La preghiera del mattino

Armi per affrontare la guerra in Ucraina con pensiero strategico invece che retorica

Manifestazione a Zurigo contro Putin e la guerra in Ucraina
Manifestazione a Zurigo contro Vlarimir Putin e la guerra in Ucraina (foto Ansa)

Sul sito del Tgcom si scrive: «L’invasione russa dell’Ucraina e il conflitto armato entrano nel loro sesto giorno. La regione di Kiev è ancora teatro di bombardamenti e il governo ha temporaneamente revocato l’obbligo di visto d’ingresso per qualsiasi straniero disposto a combattere contro le truppe di Mosca. Il presidente ucraino Zelensky propone di bandire la Russia da tutti i porti e gli aeroporti del mondo e definisce un “brutale crimine di guerra” il bombardamento sulla città di Kharkiv. Intanto l’Ue e la Nato chiedono il ritiro immediato dei contingenti russi dall’Ucraina. Gli Stati Uniti fanno sapere che non invieranno truppe. Il convoglio di mezzi militari russi alle porte di Kiev è lungo oltre 60 chilometri».
Nel mattino del primo di marzo la guerra in Ucraina è ancora in pieno svolgimento, la condanna dell’invasione russa con i conseguenti provvedimenti a sostegno di Kiev e contro Vladimir Putin e i suoi, non può non rimanere la più ferma. Ma, nello stesso momento anche le vie di una pace (realisticamente) giusta, devono restare aperte.

Su Strisciarossa Paolo Soldini scrive: «Se le cose stanno veramente così, l’uomo del Cremlino avrebbe rinunciato al regime change, cioè l’eliminazione di Zelensky e la sua sostituzione con un presidente “amico”, che gran parte degli osservatori davano dall’inizio dell’offensiva come il suo vero obiettivo. È davvero così? Se sì, che cosa avrebbe convinto Putin a venire a più miti consigli? La resistenza militare degli ucraini, molto più forte ed efficace del previsto? La paura che le sanzioni occidentali, anch’esse molto più forti, efficaci e soprattutto decise all’unanimità, gli alienino il consenso dell’opinione interna? Gli scricchiolii del suo potere stanno certamente aumentando, come ha scritto su Strisciarossa Sergio Sergi. Oppure, nell’ipotesi più nera, confida che a far sparire dalla scena il coraggioso Zelensky provvedano gli “specialisti” della Wagner?».
Nonostante prosegua lo scontro armato, qualche spiraglio negli incontri tra russi e ucraini forse si è aperto. Soldini offre qualche spunto su questo tema.

Su Dagospia si scrive: «A mettere il bastone tra le ruote è arrivata la gravissima gaffe di Ursula von der Leyen con la sua dichiarazione, proprio nel momento in cui si aprivano i negoziati, di far entrare subito l’Ucraina nella Ue. Oggi sono intervenuti Macron, Scholz e Draghi; e Ursula ha fatto marcia indietro con le parole di Josep Borrell che ricopre la carica di alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza: “Adesione all’Ue per ora non è in agenda”».
Nelle prossime ore si capirà se le ragioni della pace potranno prevalere. È comprensibile lo sforzo di Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Josep Borrell di non creare ostacoli a questo sforzo.

Sulla Nuova Bussola quotidiana Ruben Razzante scrive: «Certo, meglio mandare armi agli ucraini (in parte inutili e in parte che arriveranno forse troppo tardi per venire impiegate) per lavarsi la coscienza che spedire i soldati europei a combattere sul Dnepr. Tuttavia, se è davvero questa la strada che i leader politici in l’Italia ed Europa intendono percorrere, meglio che si preparino a raddoppiare le spese militari e a mantenere anche in tempi più difficili l’approccio bellicoso che oggi sembrano mostrare con tanta, forse inconsapevole, baldanza».
La guerra in Ucraina ha per gli europei una valenza particolare, da qui un cambiamento nelle strategie diplomatiche-militari rispetto ad altri scenari. Non è inutile però il richiamo di Razzante a riflettere adeguatamente sulle scelte che intraprendiamo, e a non assumerle emotivamente e retoricamente.

