
Allam:«Una rivolta popolare spinta da fame e frustrazione giovanile»
«Chiariamo che si tratta anzitutto di una rivolta popolare la cui molla è la fame, la disperazione dei ceti meno abbienti. Il 40 per cento dei circa 80 milioni di egiziani vive con meno di 2 dollari al giorno. Poi c’è la frustrazione dei giovani colti che si sentono parte di un mondo dove, attraverso Internet, si possono condividere libertà, diritti dell’uomo, democrazia, ma di fatto, guardandosi attorno, quel che si tocca con mano è esattamente l’opposto di tutto ciò».
Magdi Cristiano Allam è certo che alle radici del grande sommovimento popolare che sta portando a esaurimento il regime incarnato da Hosni Mubarak in Egitto ci sia l’economia politica nella sua versione più crudele. «Questo è il risultato di una liberalizzazione selvaggia, inaugurata negli anni Settanta, che ha consentito l’afflusso nel paese di capitali che hanno operato con la logica del mordi e fuggi, senza investimenti seri, senza portare occupazione a livelli adeguati. Tutto ciò ha accresciuto il divario fra una minoranza di super ricchi e una maggioranza di popolazione sempre più povera, e ha impedito la formazione di un ceto medio in seno alla società egiziana. A pagare le conseguenze sono soprattutto i giovani: più si è acculturati, e più ci si rende conto che il sistema non offre sbocchi alle aspirazioni di una gioventù formata nelle università. Questa miscela di gente disperata e di giovani frustrati è stata la miccia che ha innescato l’esplosione della ribellione. Al tempo stesso, dobbiamo prendere atto del fatto che questa rivolta non ha né una testa, né una struttura, e si rende pertanto facilmente manipolabile da chi ha testa e struttura, cioè i Fratelli Musulmani: l’unica vera forza di opposizione organizzata, radicata, presente oggi in Egitto».
L’ex vicedirettore del Corriere della Sera è convinto che i Fratelli Musulmani saranno i grandi beneficiari della transizione, anche perché l’Egitto scivola da molto tempo lungo la china islamista: «I Fratelli Musulmani nel loro statuto chiariscono che il loro obiettivo è l’islamizzazione della società e l’imposizione della sharia, la legge islamica. Ma la costituzione egiziana già da ora nell’art. 2 considera che la sharia è parte integrante della legge dello Stato. È importante tenere presente questo, perché altrimenti si ha la sensazione che quello di Mubarak sia stato un regime laico, liberale, di stampo occidentale. Le cose non stanno affatto così: è stato un regime dittatoriale, che si è barcamenato fra i fondamentalisti islamici e i liberali, colpendo ora gli uni, ora gli altri, per presentarsi agli occhi del mondo come il garante della stabilità dell’Egitto. In questo contesto i FM sono riusciti ad accrescere i propri consensi proponendosi come un’alternativa capace da un lato di esprimere una maggiore giustizia sociale, e dall’altro di dare un senso alla vita e ai sacrifici che la gente sopporta».
Da ciò la considerazione che le libere elezioni non saranno il lavacro che cancella tutti i guai. «Ricordiamoci che anche Hitler arrivò al potere attraverso libere elezioni. In Medio Oriente dal 2006 attraverso libere elezioni sono arrivati al potere Hamas nei Territori Palestinesi, in Turchia abbiamo un governo islamista, e sempre in nome della democrazia Hezbollah in Libano ha rovesciato il governo nato dalle elezioni e ha imposto un primo ministro di suo gradimento. Dobbiamo stare molto attenti nell’infatuarci di una concezione formalistica della democrazia, che in Medio Oriente sta portando al potere nuovi dittatori che finiranno per rappresentare i peggiori nemici della democrazia». L’unico vero islamico all’ascesa dell’Islam politico in Egitto è rappresentato dalle forze armate. I cui disegni però non sono ancora chiari. «L’esercito è la vera forza del paese, quella che lo tiene unito, e Mubarak è una sua espressione. Ora bisognerà vedere se l’esercito deciderà di allontanare fisicamente Mubarak, dopo averlo di fatto relegato a un ruolo simbolico, e se riuscirà a mantenere saldo il controllo della sicurezza».
Un altro esito della transizione che Magdi Cristiano Allam vede molto probabile è la denuncia degli accordi di pace con Israele e la rottura dei rapporti diplomatici. Ma anche in questo caso si tratterebbe solo della conclusione di un processo in atto da tempo: «Mubarak non ha mai compiuto una visita ufficiale in Israele in 30 anni di potere. I rapporti ufficiali fra Egitto e Israele sono stati improntati a una pace fredda, connotata da una forte ostilità nei confronti di Israele. Che per esempio non è mai stato invitato alla Fiera internazionale del libro del Cairo. L’ambasciatore israeliano al Cairo ha sempre vissuto isolato all’interno di una specie di fortezza, boicottato da tutta la società egiziana. In questo contesto, qualora si arrivasse alla rottura delle relazioni diplomatiche, si compirebbe un atto che dal punto di vista simbolico avrebbe una grande rilevanza, ma teniamo presente che si svolgerebbe in un contesto dove l’ostilità a Israele è di fatto istituzionalizzata».
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