La bella statuina di Torino

Di Daniele Guarneri
10 Ottobre 2016
I primi cento giorni di Chiara Appendino. La sindaca grillina si allea con la sinistra, studia, apre tavoli ma non prende alcuna decisione. E in città si parla di "chiappendino"
Sergio Chiamparino (S) Presidente Regione Piemonte e Chiara Appendino Sindaca di Torino durante l'inaugurazione della nuova sede della Direzione Generale dell'Agenzia per il lavoro in Via Pisa a Torino, 29 Settembre 2016 ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Una affonda, l’altra cavalca l’onda. Una, chiamata a governare la Capitale, traduce la sua campagna elettorale in scelte che si rivelano un disastro. L’altra, scelta per guidare la vecchia capitale d’Italia, vive ancora di slogan e promesse come se le elezioni non ci fossero state. La differenza tra Virginia Raggi e Chiara Appendino, al momento, sta tutta qui: a Roma sono già in molti ad essersi pentiti, a Torino non ancora, anzi i sondaggi restano favorevoli. Da uno degli ultimi studi Piepoli emerge che Appendino dà buone sensazioni al 55 per cento degli intervistati e il 61 per cento crede che stia facendo bene a livello politico. Deve averci pensato anche Beppe Grillo quando a Palermo, al raduno nazionale dei pentastellati, si è ripreso le redini del Movimento: asfaltare tutti o salvare qualcuno? Il comico ha scelto di bacchettare i suoi delfini, a partire da Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. Niente da dire su Roma, meglio evitare. Unica promossa: Chiara Appendino.

Eppure basta leggere qualche quotidiano per capire che non tutto quadra e soprattutto che spesso i media sono più teneri nei confronti del sindaco di Torino rispetto alla collega di Roma. Qualche esempio è utile.

Quando Raggi ha detto definitivamente no alle Olimpiadi è scoppiato un putiferio (come se fosse una novità: in campagna elettorale ha sempre assicurato che ai Giochi ci avrebbe pensato una volta eletta, ma si è sempre saputo quanto i grillini fossero contrari). I quotidiani hanno ospitato giudizi non teneri nei confronti del neosindaco e hanno sottolineato l’occasione persa per la città. A nord, Torino perde il Salone del Libro che trasloca a Milano. E i giornali? La “sindaca” è stata bravissima perché ha strappato il 50 per cento di sconto sull’affitto del Lingotto per una diversa manifestazione che, comunque, sarà organizzata. Ma un Salone del Libro senza i grandi editori è come una Champions League senza i migliori club d’Europa: puoi organizzarla, ma certamente avrà pochissimo appeal e nessuno avrà interesse a investire grandi budget per quell’evento.

Altro esempio. A Torino, rispetto ai patemi romani, la giunta è stata composta senza troppe difficoltà. D’accordo. Ma perché nessuno parla di come Appendino ha gestito la “grana” del Po? Il fiume è stato infestato da un’alga che ha messo a rischio l’ecosistema fluviale. Così una domenica d’agosto, volontari e sindaco in testa, si sono dati da fare per estirpare a mano le erbacce acquatiche. Una scelta sbandierata su tv e siti web, che ha avuto il suo effetto mediatico. Solo che, grazie a questa operazione green, la pianta tropicale è tornata a propagarsi ancor più velocemente.

Parole, parole, parole
«La sua fortuna è che ha una collega che si chiama Virginia Raggi. Ogni scelta del sindaco di Roma si è rivelata disastrosa, ma a Torino non si sbaglia solo perché non si fa nulla. Solo dichiarazioni sui giornali, ma i fatti concreti latitano», spiega a Tempi Silvio Magliano, consigliere comunale eletto nella lista Moderati per Fassino. Che Appendino sia, per certi aspetti, una grillina atipica lo dice anche il suo profilo. Laurea in Bocconi, famiglia legata agli ambienti che contano, un importante imprenditore come marito. Magliano la considera una donna preparata, capace e rassicurante. E questa è l’immagine che, con una certa fortuna, la sindaca è finora riuscita a imporre, se è vero, come certificato da un sondaggio, che è apprezzata dal 59 per cento dei torinesi. Sa andare d’accordo con tutti ed è questo che la differenzia dagli altri colleghi del Movimento. Sul palco di Palermo l’ha confermato lei stessa: «Ricevo spesso i cittadini, solo ascoltandoli ne capiamo i bisogni. Loro sono la bussola delle scelte degli amministratori locali. Non dobbiamo chiuderci nei palazzi». E infatti Appendino in questi tre mesi è stata molto impegnata in un tour nelle periferie della città, in quei quartieri che durante la campagna aveva promesso di rivitalizzare: «È giusto ascoltare», dice a Tempi Elide Tisi, ex assessore alle Politiche sociali oggi ai banchi dell’opposizione. «Dall’ascolto si possono trovare le soluzioni ai problemi. Ma dopo tre mesi quali sono queste soluzioni? Non basta ascoltare, occorre agire».