Su Atlantico quotidiano Daniele Meloni scrive: «L’appuntamento con la storia dell’Occidente è solenne. In poco meno di una settimana dall’inizio del conflitto abbiamo assistito ad alcuni scossoni alle fondamenta del suo impianto che vale la pena esaminare con attenzione. Gli Stati Uniti hanno parlato, forse incautamente, di “rischio di terza guerra mondiale”, e alcuni stanno rivalutando l’operato di Donald Trump rispetto a quello di un Joe Biden percepito come troppo debole e arrendevole. Nel Regno Unito ha ripreso quota la figura di Boris Johnson, il leader europeo che ha parlato più chiaro di tutti fin da subito, portando con sé tutto l’Occidente sul bando della Russia al sistema Swift dei pagamenti internazionali. La Brexit sembra non avere avuto alcun effetto sul rango del Regno Unito nel mondo. Londra agisce da vice-Usa nell’Est europeo (Polonia e Baltico) e collabora strettamente con la Commissione europea sulle sanzioni, come hanno rimarcato lo stesso Johnson e la presidente Von der Leyen. La Nato ha ripreso ad assumere un ruolo e un valore imprescindibile di fronte all’aggressività di Putin, e le parole di Macron all’Economist sulla sua “morte cerebrale” sembrano sempre più azzardate, così come i piani di leadership francese di una eventuale forza militare europea».
Non pochi rimpiangono non tanto la retorica trumpiana, quanto il realismo di Mike Pompeo, capace di collegare una ferma difesa dei princìpi dell’Occidente con il pragmatismo necessario nell’azione diplomatica-militare. Di Londra si può dire che mentre l’ammirazione per il “culto della libertà” che ispira Johnson è irresistibile, dall’altra ogni tanto (i “volontari” di Liz Truss, il “regime change” del portavoce di Johnson) certe posizioni britanniche sembrano ispirarsi a una logica alla Balaklava, all’idea che la realtà russa sia un trascurabile incidente della storia eliminabile con la carica di una eroica cavalleria.

Sul Sussidiario Giorgio Battisti, già comandante del Corpo d’armata di reazione rapida della Nato in Italia e capo di Stato maggiore della missione Isaf in Afghanistan, dice: «Noi occidentali abbiamo la coscienza sporca. Non volendoci impegnare direttamente ci laviamo la coscienza mandando armi: è il vecchio motto “armiamoci e partite”, ma oggi siamo davanti a una escalation fatta di piccole mosse che, messe tutte insieme, possono portare anche a una catastrofe nucleare».
Ogni tanto si ha la sensazione che tra tanta sciatteria politica e tanta retorica di opinionisti anche qualificati, le uniche oasi in cui si cerca di pensare strategicamente siano rimaste quelle di tanti nostri qualificati uomini dell’esercito.

Sul Sussidiario Claudio Mésoniat, giornalista svizzero, scrive: «Ci si può chiedere infine per quali ragioni da due secoli la neutralità svizzera sia riconosciuta, e ritenuta di un qualche interesse, dalla comunità internazionale. L’utilità è duplice e riguarda da una parte i ben noti interventi umanitari offerti dalla Confederazione sulle scene dei conflitti e dall’altra i cosiddetti “buoni uffici”, ovvero le mediazioni diplomatiche nel caso di guerre ma anche di tensioni permanenti: l’Iran e l’Arabia Saudita, per fare un esempio poco noto, non hanno tra loro rapporti diplomatici e nel quotidiano, al di là di sporadici meeting (semi)occulti, si parlano regolarmente solo attraverso i diplomatici svizzeri delle ambasciate di Teheran e Riad».
Smentendo la novità della posizione svizzera sul conflitto russo-ucraino (da tempo la Confederazione elvetica è impegnata a difendere il diritto internazionale e a contrastarne le deviazioni), Mésionat ricorda però anche come uno Stato neutrale al centro dell’Europa sia prezioso per chi, oltre alle guerre, pensa anche alle future paci.

