Antimafia. Chi succederà a Grasso? Ecco i diciotto nomi e di due favoriti

Di Chiara Rizzo
04 Aprile 2013
Tra i papabili il procuratore capo di Salerno, Franco Roberti, che indagò su Calciopoli, e il collega di Bologna Roberto D'Alfonso, che ha indagato su Vasco Errani

Sono scesi in campo più numerosi di una squadra di calcio. Sono 18 le toghe candidate alla poltrona di Procuratore nazionale antimafia, per prendere il posto lasciato libero da Piero Grasso lo scorso gennaio, quando è andato in pensione e poi si è candidato al senato con il Pd. Ieri è scaduto il termine per le candidature al Consiglio superiore della magistratura, e oggi è già scattato il toto-nomine. I papabili saranno valutati dalla Commissione incarichi direttivi, che probabilmente selezionerà i nomi entro maggio, perché poi il plenum del Csm dia un voto definitivo. A questa “tornata” (la quarta dall’istituzione della Direzione nazionale antimafia) si sono presentati più del doppio dei candidati del 2005, quando vinse Grasso. Il tutto avviene proprio nei giorni in cui si torna a polemizzare con nuova ferocia sulla nomina di Grasso rispetto all’“avversario” dell’epoca, Giancarlo Caselli (proprio questa mattina, la prima commissione del Csm ha avviato un’istruttoria per valutare se effettivamente Caselli sia stato bersaglio di “accuse e allusioni suggestive” da parte di Grasso, nel corso della trasmissione Piazzapulita).

I CRITERI DI SCELTA. Sono diversi gli elementi che pesano nella scelta del candidato, e tra questi sicuramente anche quelli di un equilibrio che permetta di ritagliarsi un ruolo super partes rispetto alla politica, spesso coinvolta a doppio nodo nelle indagini sulla mafia coordinate dalla Dna. Un po’ difficile trovare un nuovo profilo come quello di Grasso, che era ritenuto alla superprocura un vero “capo”, vista la lunga esperienza come giudice a Palermo (era stato giudice a latere nel primo maxiprocesso a Cosa nostra). Lo stesso dicasi anche rispetto al profilo del predecessore di Grasso, Pier Luigi Vigna, che pur essendo per età, esperienza e carattere era ritenuto un “saggio” indiscusso.

Oggi alcuni dati rendono necessaria un’estrema cautela nella nomina: non tanto la recidiva polemica per la mancata nomina di Caselli, ma il fatto che in Sicilia siano in corso inchieste molto discusse, in particolare quella sulla presunta trattativa Stato-Mafia. Ciò spinge in molti al Csm ad escludere la nomina di un magistrato siciliano alla Dna, in modo da evitare polemiche. Inoltre, di solito, si verificata un’alternanza tra esperti in materia. Dopo Grasso, conoscitore di Cosa nostra, ora sarebbe il turno di un esperto in ‘ndrangheta o camorra.

 

SFAVORITI. Per questi motivi sono deboli le nomine di toghe come Sergio Lari, procuratore capo di Caltanissetta, tra i principali sostenitori della tesi “trattativa Stato-mafia”: è stato Lari a coordinare alcune delle indagini sulla strage di via D’Amelio in cui fu ucciso Paolo Borsellino, che hanno portato alla riapertura del processo. Lari è stato spesso alla ribalta mediatica per la gestione del pentito Gaspare Spatuzza e per lo scontro con la procura di Palermo, per il giudizio su Massimo Ciancimino e per le indagini sul procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo. Fuori dalla corsa, probabilmente, anche l’altro siciliano attuale procuratore capo di Messina, Guido Lo Forte (della corrente sindacale Unicost), nome di spicco dello storico pool Caselli. Lo Forte, infatti, è stato uno dei pubblici ministeri del processo Andreotti, che spesso si trovò in posizione di scontro con Grasso quando questi era suo capo alla procura, fino a che nel 2004 non lasciò Palermo. Poi c’è il nome di Sandro Ausiello, oggi procuratore aggiunto a Torino, così apprezzato dai colleghi da essere ritenuto “papabile” come successore di Caselli. A parte loro, ci sono altri sette capi di procura, tre procuratori aggiunti, due procuratori generali e per la prima volta nella storia anche due donne. Molti i nomi che si sono guadagnati l’attenzione dei giornali con le loro inchieste, tra i quali il procuratore aggiunto di Roma, Gianfranco Capaldo (titolare delle indagini per omicidio volontario a carico dei due marò, e dell’inchiesta Emanuela Orlandi), il capo della procura di Lecce Cataldo Motta (inchiesta sull’attentato alla scuola Falcone di Brindisi-omicidio Melissa Bassi); il procuratore Luigi De Ficchy di Tivoli (caso Rignano-Flaminio).

 

I PAPABILI. Spiccano tra i favoriti due nomi. Sono quelli del napoletano Franco Roberti (della corrente di sinistra nella magistratura, Movimento per la giustizia), 65 anni, attuale capo della procura di Salerno, e proveniente dalla procura di Napoli, dove si è messo in luce per le inchieste sui clan di camorra, l’arresto del boss latitante Carmine Alfieri, ma anche il caso Calciopoli, per cui ha coordinato le indagini. L’altro è il catanese Roberto Alfonso, 62 anni, (della corrente di destra, Magistratura indipendente) oggi procuratore capo a Bologna e della Direzione distrettuale antimafia dell’Emilia-Romagna: dopo aver lavorato per 15 alla Dna con Vigna e Grasso, in Emilia ha indagato sulle infiltrazioni di ‘ndrangheta e camorra, ma anche su inchieste come quelle sul governatore Vasco Errani (Pd) e quella su Zoia Veronesi (segretaria di Pier Luigi Bersani).

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