L’autonomia differenziata può essere un baluardo a difesa della democrazia

Le Regioni possono costituire un’alternativa alla gestione dello Stato, contribuendone a limitarne il potere e offrendo ai cittadini una pluralità di modelli da sanzionare o legittimare con il voto

Il tabellone con il risultato finale del voto sul Ddl autonomia differenziata nell’aula del Senato, Roma, 23 gennaio 2024 (Ansa)

Con l’approvazione al Senato dell’autonomia differenziata sta entrando nel vivo il dibattito sull’attuazione del comma 3 dell’art. 116 della Costituzione. È lì, infatti, che è prevista la possibilità di attribuire ulteriori materie e funzioni alle Regioni che ne facciano richiesta e sulla base di un’intesa, in analogia con quanto avviene tra lo Stato e le confessioni religiose. Già questo è un elemento interessante su cui fino ad ora si è poco riflettuto.

Le intese con le confessioni religiose sono la modalità con cui la Repubblica non solo sostanzia la libertà religiosa, affermata all’art. 19 della Costituzione, ma anche il principio pluralista, per cui – come si legge nel Concordato con la Chiesa rinnovato nel 1984 – quella cattolica non è la sola religione di Stato e la laicità delle istituzioni è proposta così come una spazio pieno e non vuoto od ostile alle fedi.

L’unità della Repubblica

Tale principio pluralista deve riguardare, quindi, anche i diversi modi di governare materie e funzioni attribuite dallo Stato alle Regioni. Queste ultime possono costituire un’alternativa alla gestione politica dello Stato, contribuendone a limitare il potere per diritto e competenza e offrendo ai cittadini una pluralità di modelli di governo da sanzionare o legittimare con il voto.

Del resto, questo è anche il motivo per cui in piena Guerra fredda la Dc aspettò oltre vent’anni per istituire le Regioni e dare così attuazione a quanto era pur previsto dalla Costituzione, temendo l’affermazione del Pci al nord. Quello in atto, allora, è davvero un passaggio importante, perché si tratta anche di dare corpo a quanto la nostra Carta prevede da ormai 23 anni, da quando, cioè, il centrosinistra riformò il Titolo V.

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L’autonomia differenziata non manifesta dunque una pervicace volontà di minare l’unità della Repubblica («una e indivisibile» secondo l’art. 5), quanto di adeguare «i principi ed i metodi della […] legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento» (art. 5). Adeguare in particolare quei principi di differenziazione e pluralismo che impegnano la stessa Repubblica (di cui le Regioni ne sono un’articolazione) «a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (art. 3).

Pluralismo delle istituzioni e delle politiche

In tempi di Intelligenza artificiale, dove la possibilità di ridistribuire ricchezza tra i cittadini o allocare risorse ai territori in base a dati rielaborati da un algoritmo sembra a un passo dal poter sostituire la “politica inconcludente”, la riforma dell’autonomia differenziata può invece costituire un baluardo a difesa della democrazia rappresentativa e della libertà di voto dei cittadini, perché alimentando una pluralità di modelli di governo e legittimando la diversa “offerta” politica nella rimozione degli ostacoli economici e sociali che impediscono il pieno sviluppo della persona, ricorda che non c’è decisione che non comporti una particolare visione dell’uomo e della società. Anche dietro un algoritmo, infatti, c’è sempre un’intelligenza tutta umana che imposta calcoli e programmi secondo inclinazioni e concezioni che non sono “neutre”, ma frutto di precise valutazioni e scelte, anche di natura etica.

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Se dunque nel dibattito molto povero sull’autonomia differenziata a cui purtroppo stiamo assistendo, la pluralità dei modi di governare la sanità, piuttosto che l’istruzione o servizi per il lavoro è vista come pericolo e punto di debolezza della riforma, proprio il pluralismo delle istituzioni e delle politiche – in un contesto storico segnato dall’uniformismo degli organismi sovranazionali e delle nuove tecnologie – ne costituisce a ben vedere un punto di forza.

Matteo Forte
Presidente II Commissione “Affari istituzionali ed Enti locali” del Consiglio regionale della Lombardia

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