La preghiera del mattino

Attenti a ridurre Putin a un caso da psichiatria

Vladimir Putin
Il presidente della Federazione russa Vladimir Putin (foto Ansa)

Sul Post si scrive: «Nella notte tra mercoledì e giovedì le forze russe hanno conquistato la città di Kherson, nel Sud dell’Ucraina, il primo grosso centro abitato dall’inizio dell’invasione: la città ha quasi 300 mila abitanti e si trova in una posizione importante per l’avanzamento delle truppe russe. Proseguono inoltre, praticamente ininterrotti, i bombardamenti delle principali città ucraine».

La resistenza ucraina è eroica. Ma non credo sia utile, per aiutarla, sottovalutare la potenza dell’esercito russo.

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Su Fanpage si scrive: «Le news dell’ultima ora sulla guerra tra Russia e Ucraina nel nono giorno di conflitto. Attacco russo nella notte alla centrale nucleare di Zaporizhzhia: “Ora è in sicurezza”. Zelensky accusa: “Mosca ricorre al terrore nucleare, vuole ripetere Chernobyl”, ma allarme è rientrato».

The fog of the war, la nebbia della guerra copre e coprirà tutte le notizie che arrivano dallo scenario dei combattimenti.

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Su Leggo si scrive: «C’è l’intesa sui corridoi umanitari per far evacuare i civili dalle zone dei combattimenti “più cruenti” e portare cibo e medicinali nelle città ucraine sotto attacco. Per la tregua vera, invece, niente da fare. Solo cessate il fuoco limitati al passaggio dei civili nelle vie di fuga individuate. E i dettagli devono ancora essere definiti».

Che le trattative proseguano è indispensabile. Mentre si colpiscono gli interessi russi per le responsabilità di Mosca nell’aggressione a Kiev, è necessario tenere aperti i canali della diplomazia.

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Su Affaritaliani si scrive: «Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky durante una conferenza stampa a Kiev ha detto di dover parlare con il suo omologo russo Vladimir Putin perché “non ci sono altri modi per fermare questa guerra”. “Non si tratta di voler parlare con Putin. Penso di dover parlare con Putin”, ha dichiarato, “il mondo deve parlare con Putin, perché non ci sono altri modi per fermare questa guerra. Ecco perché devo farlo”».

Zelensky, leader eroico della resistenza ucraina che si è rifiutato di lasciare il paese, dice chiaramente qual è oggi l’unica via di uscita.

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Su Open si scrive: «“Sarebbe stato meglio che le sanzioni fossero partite prima della guerra, ma avranno un effetto devastante sulla Russia. Putin ha fatto il passo più lungo della gamba”. Ne è convinto l’economista Vladimir Mirov, che lavora con Navalny e sottolinea in un’intervista rilasciata a La Stampa che Mosca ha riserve per due settimane e poi dovrà fermarsi: “Non hanno ancora capito che la Russia è piombata in una crisi economica che sarà peggio di quella del 1991. Diamogli altre due-tre settimane per comprendere la realtà: non ha le risorse per proseguire la guerra”».

Come è stata trattata la Russia nel 1991 è una delle cause della politica putiniana. L’opposizione al Cremlino è naturalmente da ammirare per il suo coraggio e per la saldezza dei suoi princìpi etici, ciò non deve impedire di avere una visione realistica dei processi in corso.

