
Assegno unico. «Il giudizio è positivo ma nessuno deve perderci un euro»

«L’assegno unico per i figli nel complesso è una misura positiva, ma ci sono alcuni difetti che vanno corretti». È questo il giudizio di Andrea Cuccello, segretario confederale della Cisl, sul decreto attuativo della Legge Delega 46/2021 licenziato giovedì dal Consiglio dei ministri. L’assegno, che va richiesto all’Inps a partire da gennaio e sarà erogato da marzo, andrà a sostituire gli assegni familiari più varie detrazioni e bonus, come bebè e mamma. L’importo per ogni figlio, dal settimo mese di gravidanza fino ai 21 anni di età, va da 50 a 175 euro in base all’Isee, con maggiorazioni dal terzo figlio in poi e 100 euro in più dal quarto figlio. Secondo i calcoli realizzati dalla Cisl, spiega il sindacalista a Tempi, «circa l’82 per cento delle famiglie ci guadagnerà, ma resta un 18 per cento che invece andrà a rimetterci».
La Cisl è sempre stata a favore dell’assegno unico. Siete soddisfatti?
Il giudizio complessivo è positivo. Questa misura, infatti, allarga il campo dei percettori degli assegni familiari: non più soltanto i lavoratori che rappresentiamo, quelli dipendenti, ma anche gli autonomi e gli inoccupati. La Cisl ha anche fatto una sua proposta al governo durante un incontro del 6 maggio con il ministro Bonetti, dopo aver studiato a fondo l’argomento con alcuni docenti dell’Università di Modena e Reggio Emilia.
Una proposta diversa rispetto a quella poi adottata dal governo?
L’unica preoccupazione che noi abbiamo sempre avuto è che la misura fosse costruita in modo equo e dunque non penalizzasse nessuno. Dalle nostre proiezioni, l’82 per cento dei percettori andrà a guadagnarci, mentre resta un 18 per cento che andrà a perderci da un euro a molto di più. Adesso bisogna fare in modo che queste persone non siano ingiustamente penalizzate.
Non potevate trovare prima una soluzione con il governo?
Abbiamo avuto rapporti di buon vicinato con l’esecutivo, ma durante gli incontri sul tema non ci sono mai stati forniti testi o numeri: il decreto ci è stato raccontato, ma noi di solito siamo abituati a lavorare entrando nel merito dei problemi. Se l’esecutivo fosse stato più dettagliato, e non avesse “secretato” i documenti, avremmo potuto trovare una soluzione subito.
Si parla di un meccanismo perequativo che nel 2022 andrà a compensare le perdite.
Sì, però cala nel tempo: nel 2023 coprirà i due terzi delle perdite, nel 2024 un terzo e dal 2025 sparirà. Questa è un’ingiustizia che va sanata. Ecco perché chiediamo, magari durante l’iter parlamentare, che si intervenga, magari trovando più risorse.
Esistono altre criticità?
Sì. L’importo dell’assegno unico che spetta a ogni famiglia è modulato sull’Isee, che va presentato al momento della domanda. Il governo ha previsto però che anche chi non presenterà l’Isee potrà ottenere l’assegno minimo di 50 euro. Questa decisione mi lascia perplesso: così si creano figli e figliastri. Perché, mi chiedo, chi vuole nascondere qualcosa al fisco deve essere trattato allo stesso modo di chi fa le cose in regola?
I beneficiari sono potenzialmente 7,6 milioni. Prevedete un boom di richieste a Caf e patronati per l’Isee?
È probabile che ci sia e il governo deve impegnarsi a mettere Caf e patronati nelle condizioni di poter soddisfare le richieste.
Oltre all’allargamento della platea dei beneficiari, quali sono gli altri aspetti positivi dell’assegno unico?
Innanzitutto semplifica il regime vigente, facendo ordine rispetto a una serie di prestazioni affastellate e che ora vengono riunite in un solo strumento. Inoltre, viene erogato tramite bonifico direttamente al lavoratore e questo è un elemento importante perché si evitano i contenziosi, che in molti casi ci sono stati, con datori di lavoro che non riconoscevano gli assegni familiari. Infine, è un primo passo verso la costruzione di un’idea di paese dove al centro ci siano le esigenze delle famiglie.
L’assegno unico sarà utile anche per combattere la denatalità?
Ritengo che sia certamente uno strumento di aiuto, anche se il problema denatalità è più profondo e temo non si risolva neanche erogando 3.000 euro al mese per i figli. Su questo fronte, dobbiamo interrogarci sulla nostra società: si finiscono gli studi tardi, si entra nel mondo del lavoro tardi e ci si percepisce anche come adulti troppo tardi. Tempi così lunghi non aiutano a mettere su famiglia e a fare figli. Posto che il tema economico esiste e va affrontato, serve anche una riflessione culturale.
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