
Andrea Marcenaro
La direzione informa i lettori che il seguente articolo non è adatto ai teen-ager, ai seminaristi di Varese e alle persone portatrici di aria pulita e pace-maker. E si dissocia dall’autore.
Andrea Marcenaro è un’idea birichina concepita nella mente della Grande Madre del Foglio. Una volta, tanti anni fa, Giuliano Ferrara decise di eleggere a mito della letteratura uno scrittore canadese sconosciuto in Italia (e forse un po’ anche in Canada). E siccome a lui gli ebrei piacciono un sacco perché, come è stato anche recentemente dimostrato in prove di laboratorio, c’hanno il Dna avanzato e il disegno più intelligente del mondo, si innamorò così tanto di questo Mordecai Richler che, dai e dai, ne impose la lettura a tutti i gentili. Fu così che La versione di Barney prese a circolare nelle vene del popolo. Divenne un best seller. E fece ricco quel massoncello, ma goloso assai di buoni libri, che è l’editor Calasso. Poi Giulianone rifletté. Andrea Marcenaro, quel suo vecchio amico di tante battaglie craxiane, non solo non se la passava tanto bene. Ma addirittura si diceva che era morto e che fosse poi risorto come Lazzaro. E mica puzzando perché ci era stato solo tre giorni nel sepolcro. No, facendo proprio schifo perché ne aveva passati venti in coma profondo, perché la nota malasanità l’aveva scambiato per un pneumatoracico e perché al capezzale dell’infartuato vi si trovò tale Panella Carlo. Uno che, per via di un certo suo esibito pessimismo circa le possibilità di ripresa dell’amico allettato, il compagno Vichi Festa aveva ribattezzato il “portarantulo”.
Per farla breve, Marcenaro aveva come De André un amore riccioli neri. Poi se l’era perduto come Orfeo aveva perduto la sua Euridice all’inferno. Infine, era tornato dal regno delle tenebre magro come una frusta e l’occhio bianco come un uovo di ragno. Fumava soltanto una mezza Marlboro ogni tanto, quando gli prendeva la fobia che a forza di astenersi dal vizio gli cadesse il picio. Non beveva più neanche un goccio di bourbon. E di scopare neanche se ne parlava. Insomma, come dicono a Roma, stava come può stare uno che gli è passato sopra un treno. Così, un bel giorno, Ferrara lo prende sotto braccio, lo porta da Checco er carettiere e gli fa la proposta fatale a tavola davanti a una bella fiorentina: «Senti ragazzo mio, tu la mi sembri più un appunto per il dopo che quel simpatico figlio di puttana che conoscevo prima. Perché invece di intignirti nel torpore della rogna non ci fai una bella rubrichina cazzuta?». Quello, che era mezzo morto ma non scimunito, prese la palla al balzo e, tanto per dimostrare che maramaldo era stato in vita e maramaldo era risorto da morto, puttaneggiò bel bello: «Sì, ma mi paghi? E quanto mi paghi?». Tranquillizzato sul malloppo, lasciò in eredità a Mattia Feltri (il quale, a sua volta dipartendo per la Stampa, la depose in grembo all’attuale tenutario Maurizio Crippa) la letterina fissa che aveva cominciato a scrivere per il Foglio appena aveva potuto rimettere in moto il cervello. E si acconciò all’impresa di farci sganasciare dalle risate con il capello batuffolato di LCdM, la pisciatina del pellegrino russo in San Pietro sull’uscio dell’alloggio sotto protezione Unesco di Asor Rosa, le Tod’s tarantolate di Della Valle, la passerina leggiadra di Anna Falchi, il pisello farfallino dell’Amor Nostro e via sorridendo.
«Meglio con le donne degli amici»
Insomma, voi adesso lo conoscete per la sua rubrica Andrea’s Version. Voi adesso vi scompisciate leggendolo sul giornale più intelligente del mondo. Ma lo sapete chi è, davvero, Andrea Marcenaro? Si dice che negli anni Settanta, che adesso tornano molto di moda, fosse l’anima lirica di Lotta Continua (per quella coatta c’era già Paolo Liguori). Tant’è che sentite un po’ cosa scriveva a quell’epoca, fingendosi in carcere perché doveva giustificare la prima concussioncina di stampo berlusconiano (i libri di Travaglio per Mondadori verranno molto dopo) per stampare il libro Lettere a Lotta Continua: «Finalmente ho una penna. Oggi ho visto mia madre. Mia madre è bellissima, sono contento di mia madre. Ha sofferto molto in questi due anni ma non si è mai persa. E sono in questi due anni che io ho conosciuto, scoperto molto di mia madre. Anche stamattina l’ho vista bene. Ho pianto un po’ con lei. Dopo abbiamo parlato» (Lettere a Lotta Continua, edizioni Coop giornalisti Lotta Continua, via dei Magazzini generali 30, 00153 Roma, Copyright 1978, pagina 47).