A quando la rivoluzione?
Prima delle elezioni Appendino prometteva una rottura con il sistema, con i politici di professione, con gli inciuci, gli sprechi e le ruberie, salvo poi creare una sinergia con il presidente della Regione Sergio Chiamparino sul tema Salone del Libro. Ma il M5S non è alternativo al Pd? Sotto la Mole a questa sinergia hanno già trovato il nome: “Chiappendino”. Che il periodo di rodaggio della giunta torinese, dopo cento giorni, non sia ancora terminato, ha iniziato a farlo notare con continuità anche l’editorialista delle pagine torinesi della Stampa Luigi La Spina. Sull’attendismo della giunta scrive: «Strategia comprensibile e, forse, opportuna, ma che ormai deve prevedere i primi passi di concreta realizzazione delle promesse che ancora risuonano nelle orecchie di chi l’ha voluta a Palazzo di città. Perché certamente ai suoi elettori non bastano le retrospettive polemiche con Fassino sulla vera situazione dei bilanci comunali, né le scaramucce con il Pd sulle piccole beghe quotidiane». Quando poi gli eventi incombono e bisognerebbe prendere delle decisioni, spiega Tisi, «la giunta Appendino usa sempre lo stesso refrain: dobbiamo capire prima di agire». Ma «la politica – scrive ancora La Spina –, quando si passa dai buoni propositi alla pratica della dura realtà quotidiana, non concede mai il beneficio delle illusioni. Soprattutto, quando dalla più comoda sponda dell’opposizione antisistema, ci si candida a entrare in quel sistema, sia pure per cambiarlo». Per il momento, invece, a Torino sembra si stia giocando alle belle statuine. Si fanno tante promesse, ma quando si tratta di agire vince chi rimane completamente immobile. Ad esempio, sul versante infrastrutture, permane il no alla Torino-Lione. Ma il Comune ha le competenze per bloccare l’opera pubblica? No. E allora per tenere buoni gli attivisti, Appendino cosa si inventa? Lo sfratto degli uffici dell’Osservatorio dagli edifici comunali.

Magliano fa a Tempi qualche altro esempio. «Il trasporto per le persone con disabilità a partire dalla prossima metà di ottobre non potrà essere più garantito poiché, ha dichiarato l’assessore ai Trasporti pubblici Maria Lapietra, i fondi sono esauriti. E la giunta che fa? Apre un tavolo di discussione per trovare la soluzione migliore. Fanno sempre così, studiano, aprono tavoli, concertano, parlano. Ma non decidono, e il 16 ottobre in città avremo un problema in più. Per risolvere la questione delle alghe nel Po l’amministrazione Fassino aveva ipotizzato un costo di circa 40 mila euro. La nuova giunta ha optato per uno sradicamento manuale che però ha peggiorato la situazione e ora si parla di una spesa superiore ai centomila euro. L’assessore all’Urbanistica e vicesindaco Guido Montanari ha bloccato tutte le opere di riqualificazione e i nuovi insediamenti industriali che erano stati progettati. La ragione è sempre la stessa: no alle grandi opere, no alla “cementificazione”. Con un paio di problemi, non banali. Primo, rinunciando alle opere infrastrutturali, rinunci allo stesso tempo a tutti gli oneri di urbanizzazione che ne derivano. L’anno prossimo come si chiuderà il bilancio? Secondo, lo scorso anno si era presentato un grande industriale interessato a riqualificare la zona dove oggi sorge – in uno stato di totale abbandono – la pista da bob realizzata per le Olimpiadi invernali del 2006. Era un piano interessante perché prevedeva la bonifica e il rilancio di tutta l’area per un investimento di oltre un centinaio di milioni di euro, un progetto a cui la nuova amministrazione si è opposta: evidentemente preferiscono i prati ai nuovi investitori. In ogni caso, si tratta di un’altra occasione mancata».

Che la preoccupazione sia elevata in Consiglio comunale lo sottolinea ancora Tisi: «La macchina amministrativa per fortuna non si ferma e Torino, nonostante i problemi, non può essere paragonata a Roma. Però i politici devono governare, devono guidare questa macchina. Fare decadere le delibere della vecchia giunta è una scelta, ma non basta. Hanno bloccato le opere urbanistiche, ora devono spiegarci come intendono trovare e ricalibrare le risorse economiche necessarie per garantire la continuità dei servizi offerti dal Comune».

Pagamenti (sempre più) in ritardo
Un’indagine di Repubblica la settimana scorsa ha messo a confronto Milano, Torino e Roma. Il paragone con la capitale è impietoso, le due città del Nord si muovono a una velocità imparagonabile. Repubblica ha sottolineato le ben 209 delibere di giunta che sono state approvate a Torino. È ancora Magliano a leggere con precisione il dato: «La maggior parte sono state delibere di continuità o revoche, cioè nulla di nuovo: hanno approvato scelte dell’amministrazione precedente, oppure le hanno fatte decadere». Tra le decisioni politiche considerate «più rilevanti» c’è poi «lo stop ai pagamenti comunali per 45 giorni. Hanno avuto la brillante idea di fermare la macchina dell’amministrazione per capire come funziona e se spende troppo. Peccato che tutte quelle cooperative o imprese o liberi professionisti a cui il Comune ha appaltato i servizi siano già pagati con enorme ritardo (ma questo è un male italiano) e ora dovranno aspettare un mese e mezzo in più (e questo è un male tutto torinese)». 

Foto Ansa

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