
Arrestare senza processo le persone e “farle sparire”? Da oggi in Cina è legale
Da ieri le sparizioni forzate, le cosiddette “black jail“, sono legali in Cina. Grazie all’approvazione di un emendamento al Codice penale da parte dell’Assemblea nazionale del popolo (Anp), il “Parlamento” che si riunisce una volta all’anno e ratifica le decisioni prese dal Politburo del Partito comunista, la polizia potrà arrestare e “far sparire” in luoghi sconosciuti dissidenti, “terroristi” e persone che mettono in pericolo la sicurezza nazionale senza bisogno di prove, di un’accusa o di un processo. La detenzione può durare al massimo sei mesi.
La revisione del Codice penale è passata con 2.639 voti a favore, 160 contrari e 57 astenuti. Il “Parlamento” cinese, i cui lavori si sono conclusi ieri, ha così reso legale la pratica degli arresti indiscriminati. Un articolo della legge prevede però che la famiglia del detenuto debba essere avvista entro 24 ore. Non si capisce, però, se il luogo della detenzione potrà essere rivelato. Come dichiarato dall’avvocato del famoso architetto Ai Weiwei, che l’anno scorso è “sparito” per diversi mesi, c’è poco da essere felici per questa concessione perché «la norma è scritta sulla carta, ma bisogna vedere poi se la legge viene rispettata». Solo nel 2011 sono sparite oltre 3 mila persone. Secondo AsiaNews l’86 per cento degli arresti non aveva alcuna base legale. Quello che preoccupa di più gli attivisti che si battono per la democrazia in Cina è che l’accusa di “danneggiare la sicurezza nazionale” è una formula così vaga che può essere usata contro chiunque non vada a genio al regime comunista.
Sempre nell’annuale sessione del “Parlamento” ha fatto discutere la decisione di aumentare il budget militare dell’11,2 per cento portando così la spesa per l’esercito nel 2012 a 670,3 miliardi di yuan (circa 76 miliardi di euro). È dal 1990 che la Cina aumenta ogni anno la sua spesa militare di oltre il 10 per cento. Si è parlato meno di quanto Pechino spenderà nel 2012 per la sicurezza interna (e quindi anche per le sparizioni forzate): 701,8 miliardi di yuan (circa 80 miliardi di euro), il 13,8 per cento in più rispetto all’anno scorso. A partire da questi numeri si capiscono meglio gli appelli del segretario del Partito comunista Hu Jintao a «mantenere la stabilità sociale», viste le oltre 180 mila proteste di piazza all’anno, e a «difendere il paese dalle minacce esterne e interne».
Nei fatti, soprattutto se si pensa alla recente repressione delle proteste dei tibetani, sembra essere rimasto inascoltato l’appello che il premier Wen Jiabao ha fatto ieri al Parlamento nel suo discorso conclusivo che ha sancito la fine dei lavori annuali: «Dobbiamo attuare riforme strutturali economiche e politiche, soprattutto nell’ambito del sistema della leadership nel Partito e nella nazione». «Senza una efficace riforma politica strutturale – ha aggiunto – sarà impossibile attuare in pieno riforme strutturali economiche. I guadagni che abbiamo fatto in questo campo potrebbero disperdersi». Wen si è spinto a dire che «se i nuovi problemi sorti nella società cinese non si possono risolvere, potrebbe succedere ancora una tragedia storica come la Rivoluzione culturale». È da più di un anno che il premier chiede «riforme strutturali» ma alle sue parole non sono ancora seguiti fatti concreti. Anzi. Le centinaia di persone che in questi giorni si sono presentate davanti al “Parlamento” per presentare petizioni e lamentele, come previsto dalla legge cinese, sono state arrestate, “fatte sparire” o rimandate indietro. Wen ha parlato però in modo più esplicito di altre volte, forse perché questo potrebbe essere il suo ultimo discorso ufficiale, in vista del rinnovo il prossimo autunno della Commissione permanente del Politburo del Partito comunista.
twitter: @LeoneGrotti
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