Notate come già allora, quando pure l’omicidio Moro aveva il suo bel copyright e un editore meno ridondante di quei fulminati di Lc, Andrea Marcenaro prendesse per il culo i suoi lettori. E così, mentre lui in realtà se la stava spassando da qualche parte della maremma maiala con una delle sue tante fidanzate (Andrea era fatto così, diceva Andrea: «Meglio se lo fai con la fidanzata del tuo più caro amico»), raccontava storie incredibili di ferocissima repressione poliziesca, quasi quasi da scapparci il morto, come in quel recente e famoso autogrill aretino, mettendo i puntini di sospensione per coprire l’identità di compagni che, ovviamente, esistevano solo nella sua fantasia maiala. «Siamo stati presi io, (.) e (.) alle 22,30 a via del Gallo, vicino a piazza Farnese. Ci siamo incontrati da quelle parti e vista l’aria tempestosa che c’era, abbiamo deciso di andare a mangiare, avevamo molta fame; siamo stati in un ristorante, ci hanno preso là, ci hanno preso una trentina di poliziotti e ci hanno pestato. (.) è cascato per terra, quando l’ho rivisto poco dopo aveva il viso sfigurato, era una maschera di sangue». Capito? L’aria era così tempestosa che lui andò a mangiare. E mica nella schifosa mensa di Lc. No, al ristorante di piazza Farnese. Dove naturalmente la sua fantasia maiala galopperà fino al punto che il compagno di desco, pestato da una trentina di poliziotti (ma lui no, neanche un graffio, però gli sbirri, altro che trenta, potevano pure essere una cinquantina, che ne sai), lo rivedrà solo negli appunti per il dopo, “sfigurato”, una “maschera di sangue”. Che pagliaccio.
Perché è passato alla Sampdoria
Andrea Marcenaro è capace di tutto. Che altro dire di uno che lasciava Gad Lerner nudo, con il collare borchiato, al guinzaglio di una figona russa tutta tette e tacchi a spillo, che intratteneva i mandrilli più coraggiosi nel backstage dello Smeraldo? (Era lì infatti che si imbucava la sera il futuro Infedele, con la scusa di andare a fare i titoli del giornale di Lc, che aveva sede proprio davanti allo Smeraldo, all’angolo di piazza XXV aprile). Di Adriano Sofri, invece, lui ha sempre avuto sacra soggezione. «È così romantico, poverino – dice Marcenaro agli amici – che mi piange il cuore dirgli la verità su quel cretino di Patrice Lumumba. Ma secondo te la Cia l’avrebbe mai fatto secco se nel Congo Belga, un paese di venti milioni di abitanti e sei laureati, uno che fa il leader indipendentista e si chiama pure Patrice (che un nome così non lo metti nemmeno al cagnolino di Mario Cervi) non si fosse messo in testa di mandare affanculo l’America e chiedere a Krusciov di paracadutargli l’Armata Rossa per fare la rivoluzione negra? Ma dai!».
Dicono che quando era piccolo e già gracilino in salute, Andrea tenesse al Genoa. Poi, quando da adolescente scoprì il sesso e gli parve che quello blucerchiato fosse meglio, si toccò i santissimi, lasciò il grifone (che secondo lui portava male) e fece la bella scoperta che così, con quella rivoluzionaria scelta di campo, in aggiunta a quelle degli amici, adesso gliela davano pure le fidanzate dei portuali. Insomma, col pentitismo e, soprattutto, con la conversione dall’estremismo rossoblu al moderatismo sampdoriano, ci uscirono parecchie sveltine. Ci fu un anno, pare quello in cui Mancini e Vialli intrattenevano le tifose più dotate in lunghe passeggiate filosofiche in Costa Azzurra, che Andrea vagheggiò il sogno – naturalmente porcellino – di farsi cronista sportivo. Fu allora che acchiappò con Enrico Deaglio la valigetta di soldi che gli passò il solito Berlusconi per fare Reporter. Un giornalino che somigliava all’Occhio di Maurizio Costanzo e che, sempre con la scusa di imparare qualcosa di nuovo, diede al Nostro l’opportunità fisica di mettersi alle calcagna di Toni Capuozzo e tacchinare pollastrelle in giro per il mondo. Rientrato abbastanza sfinito dall’ennesima impresa garibaldina, la Franca, che è poi sua moglie, lo prese per il bavero, lo fissò negli occhi gialli come burro vecchio e gli disse a brutto muso: «Senti deficiente, adesso basta, o la pianti di fare il cascamorto o io ti ammazzo con le mie mani».