Su Formiche Massimiliano Boccolini scrive: «Il mondo arabo si presenta cauto davanti alla crisi ucraina. Nessuno ha condannato apertamente l’offensiva militare lanciata dal presidente russo, Vladimir Putin».
Interessante anche la posizione di Israele, dove d’intesa con Volodymyr Zelensky, Naftali Bennett ha aiutato un Roman Abramovič, cittadino sia russo sia israeliano, a svolgere un ruolo di mediazione tra russi e ucraini. D’altra parte Gerusalemme sa quanto sia importante il ruolo di Mosca (dalla Siria all’Egitto alla Libia), dopo i pasticci obamiani, per contenere le influenze turche, iraniane (con le loro propaggini terroristiche) e la minaccia dell’Isis.

Su Formiche Lorenzo Santucci scrive: «Se Pechino dovesse prendere in considerazione l’opinione che gira su Internet, appoggerebbe Vladimir Putin nella sua operazione militare. La cautela mostrata dalla Cina in merito alle misure da adottare contro la Russia non rispecchia infatti quella degli utenti cinesi, molto più netti nella posizione da prendere. Contrariamente all’idea generale, sulle piattaforme online si tessono le lodi di Vladimir Putin, l’uomo che sta combattendo l’Occidente. Un misto di ammirazione e comprensione che accomuna i tanti utenti cinesi, che se non sono apertamente favorevoli alla guerra sono perlomeno fermi oppositori della propaganda occidentale».
L’opinione pubblica cinese all’interno di un regime rigidamente poliziesco, non è proprio tra le più libere del mondo. Però le cose che scrive Santucci ci fanno capire come nel mondo gli avvenimenti che giustamente sconvolgono noi europei, siano spesso visti sotto una luce diversa. E se vogliamo pensare a un Pianeta che proceda sulla base di equilibri internazionali più solidi degli attuali, di questa realtà dobbiamo tenere conto.

Su Affaritaliani si cita un articolo su The Japan News dedicato ad alcune riflessioni del professor di letteratura russa Ikuo Kameyama, presidente dell’Università di Studi esteri di Nagoya: «All’attacco fatto all’Ucraina il primo ricordo che è venuto in mente al professor Kameyama è stata l’ultima giornata delle Olimpiadi di Sochi 2014. Quel giorno stava partecipando alla cerimonia di chiusura proprio come il presidente Vladimir Putin, quando si verificarono disordini politici in Ucraina e il governo filorusso crollò, con il presidente ucraino Viktor Yanukovich costretto a fuggire da Kiev. “Putin deve essersi sentito umiliato da quanto accaduto, perdendo la faccia in un momento in cui la Russia era di nuovo al centro della scena, quando avrebbe dovuto mostrare al mondo che la sua nazione era tornata (post Unione Sovietica, ndr)”, spiega Kameyama. C’è l’identità russa e l’orgoglio personale di Putin nell’ultima invasione in Ucraina, non solo l’identità della Russia come nazione che si oppone all’espansione verso Est dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico. Bisogna capire la Russia per comprendere le mosse di Putin e l’Occidente non sembra in grado di farlo. Occorre considerare l’avvento nella cultura di massa russa del neo-eurasiatismo: quella cultura nata in contrapposizione alla cultura sovietica, tanto che oggi in Russia è idea diffusa tanto tra la classe intellettuale quanto tra la gente comune, che la civiltà russa non sia né europea né asiatica, ma per l’appunto “eurasiatica”. Con la fine dell’Unione Sovietica, Putin ha usato il neo-eurasiatismo come base di una nuova identità nazionale. La Russia è sola in questo percorso. Questa posizione, che cerca di ricostruire una sfera di civiltà centrata sulla Russia, conclude che Russia e Ucraina, che appartenevano entrambe all’ex Unione Sovietica, sono “paesi fratelli inseparabili” e che la Russia non accetterà mai l’adesione dell’Ucraina alla Nato».
C’è un po’ troppa retorica putiniana nelle posizioni del professor Kameyama, però c’è anche la consapevolezza giapponese che il nuovo attore di un possibile ribaltamento del quadro globale, è più la ricca Cina di Xi Jinping che la povera Russia di Vladimir Putin.

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