Tentar (un giudizio) non nuoce

Arabia Saudita: un paese da guardare senza pregiudizi

Di Raffaele Cattaneo
21 Settembre 2024
Pur tra mille contraddizioni ci sono i segni di un cambiamento tumultuoso e radicale. Appunti di ritorno da Riyad
Arabia Saudita (Ansa)
Arabia Saudita (Ansa)

Nel tavolo all’altro lato del ristorante – dove a cena con il nostro Ambasciatore Carlo Baldocci e il suo vice Giuliano Fragnito, entrambi bravissimi, stavamo tirando le somme della nostra missione -, a un certo punto si è alzato un coro ed è comparso un cartello con la scritta “Happy Birthday”: un gruppo di amici festeggiava allegramente un compleanno.

Che c’è di strano direte voi? C’è che siamo a Riyad, capitale dell’Arabia Saudita, dove formalmente questo è ancora un reato e fino a prima del 2016 si poteva essere arrestati anche solo per aver festeggiato un compleanno privatamente nella propria abitazione. È successo anche a un dipendente di un amico ingegnere italiano, in Arabia da una decina di anni, che ne è stato testimone e me lo ha raccontato. Un Paese in cui ancora vige la pena di morte (e le esecuzioni purtroppo proseguono tutt’ora) per reati che includono non solo omicidi o terrorismo, ma formalmente anche adulterio, spaccio di droga, rapina a mano armata. Nel quale fino al 2018 alle donne non era consentito guidare, che per lavorare avevano bisogno di un permesso scritto del loro tutore maschio e dove nei ristoranti mettevano i separé per non vedere cosa accadeva nel tavolo accanto. Inoltre un Paese nel quale è reato la professione e il culto anche privato di una religione diversa dall’Islam e fino al 2016 esisteva una attiva polizia religiosa incaricata di “reprimere i vizi e promuovere la virtù”. Facile dunque capire perché verso un Paese così si siano sviluppati pregiudizi e timori fino a poco tempo fa tutt’altro che ingiustificati.

Apertura internazionale

L’episodio che ha chiuso la mia permanenza a Riyad (questa settimana infatti sono stato alcuni giorni nella capitale dell’Arabia Saudita, con una missione istituzionale di Regione Lombardia guidata dal Presidente Fontana e che includeva importanti stakeholders della nostra regione) è stato però emblematico di quello che ho visto.

Sono rimasto molto impressionato dai cambiamenti che sta attraversando questo Paese: in pochi anni, in particolare dopo il 2016, sotto l’impulso della casa regnante, l’Arabia ha imboccato rapidamente la via dell’apertura internazionale e della trasformazione da Paese chiuso e ripiegato sulle proprie convinzioni e convenzioni in un luogo più aperto e moderno. Lo si vede non solo e non tanto nella pur impressionante trasformazione urbanistica e architettonica che ha reso la capitale Riyad un immenso cantiere a cielo aperto, grazie ad alcuni dei mega progetti di Vision 2030 voluta dal principe ereditario e primo ministro Mohammed Bin Salman per rendere il Paese meno dipendente dal petrolio, quanto piuttosto in mille segni di novità sociale impensabili fino a qualche anno fa: dalle ragazze sedute nei ristoranti che chiacchierano amabilmente, anche senza velo, al clima di maggiore libertà di espressione artistica e culturale, al tentativo che la monarchia sta facendo di smarcarsi dal legame storico con la tradizione religiosa wahabita, frangia islamica più conservatrice dell’Islam sunnita.

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Certo non mancano le contraddizioni in questa monarchia che ambisce ad essere la potenza regionale di riferimento per tutta l’area Mena (Middle East North Africa) in alternativa all’Iran, ma non si possono tacere i segni di un cambiamento tanto rapido quanto tumultuoso e radicale, non solo economico, ma anche sociale e culturale. Oggi a Riyad si respira un’aria di rinnovata vitalità, di sguardo al futuro, di apertura al nuovo, di attenzione all’innovazione e alla sostenibilità che ne fanno un Paese diverso e più vivibile per chi era abituato a frequentarlo in passato.

Arabia Saudita (Ansa)
Arabia Saudita (Ansa)

Lo sport e i cristiani

Quale è la conseguenza di tutto ciò? Innanzitutto che si aprono molte opportunità di collaborazione e nuovi spazi di libertà, anche religiosa. Certamente molte opportunità nel campo del business, delle possibilità per le nostre imprese di fare buoni affari e trovare nuovi mercati, in vista di grandi eventi come l’Expo 2030 e forse persino la coppa del mondo di calcio nel 2034. Ma anche in quello culturale, alla luce di una forte domanda, che si concretizza nella realizzazione di nuovi teatri, musei, centri di dibattito intellettuale, persino della prima opera lirica in lingua araba. Così come nel campo della formazione, delle università, delle attività educative e dello sport. Lo sport in particolare è uno dei pilastri della Vision 2030, non solo per gli ingaggi multimilionari di Ronaldo e soci (da ultimo proprio in queste ore l’allenatore Pioli), ma della volontà di creare infrastrutture e iniziative per coinvolgere i giovani, che rappresentano 2/3 della popolazione.

Spazi di libertà maggiore anche per la presenza cristiana, che in clandestinità esiste da sempre, ma che ora comincia ad essere tollerata almeno nelle sedi private, in attesa che si possano stabilire migliori relazioni con il Vaticano e auspicabilmente spazi di libertà anche pubblici.

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Qual è allora il nostro compito? Io credo quello di incentivare la collaborazione e usare al meglio di queste opportunità e di questi spazi di libertà e di iniziativa. Perché non è fomentando lo scontro tra occidente cristiano ed oriente islamico, con la sua cultura, così diverse dalla nostra eppure così profonda e radicata nel tempo, che costruiremo un futuro migliore, ma favorendo l’incontro, la conoscenza e la collaborazione, unica via per rafforzare l’amicizia fra i popoli e costruire la pace. Anche attraverso il piccolo contributo di una visita istituzionale che apre a iniziative comuni.

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