Questo affare del “deficiente”, più che la storia dell’ammazzamento, a cui, comprenderete, il Nostro ci aveva fatto il callo, comportò un passaggio notevole nella sua vita. Andrea divenne per un attimino maturo e posato. Andrea ebbe da Franca un bel figliolo. E, sempre Andrea, ebbe dal figliolo una fantastica nipotina che tutt’ora ha due anni ed è tutt’ora l’unica cosa abbastanza seria di una vita da stronzo. Dovreste vederlo in tenuta da nonno quando pascola la sua creaturina nella casetta di campagna che è a un tiro di schioppo da quella della Grande Madre. Poi, sì, ogni tanto caracolla. Ogni tanto sente salir su dal petto la minaccia dello schioppone. Ogni tanto dà fuori di melone. È a quel punto che si rilassa, torna il coglione di sempre e finisce in trattoria con Giulianone. Però lui in barca, no. Neanche se gliela fa vedere la Kidman. A lui ci piacciono i piedi ben piantati sulla terra. E, dicono, forse c’ha anche lui paura di andare in aereo (però scrivere poesie d’amore a Fabrizio Cicchitto, no, «quello mai, neanche per il burro di Marlon Brando nell’Ultimo tango a Parigi»).
«Avrei dovuto spaccargli la faccia»
Quando c’aveva ancora il trip per lo sport, un giorno incontrò Roberto Perrone, il meglio del giornalismo sportivo al Corriere della Sera. E visto che lui sembrava più interessato alle bionde che alla materia degli amici di Bisteccone Rai-sport, Perrone fece al bell’Andrea: «Belìn, mica per caso ti volessi fare pure quelle di Cl?!». Lui ci pensò su e rispose che, dopotutto, il fallo era palindromo. «Tu chiamala, se vuoi, Cl. Però siamo sempre lì, come la giri la giri, Cl, Lc, sempre dietro lei va il mondo».
Oggi Andrea e Franca abitano a Roma, perché, come ogni genovese tirchio che si rispetti, abitare nel quartiere Prati «è già un bel risparmio di benzina». Altre note particolari? Andrea Marcenaro è un tipo stanziale. È nato casalingo e cucina con particolare afflato solo (e anche un po’ sempre) le trenette al pesto.
Per finire? E va bene, saremo generosi. Adesso vi diamo in esclusiva una notizia che farà il botto. Un po’ come quella famosa intervista alla Luisa Corna del calendario di Panorama. «Scusi, signora, sul calendario c’è lei, coperta solo da una veletta, forse si potevano eliminare quegli inutili numerini tutti intorno». Ecco, questo stesso stronzo cascamorto, il 25 novembre prossimo prenderà per la seconda volta nella sua vita un aereo e andrà a Parigi. Per fare un tango? No, per intervistare (il calendario di Panorama?) Monica Bellucci. Bene. Adesso lo sa anche la Franca. Vediamo cosa succede.
Intanto, raggiunto telefonicamente da Tempi, il suo più caro amico, Carlo Panella, vuota il sacco: «Volete proprio sapere com’è andata?». Bè, non ci piacerebbe venirlo a sapere da De Magistris. «Lo beccai a letto con il mio primo amore». Perbacco, immaginiamo che non sia stato un bello spettacolo. Perdoni la curiosità, ma lei si è arrabbiato? «Uhmm, insomma». L’ha picchiato? «No, ho fatto l’errore di dire: “Discutiamo”». Ma che carino. E lui come la prese? «Bè, scappò. Soltanto in seguito capii che avrei dovuto spaccargli la faccia. Ma la cosa più incredibile, e che dimostra l’esistenza di Dio, è che siamo rimasti amici, adesso fa quarant’anni».
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