Astone: «Marchionne non vuole i contratti nazionali»

Di Chiara Sirianni
04 Ottobre 2011
Intervista al giornalista economico Filippo Astone, che non vede di buon occhio l'uscita di Fiat da Confindustria, o meglio «dall'Italia. Confindustria non è un’istituzione, è il sindacato delle imprese: che attorno a un tavolo si accorda con quello dei lavoratori. A quel tavolo, Marchionne non vuole sedersi»

 

Confindustria, addio. L’ad di Fiat Sergio Marchionne si è sganciato dal sindacato degli industriali con due lettere indirizzate ad Emma Marcegaglia. Secondo il top manager la Fiat, «che è impegnata nella costruzione di un grande gruppo internazionale con 181 stabilimenti in 30 paesi, non può permettersi di operare in Italia, in un quadro di incertezze che la allontanano dalle condizioni esistenti in tutto il mondo industrializzato». Che effetti avrà questa decisione sullo scenario economico italiano? È solo il primo passo in direzione di una prospettiva sempre più globale? I contratti di Pomigliano e Mirafiori, quando la Fiat voleva agire fuori dal contratto nazionale, a che cosa sono serviti?

Per Filippo Astone, giornalista economico, la notizia non è tanto l’uscita di Fiat da Confindustria, quantol’uscita di Fiat dall’Italia: «Si preferisce vedere la pagliuzza rispetto alla trave, perché la trave è talmente grande e minacciosa che tutti noi, giornalisti compresi, siamo portati inconsciamente a ignorarla». 

E l’articolo 8? «Solo un pretesto, decisamente non credibile. Marchionne non vuole i contratti nazionali, che gli impediscono di ridurre così il costo del lavoro. Confindustria non è un’istituzione, è il sindacato delle imprese: che attorno a un tavolo si accorda con quello dei lavoratori. A quel tavolo, Marchionne non vuole sedersi».

 E la posta in gioco è alta, altissima. Anche perché «gli accordi fatti con i sindacati americani parlano chiaro: Fiat ha promesso posti di lavoro e soprattutto ha ceduto a Chrysler il suo capitale intellettuale. Non è la mia opinione, c’è scrittonero su bianco. Siamo di fronte alla fine di un’epoca industriale, e non ce ne stiamo rendendo conto».

A settembre il mercato dell’auto in Italia è calato ancora: le immatricolazioni hanno segnato una flessione del 5,7% a 146.388 unità (contro le 155.231 di settembre 2010). A settembre Fiat Group Automobiles ha venduto in Italia 42.538 unità, segnando un calo del 4,7% rispetto alle 44.344 unità di settembre 2010. Ad agosto le immatricolazioni del Lingotto avevano registrato un calo del 3,17%. 

A settembre la quota di mercato di Fiat Group Automobiles in Italia si attesta al 29,06%, in crescita rispetto al 28,56% di un anno fa. Ad agosto la quota del Lingotto era al 29,14%. Solo a Mirafiori gli operai restaranno in cassa integrazione fino a gennaio 2013.

E Confindustria adesso è più debole? «Certamente la mossa di Marchionne ne ha colpito la credibilità e larappresentatività, ma solo da un punto di vista simbolico: per l’associazione degli industriali l’uscita del Lingotto pesa l’1% del giro d’affari complessivo. Ad essere indebolito è piuttosto il Paese, che sta scivolando sempre più nell’abbraccio della povertà e della criminalità organizzata. Stiamo andando verso i Balcani, piuttosto che verso l’Europa».

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