Attentato Strasburgo. Salini: «Europa, chiediti non solo “cosa fai”, ma anche “chi sei”»

Di Emanuele Boffi
14 Dicembre 2018
L'europarlamentare di Forza Italia racconta cosa succede a Strasburgo in questi giorni. «C'è molta retorica. Bisogna recuperare le radici cristiane della nostra unione»

«Avevo in programma due interventi per la sessione serale e dunque mi trovavo in parlamento quando è arrivata la notizia dell’attentato a Strasburgo». La sorte di Massimiliano Salini, europarlamentare di Forza Italia, non è stata diversa da quella dei suoi colleghi e dei collaboratori che nella sera dell’11 dicembre si sono dovuti “barricare” nell’edificio mentre fuori regnava il caos. Racconta Salini a tempi.it: «Il presidente Antonio Tajani ha proposto di continuare i lavori, anche per dare un segnale davanti alla tragedia, cioè che il buon senso deve prevalere sulla follia. È una decisione che ho condiviso, così come tutte le altre persone presenti in quel momento nell’europarlamento. Ovviamente, da quel momento in poi, ogni intervento è stato preceduto da un non retorico pensiero per le vittime e i feriti».

SCORTATI FINO ALL’ALLOGGIO

La nottata è stata lunga. Il personale e i deputati che alloggiavano in centro città sono stati scortati a tarda notte fino alla porta delle loro abitazioni. «In questi giorni la città è bloccata, si fa fatica a muoversi, il clima è militarizzato, ovunque si aggirano militari col fucile in mano, ogni passaggio in punti sensibili è rallentato dai controlli».

ABITUDINE E FATALISMO

C’è una questione, aggiunge Salini, che occorre approfondire perché anche questo evento non venga presto dimenticato, fino al prossimo attentato. «Quel che noto, purtroppo, è una certa assuefazione a tragedie di questo tipo. Accanto all’orgoglio e alla rivendicazione di una “diversità”, occorre anche chiedersi in che cosa siamo diversi dai terroristi islamici». Salini coglie un po’ di fatalismo e di retorica spicciola di fronte al terrorismo islamico: «È come se avessimo creato degli anticorpi che hanno cambiato il nostro metabolismo. È come se il grande corpo democratico europeo si fosse quasi abituato a vivere in questa situazione di pericolo, così, anziché affrontarla, la accetta e tira avanti senza farsi troppe domande».

IL MODO E IL PERCHÉ

Quali domande? «Che cosa contraddistingue questo corpo europeo? Vedo molto individualismo e poca comunità, poco senso di popolo. Il nostro punto debole è che non comprendiamo l’emergenza islamista (sia quando è organizzata in gruppo sia quando è opera di una persona sola, come pare in questo caso) perché non abbiamo consapevolezza di cosa può tenerci uniti, di cosa ci contraddistingue. Sì, siamo una democrazia, cioè? La democrazia è il “modo” con cui stiamo uniti, ma il “perché” lo abbiamo smarrito».

COSA FAI E CHI SEI

«Al parlamento europeo di parla di tutto, davvero di tutto. L’unico tema che non viene mai affrontato è quale sia la radice da cui è sorta questa comunità europea. E non può essere una radice diversa da quella che indicarono i tre fondatori dell’unione Schuman, Adenauer e De Gasperi: la radice cristiana. C’è un imbarazzo culturale a riconoscere come questa sia l’unica radice che accomuna la comunità europea e questo lo si vede spesso quando il parlamento è chiamato a esprimersi su questioni di fondo, decisive, che dicono non solo “cosa fai”, ma anche “chi sei”. Per fortuna, ogni tanto, ce ne ricordiamo: penso ad esempio all’iniziativa di Tajani per dare supporto ad Asia Bibi. Almeno in quel caso emblematico – in cui era lampante la posta in gioco – l’Europa si è mossa. Dovrebbe essere sempre così».

Foto Ansa

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