderoli questi principi sono scritti nero su bianco.

Nell’articolo 4, ad esempio, si stabiliscono i principi per il trasferimento delle funzioni alle singole Regioni, precisando che saranno concesse solo successivamente alla determinazione dei Livelli Essenziali di Prestazione (Lep) e nei limiti delle risorse rese disponibili in legge di bilancio, che si baseranno, tra l’altro sulla base della spesa storica che lo Stato già oggi spende per il mantenimento di queste funzioni. Dunque, senza i Lep e il loro finanziamento, che dovrà essere esteso anche alle Regioni che non chiederanno la devoluzione, non ci sarà Autonomia differenziata.

Questo è il secondo tema che viene utilizzato dall’opposizione contro la legge, affermando che le risorse per finanziare i Lep non saranno disponibili. Ora, è del tutto evidente che sostenere questa tesi significa dichiarare che già oggi, nell’ambito dello Stato unitario, equità e giustizia sociale non sono garantiti o comunque non lo sono nello stesso modo sull’intero territorio nazionale. Dunque, se l’impianto vigente non è in grado di garantire neppure i livelli essenziali delle prestazioni e tantomeno la riduzione delle disparità, non è forse il caso di porvi dei correttivi, anziché difenderlo a spada tratta?

Efficienza e competizione

Ma veniamo al terzo punto che per certi versi è ancora più decisivo. L’autonomia differenziata si basa sostanzialmente su un principio, ossia che i diversi territori possono competere sull’efficienza e la qualità della spesa, dimostrando che sono in grado di spendere 80 per una funzionalità che allo Stato costava 100, guadagnando così il 20 per cento di efficienza. Tra l’altro, 100 viene calcolato sulla base dei costi standard garantiti per tutto il Paese attraverso una valutazione della spesa storica media.

La domanda non è retorica, perché l’opposizione ritiene a priori che una competizione sull’efficienza sarebbe dannosa per l’interesse nazionale e soprattutto penalizzante per le Regioni più povere? Forse perché implicitamente essi ritengono che queste Regioni siano aprioristicamente incapaci di aumentare la propria efficienza?

Diversamente, io sostengo che una competizione virtuosa spingerebbe tutti verso una maggiore qualità della spesa. Questo è proprio quello che accade in tutti gli Stati federali. Pensiamo alla Svizzera, alla Germania e agli Stati Uniti che, in contesti differenti, basano la propria competitività anche sulla differenziazione dei poteri e sulla responsabilità dei diversi territori. Nessuno, in buona fede, potrebbe dire che il loro livello di competizione internazionale è stato compromesso dall’impianto federale.

Il vero problema

Dunque, non c’è ragione, se non in base ad un preconcetto ideologico, per opporsi all’autonomia differenziata. Tutto ciò conferma però come il dibattito politico attuale sia terribilmente superficiale. Lo spauracchio che l’autonomia differenziata sia una secessione dei ricchi contro i poveri è una sorta di fake news capace di fare presa su un elettorato sempre più distratto e disabituato alla complessità delle cose, in favore di slogan urlati a squarciagola. Pd e 5 Stelle stanno cavalcando questa tigre di carta, pur di lucrare qualche voto.

La vera questione, a mio avviso, è un’altra ed è il punto critico di questo disegno di legge. Ossia l’estrema lentezza che questa norma procedurale richiede per giungere concretamente all’autonomia differenziata (ad esempio solo per la definizione dei Lep sono previsti 2 anni) e quindi alla possibilità che si inneschi quel processo virtuoso che farebbe delle nostre Regioni i Lander tedeschi.

Purtroppo, il paradosso è che la sbandiera vittoria di questi giorni, possa, alla prova dei fatti, trasformarsi in una estenuante ed infinita camminata nel deserto. In Lombardia già 17 anni fa provammo, in un rapporto diretto con il Governo nazionale di centrodestra, a chiedere l’autonomia differenziata ma qualcuno non volle consentire a Formigoni di conseguire questo risultato politico e forse ancora oggi preferisce sventolare una bandiera piuttosto che garantire forme concrete di maggior competitività e autonomia alle Regioni.

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