
Annunciare il D-day è stato così controproducente da suggerire che forse Berlusconi non voleva un D-day
Gianni Letta è l’interprete più autorevole di Silvio Berlusconi, e se sostiene la grande coalizione per le riforme (come ha fatto sul Corriere della Sera del 15 novembre), vuol dire che il tentativo di far cadere Prodi in Senato è fallito. Ma perché Berlusconi ha scelto questa improbabile disfida, che ha reso più difficile l’abbandono della maggioranza da parte dei laici della Margherita, nonostante essi fossero stati emarginati dall’intesa tra i diessini e i popolari nel Partito democratico? L’accusa di essersi fatti comprare da Berlusconi ne sarebbe stata la conseguenza ovvia e inevitabile. Quindi se Berlusconi avesse voluto davvero far cadere il governo, avrebbe seguito un’altra strategia. Il Cavaliere in questo modo si rivela un grande tattico, perché ha messo in difficoltà i suoi alleati, raramente fedeli di cuore, obbligandoli a uscire allo scoperto e a perdere così il consenso di un popolo che è all’opposizione, ora anche a sinistra. Letta, nelle sue dichiarazioni al Corriere, compie un gesto che non aveva mai fatto: parla di se stesso. E lo fa rivelandosi come quella figura istituzionale non partitica che gli era stata sempre attribuita e gli aveva permesso di risolvere i problemi di Stato che il governo di un grande leader popolare poneva alla postdemocrazia dei partiti, ormai lacerati e sfilacciati nella loro composizione sociale e nel loro contenuto politico. Con questo gesto Letta ha compiuto un atto dirompente, perché grande coalizione vuol dire rottura tra Pd e Prodi. I diessini sanno che il Professore intende limitare pesantemente le posizioni di potere del partito postcomunista, facendo per conto proprio il raccordo con quello che nel nostro paese è il vero potere forte oltre alla magistratura, cioè le banche. Prodi ha anche concesso ai Ds di “avere una banca”, ma solo attraverso il filtro di quel Monte dei Paschi che ha acquisito la banca padovana in cui si è accentrato il conflitto più rilevante del risiko bancario di questi ultimi anni.
Ma il Pd è in grado di lanciarsi in un’avventura che comporta il voto anticipato? Walter Veltroni non va visto come un decisore in prima persona: rappresenta l’insieme dei diessini e dei popolari che vuole andare verso un nuovo assetto. Berlusconi così ha scelto di uscire di scena prima di Prodi, mostrando di esistere nel paese pur non essendo presidente del Consiglio né candidato a diventarlo (Prodi invece no, esiste in funzione di altri, anche se ha potere proprio). Il Cavaliere chiude così il suo periodo di governo, almeno in prospettiva, per esercitare più pienamente la sua funzione di leader del centrodestra. Curiosamente ha più politica e più partito che non Pierferdinando Casini e Gianfranco Fini. E proprio per questo può giungere a sfidarli, ammettendo Carlo Giovanardi e Francesco Storace come membri del centrodestra o del futuro Partito della Libertà. Bravissimo Berlusconi, così nella sua lotta contro Prodi sfida anche gli alleati. E rimanda la palla a Ds e popolari, i quali devono gestire il trapasso da un governo che porta con sé non solo Rifondazione, che ha forza propria, ma anche i frammenti che non hanno nessuna consistenza per se stessi: da Clemente Mastella ad Antonio Di Pietro, dai Comunisti italiani agli ambientalisti, tutti considerati soltanto come un trampolino di lancio verso la risicata maggioranza dell’aprile 2006.
Non per niente, al delinearsi di questa strategia berlusconiana, Veltroni ha risposto rompendo con Arturo Parisi e proponendo un ancora confuso modello ispanotedesco (molto più spagnolo che tedesco), che consente larghe maggioranze sia a Forza Italia che al Pd. Ma la strada è lunga, la tela deve essere ancora tessuta. Ed è curioso che questo avvenga mentre Rifondazione, con l’appoggio del presidente della Camera che dovrebbe essere l’uomo delle istituzioni e della non violenza, si unisce a Luca Casarini ma anche a tutti gli uomini della sinistra genovese, compresi quelli del Pd, per dire che ciò che accadde a Genova nel 2001 non fu il convegno del G8 in Italia, ma gli eventi nella caserma di Bolzaneto. E questo dopo che a Roma i tifosi laziali, di destra, assieme ai romanisti hanno scatenato contro la polizia il primo vero esempio di quella guerriglia urbana che l’estrema sinistra teorizzava negli anni Settanta ma non è mai riuscita a praticare. L’estrema destra ci è riuscita.
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