L’anima del populismo e la manutenzione della Cloaca Maxima

Di Alessandro Giuli
14 Febbraio 2017
Nel caso di Roma, i capetti grillini hanno subito assunto le fattezze del generone predatorio, figura canonica del sottopotere capitolino

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – A chi giova il momento populista? L’espressione proviene dal filosofo Alain de Benoist, che Tempi ha intervistato per illuminare con lui la genesi e il profilo di un movimento composito, eterogeneo nei suoi affluenti ma coerente quanto basta per contenere un’anima unitaria. In punta di filologia, nel termine populismo è implicito lo stravolgimento semantico e svalutativo della parola popolo, ovvero l’insieme dei giovani in armi d’una data comunità. Oggi il populismo è considerato l’abito stazzonato e un po’ lercio di cui si ammantano i propagatori di manifeste pulsioni autoritarie e antidemocratiche urlate in modo sguaiato, minaccioso, violento perfino.

Così almeno credono i detrattori del populismo, di questa tempesta globale alimentata da impetuosi venti sovranisti espettorati da plebi spaventate, incollerite, in cerca di una rappresentanza forte: da Donald Trump a Vladimir Putin (due possenti leader di governo!) passando per l’inglese Farage, l’olandese Wilders, le signore Petry e Le Pen in Germania e Francia, e via via a scendere fino agli arcitaliani Grillo e Salvini, vasto è l’arco della crisi in cui giace la democrazia rappresentativa. Ma il punto è: il populismo è soltanto il secondo nome di un fascismo redivivo, o non è anche un avvertimento revulsivo che una profonda e maggioritaria Small Society sta rivolgendo alle oligarchie occidentaliste; un fenomeno rozzamente speculare alla così detta rivolta dell’élite di demo-tecnocrati che per almeno un ventennio ha preteso di governare la globalizzazione e le sue crisi come lo spartitraffico d’una illusoria ricchezza candidata a diffondersi in modo meccanico e uniforme? Tenderei a non scartare questa lettura. Senza dimenticare, va da sé, che i populisti possono colpire uniti nella battaglia anti establishment, ma al dunque le loro mire isolazioniste sono destinate a competere e confliggere. Esempio: agli Stati Uniti trumpisti conviene la dissoluzione del consunto asse europeo tra Berlino e Parigi, lì dove sarebbe comunque un vantaggio per Washington il possibile ballottaggio presidenziale tra la destabilizzante madame Le Pen e l’apolide Macron, un Sarkozy de sinistra e meno burino.

capitale-inetta-roma-tempi-copertinaMa torniamo all’Italia. Considero il Movimento Cinque stelle come una Cloaca Maxima, la condotta fognaria costruita dai re-tiranni etruschi nella Roma appena urbanizzata e già decadente. Le deiezioni popolari finivano nel grande fiume bianco, il Tevere o Albula, che fluendo ne diluiva la tossicità. La similitudine trova una sua tragicomica attualità nella cronaca stracittadina di questi giorni, con il sindaco Morticia Raggi (vedi copertina di Vincino) alle prese con l’arte di non-governare nell’epoca in cui la differenza tra elettori ed eletti si accorcia fino all’annullamento, ma al contempo persiste il classico processo d’imitazione delle élite da parte dei ceti subalterni.

Nel caso di Roma, un caso di scuola, i capetti grillini hanno subito assunto le fattezze del generone predatorio, figura canonica del sottopotere capitolino. E tuttavia, quando il tiranno sarà caduto, serviranno almeno due consoli repubblicani per la manutenzione della grande cloaca esondante. Fossi in Berlusconi e Renzi, o chi per loro, mi sarei già posto il problema.

@a_g_giuli

Foto Ansa

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