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Su Strisciarossa Paolo Soldini scrive: «Più d’uno ha notato, in questi ultimi giorni, una percepibile diversità tra i proclami putiniani e quanto va dichiarando, e forse tessendo nelle segrete stanze della diplomazia, il suo ministro degli Esteri Sergej Lavrov. Mentre il Capo liquidava come una banda di ubriaconi e neonazisti i dirigenti di Kiev, il ministro ha detto un paio di volte che “siamo pronti a parlare con Zelensky”, ha evocato la possibilità di una tregua della guerra che Putin vuole invece fino al “raggiungimento degli obiettivi”, ha bagnato le polveri della minaccia nucleare evocata dallo stesso Putin, mentre qualcuno del suo entourage si è spinto a sostenere che la possibilità che l’Ucraina faccia parte dell’Unione Europea non deve essere necessariamente un tabù. È la solita storia del poliziotto buono e del poliziotto cattivo? Forse. Ma i distinguo di Lavrov non sono l’unico segnale che fa pensare a un Vladimir Putin isolato, chiuso nella torre d’avorio delle proprie certezze un po’ maniacali, restio a tener conto del parere dei propri diplomatici e addirittura dei propri servizi segreti. La dissidenza che va manifestandosi rumorosamente nella società civile, sia pure, forse, più nelle grandi città che nella Russia profonda, la ribellione degli oligarchi rovinati dalle sanzioni, lo scontento popolare per gli effetti del crollo rovinoso del rublo cominciano a trovare eco nelle stanze più esclusive del Cremlino?».

L’analisi di Soldini è intelligente, però starei attento a sottolineare soprattutto gli elementi psichiatrici dell’atteggiamento di Putin, che in realtà interpreta sentimenti diffusi del popolo russo. E se non si analizzano questi sentimenti, non è facile individuare una via di uscita.

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Su Atlantico quotidiano Musso scrive: «Insomma, le contromisure prese da Mosca svelano la natura della sanzione fine-di-mondo imposta dall’Occidente, come misura adatta ad impostare un regime di regolamento delle partite incrociate. Al quale potrà collaborare la Banca dei Regolamenti Internazionali. E che non dovrebbe necessariamente comportare l’interruzione di tutte le relazioni commerciali».

Anche su un sito dove è più combattiva la volontà di far prevalere le ragioni della libertà su quelle della forza, si invita a ragionare con attenzione e senza propagandismo sugli effetti delle sanzioni su Mosca.

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Sul Sussidiario Paolo Quercia, docente di Studi strategici all’Università di Perugia e direttore di GeoTrade, dice: «Le sanzioni non dovrebbero essere messe per scopi punitivi, o per favorire il regime change a Mosca, ma come strumento per tentare di condizionare il comportamento nel conflitto dei russi. Non è detto che funzionino ma sono il migliore strumento che abbiamo. D’altronde numerosi sono anche i casi in cui lo strumento militare è inefficace e così quello diplomatico. Qui fondamentale è come viene costruito l’impianto sanzionatorio, la politica delle eccezioni, il livello di multilateralismo su cui si riesce a coinvolgere gli altri paesi».

Anche tra chi considera l’uso delle sanzioni l’unico strumento per contrastare l’aggressione di Mosca all’Ucraina, c’è chi spiega come si tratti di agire politicamente e non retoricamente, pena pesanti contraccolpi.

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Su Huffington Post Italia Alfredo De Girolamo ed Enrico Catassi scrivono: «Messaggio chiaro ed inequivocabile dell’allineamento del capo della diplomazia israeliana a Washington. Nonostante Bennett manifesti imbarazzo e sussurri qualche preoccupazione di troppo: “Aiutiamo l’Ucraina, rimanendo calmi”. E parli al telefono, con una certa frequenza, sia con Zelensky che con Putin. Stessa patata bollente si è trovato in mano Erdogan, invitato “caldamente” a prendere le distanze dall’amico-nemico. La chiusura del Bosforo resta indubbiamente un segnale di aperta ostilità ma, allo stesso tempo, sembra essere il massimo sforzo che la Turchia è disposta a spendere. Anche in questo caso sul tavolo incombono strategie militari e commerciali, da misurare con accuratezza ed attenzione. La larga sintonia tra lo zar e il sultano è cosa nota. Sul piatto del Cremlino pesano: programma di difesa missilistico, centrali nucleari, gasdotto, infrastrutture e molto altro ancora. A favore dell’Ucraina ci sono gli accordi con Kiev per la vendita di materiale bellico. A cui vanno aggiunti i benefici economici e finanziari garantiti da Bruxelles e, ovviamente, la partecipazione alla Nato. Infine, il solito nemico dell’Occidente, Teheran. L’Iran può rivendicare di essere stato il primo stato al mondo a dissociarsi dalle critiche a Putin, e ad aver accusato del conflitto in Ucraina esplicitamente la Nato. Chiudendo così la strada alle carovane del dialogo sul nucleare, forse per sempre».

