Austria, la rivolta dei vescovi contro il via libera dei giudici al suicidio assistito

Di Redazione
16 Dicembre 2020
La Corte Costituzionale depenalizza la pratica e la Chiesa insorge, «si muore tenendo per mano un altro uomo, non per mano di un altro uomo»
eutanasia suicidio assistito

Ribaltando il diritto penale che punisce con la detenzione tra sei mesi e cinque anni chiunque «induca un’altra persona a suicidarsi o gli dia aiuto per farlo» la Corte Costituzionale depenalizza il suicidio assistito in Austria. Pur confermando la pena per chi «uccida un’altra persona su sua richiesta» con sentenza dell’11 dicembre i giudici hanno infatti stabilito che vietare ogni forma di aiuto al suicidio è incostituzionale: rappresenta una violazione del diritto all’autodeterminazione e pertanto a una morte dignitosa. Entro la fine del 2021, le parole «o gli dà aiuto per farlo» dovranno quindi essere rimosse dal codice penale.

I RICORSI SOSTENUTI DA DIGNITAS

In altre parole, l’eutanasia a rigor di legge resta vietata ma a partire dal 1 gennaio 2022 il suicidio assistito sarà possibile a determinate condizioni. E se ancora non è chiaro cosa comporterà il pronunciamento nato da quattro ricorsi presentati con il sostegno dell’associazione svizzera per l’eutanasia Dignitas – che chiedevano la revisione dei due paragrafi del codice penale a tema “uccisione su richiesta” e “suicidio assistito”, rifacendosi a un’analoga decisione presa all’inizio dell’anno dalla Corte costituzionale federale tedesca – fin troppo facile è prevederne le conseguenze: «Fino ad oggi, ogni persona in Austria poteva presumere che la propria vita fosse considerata incondizionatamente preziosa, fino alla morte naturale. Con la sua decisione, la Corte Suprema ha rimosso una base essenziale da questo consenso», ha tuonato l’arcivescovo di Salisburgo Franz Lackner, presidente della Conferenza episcopale austriaca (Öbk) che si è sempre battuta contro l’attenuazione delle norme e a favore di una implementazione delle cure palliative.

IL SUICIDIO NON È MAI UN CASO DI LIBERTÀ

A differenza di quelle dei giudici le parole di monsignor Lacker (rincarate da numerosissimi vescovi, a partire da quello di Feldkirchen, Benno Elbs, che ha parlato di «schiaffo in faccia all’umanità», «proteggiamo il diritto alla vita e con esso i deboli e i malati tra noi oppure mettiamo i paraocchi con il pretesto dell’autodeterminazione, e facciamo della morte e della malattia un tabù sociale?») risuonano forte e chiare. Dicendosi «scioccato» dalla sentenza che rappresenta «una breccia in una diga», il capo dei vescovi ha ricordato che «ovunque si offra l’opzione di togliersi la vita con il sostegno di altri in situazioni di crisi come malattie gravi o vecchiaia, aumenta la pressione sui malati e sugli anziani affinché ne facciano uso». «L’esperienza della Svizzera e di altri Paesi in cui il suicidio assistito è già consentito ha dimostrato in modo scioccante che il numero di suicidi è in forte aumento, soprattutto tra le persone anziane. In questo contesto – ha continuato monsignor Lackner – il suicidio viene presentato come una decisione autodeterminata. Ma la decisione di togliersi la vita non è mai un caso riuscito di libertà, bensì una tragica espressione di disperazione e disperazione. Il suicidio non dà una risposta, ma apre molte domande».

NESSUNO IN AUSTRIA AIUTI A MORIRE

Questa rottura culturale con la solidarietà e protezione incondizionata fino alla fine dei più fragili e sofferenti è per la Chiesa inaccettabile, «chi esprime il desiderio di morire in una situazione di crisi esistenziale come malattia e stanchezza non ha bisogno di aiuto per uccidersi, ha bisogno di vicinanza umana, sollievo dal dolore, affetto e sostegno». È questo il significato di rispetto e dignità della vita fino all’ultimo. I vescovi pertanto con papa Francesco mettono in guardia dalla «società usa e getta» che minaccia la vita delle persone quando la legge fa un passo indietro, si rivolgono al legislatore perché presti fede all’attuale legislazione e non ai pronunciamenti dei giudici. E promettono, «lavoreremo per garantire che nessuno in Austria – né la persona colpita né i suoi parenti, né fornitori di servizi né istituzioni – sia spinto direttamente o indirettamente a offrire o utilizzare il suicidio assistito», e per rispondere all’eredità e al compito lasciato alla Chiesa austriaca dal cardinale Franz König: la tutela della vita umana.

LA GRANDE EREDITÀ DEL CARDINALE

Come ricordò nell’omelia per i funerali il cardinale di Vienna Christoph Schönborn (anche lui sul Kronenzeitung ha denunciato «la pressione su ammalati stanchi e sofferenti che si percepiranno come ostacolo per gli altri» dopo la decisione dei giudici), l’ultimo grosso impegno politico-sociale del cardinal König fu proprio l’assistenza ai morenti e la richiesta di proibire in Austria l’eutanasia anche costituzionalmente, in modo da indicare e confessare una cultura della vita e dare un segnale all’Europa: «Scrisse una commovente lettera al presidente della Convenzione costituzionale, l’Österreich-Konvent: “Come cittadino di questo Paese sono fiero che in Austria ci sia un largo consenso politico – al di là di tutti gli schieramenti partitici – su questo: ogni uomo dovrebbe morire tenendo per mano un altro uomo, e non per mano di un altro uomo”».

Foto Ansa

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