Terra di nessuno

Angoli di una Milano segreta

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Accade raramente ormai che Milano mi sorprenda. L’altro giorno per andare da viale Monza, in fondo, alla redazione del mio giornale, per evitare il caos di Loreto ho chiesto al navigatore dell’auto: dimmi un’altra strada. Il navigatore non ha avuto dubbi. Svolta a destra, poi a destra, ha cominciato a indicare, sicuro, con la sua voce metallica. A destra? In questa piccola traversa del viale che sembra un vicolo cieco? Ho ubbidito, perplessa.
E d’improvviso non ho più riconosciuto Milano. Non era più Milano quella via stretta e tortuosa, delimitata da un lato dal lungo muro di un vecchio giardino, forse, o di un terreno incolto: da cui sporgeva, nell’abbondanza di luglio, generosa, una vegetazione inselvatichita. Come essere di colpo, per un istante, quasi dentro a un bosco, a due chilometri da piazzale Loreto. Una grande vecchia casa gialla sulla sinistra.

Poi, non me l’aspettavo, la Martesana, con la sua acqua verde scura, liscia come il velluto, ferma. La bellezza antica del Naviglio mi costringe ad accostare l’auto. Scendo. Afa che ti si incolla alla pelle, sibilo di irrequiete zanzare e, incredibile, un frenetico frinire di cicale, sotto al sole del mezzogiorno. Cicale? A dieci minuti dalla Stazione Centrale. Alzo lo sguardo su una recinzione munita di filo spinato attorcigliato, e su severi cartelli di pericolo, “attenzione, unità cinofile”. È un’area delle Ferrovie. Dentro, un groviglio di binari e treni merci, abbandonati, fermi forse per sempre. E nella calura di luglio odore di ferro, e il fischio di una fiamma ossidrica che da qualche parte taglia una lamiera, e clangore di martelli sul metallo. La mia strada segreta è poco frequentata, non passa nessuno. Che la conosca solo il mio navigatore?

Riparto, la strada sale, supero un ponte sulla ferrovia. Milano qui è solo colore cemento e acciaio, e ruggine di tralicci. Fiori randagi spuntano sulle massicciate roventi. Appena prima della piazza di Greco la strada costeggia le rovine di vecchie cascine. Muri rossi di mattoni irregolari, decrepiti, imposte sfondate, ma ancora le tracce di un abitato antico. Come un fantasma tra i palazzi nuovi. Mi pare quasi di poter sentire dalle corti il canto dei galli, e i cani, e le voci di perduti bambini. Quanto dureranno questi ruderi? Forse fra pochi anni qui si alzerà una orgogliosa torre di cristallo e di acciaio. Su via Emilio de Marchi il navigatore ordina, impersonale: volta a sinistra. Ubbidisco, con un’ombra di sorriso sulle labbra. Qui, sono di nuovo nella mia quotidiana città. Mi pare quasi che il navigatore mi abbia condotto, come in un dono, per un angolo di una segreta, scomparsa Milano.

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