Anche un sito impegnato con particolare fermezza a contrastare l’invasione russa dell’Ucraina, non manca di sottolineare come in Medio Oriente Mosca sia ancora considerata un interlocutore decisivo per evitare, in uno scenario di un’area stracolma di tensioni, esiti pericolosi.

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Sulla Zuppa di Porro Beatrice Nencha scrive: «La Cina, sempre tirata per la giacchetta in questa escalation militare russa in Ucraina, da che parte sta? E quanto il Cremlino può contare sulla “solidarietà”, unita a una forte dose di realpolitik, di Pechino? Sfogliando il popolare China Daily di questa settimana (25 febbraio-3 marzo), siamo incappati in un articolo interessante, anche se non parte dalla prima pagina. Ma che, sin dal titolo, non può lasciare indifferenti: “Ukraine mere pretext for Us”. Tradotto, gli Stati Uniti stanno utilizzando l’Ucraina come “pretesto” e Washington – si legge nell’occhiello – sta usando “false argomentazioni” per estendere il suo controllo e la sua influenza sulla Nato e l’Europa».

Chi sottovaluta la capacità di Pechino di agire strategicamente nella sua lotta per condizionare e dividere l’Occidente liberaldemocratico, avrà delle spiacevoli sorprese.

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Su Dagospia si riprende un’intervista sulla Repubblica di Concetto Vecchio a Pier Luigi Bersani, nella quale si dice: «Ho votato a favore degli aiuti militari, penso che l’aggressione criminale di Putin non abbia alcuna giustificazione storica, trovo giuste le sanzioni. Ma allo stesso tempo reputo insufficiente l’operato dell’Europa».

Queste parole sono commentate con un titolo che parla del “compagno” Bersanov: ma è veramente arrivato il momento del “taci, il nemico ti ascolta”?

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Sul Sussidiario Antonio Pilati scrive: «La drammaticità dell’invasione ha compattato tutti, partiti e governi, facendo dimenticare l’iter e il contesto della vicenda ucraina. Ma il film non è a senso unico, perché i presupposti di questa guerra non risalgono alla settimana scorsa ma agli anni Novanta. Ricordo che i due maggiori diplomatici americani del dopoguerra, George Kennan, che inventò la politica del containment verso l’Urss, e Henry Kissinger, che la isolò fabbricando l’allora impensabile accordo Usa-Cina, si sono espressi – uno nel 1998 e l’altro nel 2014 – con accenti molto critici sull’espansione della Nato ai paesi dell’ex Patto di Varsavia».

Un altro compagno Pilatov o una persona che chiede di ragionare?

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Su Dagospia si pubblica un articolo di Emanuele Buzzi sul Corriere della Sera nel quale si scrive: «Conte sottolinea che il sì alla risoluzione “è stata una decisione sofferta, un sì che il Movimento limita al contesto che evidenzia il pieno diritto del popolo ucraino a esercitare la legittima difesa”. Il presidente sottolinea come “tra Camera e Senato ci sia stato solo un voto contrario del Movimento. Cosa che, se guardiamo ai numeri dei parlamentari, conferma la maggiore compattezza in termini proporzionali del Movimento rispetto agli altri gruppi parlamentari”».

Sui media italiani la retorica e la propaganda hanno preso il posto dell’analisi critica della realtà. Basta leggere il blog di Beppe Grillo – cioè del vero leader dei 5 stelle da cui dipendono i destini di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio – dove prima dell’aggressione russa in Ucraina si è lodato il ruolo della Cina per la pace e le responsabilità dell’egemonismo americano nell’alimentare pericolose tensioni in Europa, e dopo l’invasione russa non si parla più di politica estera, per capire qual è la vera strategia del “partito cinese” italiano. Altro che le impacciate dichiarazioni di Matteo Salvini.

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