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Architettura – Palazzo Nuovo a Torino: struttura vecchia, ecocompatibilità nuova

Di Amedeo Badini
01 Luglio 2014

Chi ha visitato Torino è senz’altro entrato dentro la Mole Antonelliana, ad ammirare l’innovativo Museo del Cinema e a farsi sorprendere dall’ardita architettura dell’Antonelli. Se poi ha deciso anche di salire sull’ascensore panoramico, avrà potuto cogliere dalla guglia uno strano edificio subito addossato all’edificio del 1889, monolitico, massiccio, ferroso e dall’aria sporca: stiamo parlando di Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche dell’Università degli Studi di Torino dal 1966.

Si tratta di una costruzione ardita e che con una certa difficoltà si inserisce nel tessuto cittadino. Nel 1958 venne bandito un concorso per la progettazione della nuova sede delle Facoltà umanistiche, da costruire al posto degli edifici militari tra via Sant’Ottavio e via Verdi. Si aggiudicano la gara, ex aequo, Gino Levi-Montalcini e il gruppo di Felice Bardelli, Sergio Hutter e Domenico Morelli. I quattro architetti torinesi sviluppano insieme il progetto esecutivo, che dispone i volumi su fasce parallele: il corpo lineare alto 28 m, che ospita aule piccole al primo piano, e uffici e dipartimenti nei quattro livelli soprastanti, un blocco di altezza inferiore (14 m) destinato alle aule di media grandezza e collegato a quello principale tramite corpi vetrati dedicati alla distribuzione, e la serie di grandi aule in aderenza al corpo principale.

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Il cantiere sperimenta la costruzione di una struttura interamente in acciaio, tra le prime a Torino, e realizza un edificio fuori scala rispetto al tessuto edilizio circostante. La difficoltà di inserire molte funzioni rispetto agli spazi limitati del lotto a disposizione costrinse i progettisti a soluzioni ardite ma allo stesso tempo raffazzonate. La scelta compositiva opta per la denuncia delle diverse funzioni insediate tramite la loro identificazione con altrettanti volumi, e la messa in evidenza della struttura portante. Nel lungo termine il luogo si ritrovò ad essere piuttosto stretto, costringendo l’ateneo a dotarsi di altre strutture nella città di Torino, tra le quali spicca il recente Campus Einaudi.

In Italia è piuttosto difficile, se non impossibile, demolire vecchie o recenti strutture, anche se non sono funzionali oppure sono esageratamente energivore. Patria degli abusi edilizi, anche Palazzo Nuovo è rimasto lì, compiendo però un’interessante e davvero innovativa mutazione. Stante l’impossibilità di levare tutto, l’Università ha deciso di fare di un decadente e mal invecchiato edificio il simbolo di un nuovo tipo di architettura, di un incontro possibile tra il vecchio inefficiente e il nuovo eco e sostenibile. Nel complessivo “Piano Energetico dell’Ateneo”, il simbolo del vecchio ha simboleggiato il nuovo modo di intendere l’architettura, migliorando l’esistente sia esteticamente che funzionalmente. Tra il 2013 e il 2014, con un puntuale  e preciso rispetto dei costi (5.3M€) e dei tempi (14 mesi circa) è  stato realizzata la metamorfosi, grazie ai pannelli solari termici, i pannelli fotovoltaici, il sistema di recupero delle acque piovane e la produzione di energia da fonti ecocompatibili.

In particolare, e dalla Gallery il cambiamento è evidente, è stata effettuata la posa di un isolamento a cappotto per le pareti opache e il tetto e la sostituzione dei serramenti con serramenti a taglio termico e la posa di una facciata esterna. Gli interventi hanno comportato anche un restyling e una rifunzionalizzazione delle parti comuni, delle vie d’esodo e degli ascensori. Aspetto distintivo della riqualificazione dell’involucro sarà la nuova facciata a doppia pelle in vetri basso emissivi e alluminio che riprenderà su 9000 mq le linee dei moduli originari.

In sintesi: come migliorare sensibilmente un edificio che ha faticato a vincere la sfida con il tempo, facendo sì che simboleggi una buona pratica edilizia e architettonica nell’ambito dei consumi energetici e anche dell’impatto estetico. Questo è ciò che è stato fatto a Palazzo Nuovo, e forse solo adesso il nome ha acquisito senso.

@Badenji

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