
Anche Zalone si è adeguato

Articolo tratto dal numero di agosto 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Conoscete Giovanni Zola? Un giorno mi ha spiegato perché l’ultimo film di Checco Zalone non mi ha fatto ridere. «È molto semplice: perché Zalone fa ridere solo quando va controcorrente, è anticonvenzionale. In Tolo Tolo, invece, si è accodato al pensiero dominante, giusto o sbagliato che sia, e allora non fa più ridere. Altri riuscirebbero a far ridere senza essere anticonvenzionali, lui, per come è fatto lui, no. Non funziona. Ha voluto fare una comicità buonista, ma non funziona». Molto interessante. «Ti sei mai chiesto perché sono anni che non esce un film davvero bello? No? Perché la necessità, quasi l’obbligo di attori e registi di adeguarsi al pensiero dominante ammazza la loro creatività. In altre parole: non puoi più dire un cazzo. Non potendo dire niente di scorretto, da cui nasce la comicità, finisci, effettivamente, di non dire più niente e rifugiarti in banalità. Quindi: libri banali, film banali. Creatività: zero. E niente risate». Prendiamo Vasco Rossi: potrebbe scrivere oggi nel testo di una canzone «è andata a casa con il negro la troia»? Discutiamo se quella è creatività, ok, ma potrebbe mai permettersi di scriverlo oggi? Oggi!? Idem Bennato. Sembrano tutti Ricchi e Poveri. Non mi stupirei di ascoltare Zucchero cantare Gelato al cioccolato o Ligabue che strimpella Nord Sud Ovest Est.
Secondo me la creatività non è andare avanti, ma andare a fondo, alla ricerca di qualcosa che ti manca che non è “più in là”, ma “più in giù”. Se poi sei genio, altri riconoscono che quello che manca a te manca anche a loro. Ma se s’impone un pensiero totalizzante che si afferma come l’unico buono, e se non ci sono maestri che ti dicono che quello non basta a soddisfare la tua sete di vita e di conoscenza, allora non fai più la fatica di scavare. Perché scavare, soprattutto dentro di sé, è una fatica. Se poi, quando ti metti a scavare, vieni preso per un pericoloso sovversivo dell’ordine imposto dai buoni, allora è finita e allora inevitabilmente, uno si chiede: ma chi me lo fa fare? Chi me lo fa fare di andare a manifestare contro una legge liberticida se non per un desiderio di scavare dentro di me? L’assuefazione colpisce artisti, giornalisti, musicisti. Insomma, chi più chi meno, colpisce tutti. E se non avessi Tempi e qualche amico, succederebbe anche a me.
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