Alla Marciona queer, tuttə bellissimx ma senza passaggia

Breve cronaca triste dal Pride antagonista più stereotipato d’Italia (con finale già scritto)

L’immancabile carretto a pedali della Marciona queer e transfemminista di Milano

Va detto che il canale Telegram di Marciona dava informazioni chiarissime: «Entra nel gruppo per organizzarci con le passaggie», «gli spazi safer li fanno l3 am3 che li attraversano», «c’è la possibilità di portare e allestire delle banchette», «leggete e condividete con tutt3 l3 am3», «dopo la Marciona ce la meritiamo una festa frocia sì o no??? beh. Sì», «speriamo di vedervi numerosx e bellissimx», «durante tutto il corteo ci sarà una zona decompressione, composta dal ricchioncello che si troverà in coda al corteo: troverete acqua, cibini, tappi, fidget toys, amə per volerti bene», «marcy bacy e a dopo».

Certo, non abbiamo le banchette e le passaggie e navighiamo a vista in fatto di am3/amə, ma questo dissidio “Pride o Marciona” tra gli attivisti di Milano ci appassiona: chi sono gli attivisti che hanno detto basta al “rainbow washing”? Com’è un Pride “antagonista” quale è appunto la Marciona a Milano, o il Priot a Roma o il Free-k Pride a Torino? Com’è sfilare senza madrine etero cresciute da Maria De Filippi e Sanremo, sindaci con le fasce tricolore, carri sponsorizzati (a Roma Pride erano cinquanta col logo, anche se gli organizzatori preferivano chiamarle “partnership”, mica sponsorizzazioni) e telecamere? Così ci siamo fatt3 bellissimx e siamo andat3 a sbrogliare lə matassə al ritrovo de 21 giugno in piazza Pagano, ore 17.30, come da indicazioni Telegram.

Alla Marciona gli “extraparlamentari” della galassia LGBTQIAP+: «Siamo le frocie nuove»

In quanto «Marce non merce» le marcione non si autosfruttano sui social come quei democristiani del Pride che sfilano con la segretaria del Pd e deputati, spillette, patrocini istituzionali ed elettori di Sala e Calenda, giornalisti e signore perennemente ancorate a vernissage e presentazioni di libri alla Feltrinelli come navi a un molo tranne quando c’è da farsi le photo opportunity con le coroncine arcobaleno in corteo per i diritti. No, le marcione sono le extraparlamentari della galassia LGBTQIAP+, non sono presentabili e alla compagnia di Annalisa o Elodie preferiscono quella di centri sociali e collettivi, di Cantiere Milano, Ccs, Non una di meno e Giovani Palestinesi.

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Si tratta, dice la “manifesta” della Marciona, di «un insieme di movimenti trasfemministi e queer non normalizzati e non estetizzati; siamo soggettività che rifiutano di farsi incorporare in un processo di cambiamento senza una vera traNsformazione sociale. Siamo le zoccole dure, siamo le frocie nuove», «non vogliamo diventare né ispirazione né modello per la prossima operazione di marketing che vorrà rivenderci a caro prezzo le nostre stesse vite». Odiano: il fascismo, il colonialismo, il capitalismo, la violenza delle forze dell’ordine, Israele, i «corpi conformi ai peggiori stereotipi della pubblicità, danzanti a Tel Aviv o a Città del Capo», il «baretto fighetto che ci rivende a 20 euro un coctelino di merda», «La nostra prospettiva è nell’abietto. Rivendichiamo modi di vita, forme di sessualità e legami affettivi scandalosi» etc etc fino a giurare che mentre c’è chi ancora le colloca e/o costringe fuori o dentro un armadio, «È ARRIVATO IL MOMENTO DI DARE FUOCO ALL’ARMADIO».

Tra anfibi, cosplay e rinoceronti di Giava

Il preconcentramento e il drag show delle Brigate Rosa inizia con un’ora di ritardo. Un’ora di caldo mortale e corpi decisamente non normalizzati né estetizzati che cercano refrigerio all’ombra di un albero scolando birre e vinaccio in collarini, tutù, borchie, orecchie da elfo da cosplay, ali, minigonne con tanga e peli a vista. L’età media è quella da collettivo studentesco e, a dispetto degli esseri alchemici che dovrebbero incarnare, ragazze oversize e ragazzi pelle e ossa sembrano usciti da un boomerissimo film di Verdone. «Bella raga, com’è?», si chiedono rollando canne e tabacco.

Dalla scalinata della metro emergono coppie di ragazze con le teste rasate, gli anfibi, piglio strafottente, branchi di ragazzine chiassose a braccetto dell’amico perticone gay, tutti decorati da strati di brillantini. Più in disparte, come isole dimenticate in un caleidoscopio di piercing e tatuaggi, chiome color dentifricio e body painting, passeggiano impacciati monumenti di carne e insicurezze, maschi soprattutto, coi bermuda e lo sguardo di chi passa la vita a sentirsi serissimamente minacciato come il rinoceronte di Giava, ma pure in famiglia vorrebbe essere invisibile.

Uomini su tacchi, donne con le Birkenstock, collettivi con la kefiah

Tutt’intorno c’è il parco borghese di Pagano, donne borghesi con sacchetti dello shopping in corso Vercelli, bambini borghesi che rientrano all’asilo estivo dopo il museo e la piscina, cani con pedigree al guinzaglio. E ancora camionette della polizia, auto della digos con il lampeggiante, digos con le radioline e auricolari a vista, agenti in borghese che si muovono tra parco e piazza dove iniziano a radunarsi uomini su tacchi che sfidano le leggi della fisica e della gravità.

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E finalmente arrivano i presenzialisti. Collettivi, centri sociali, ragazzi avvolti nella kefiah, bandiere della Palestina: che si piantino le tende in università o si imbratti per salvare il clima questi sono una garanzia dagli anni di Piombo. Ecco anche le femministe con le Birkenstock, le gonnellone e le forbici tutte operative e intente a ritagliare gli immancabili volantini. Attribuendo il ruolo di liocorni ai gay oliati e palestrati del Pride, che non hanno mai avuto il problema di mostrarsi “impegnati”, tra topless e crocifissi caricati sulla schiena non mancavano che loro: le drag queen.

Tanga, copricapezzoli e “Free Free Palestine”

Avete presente le drag queen, il vogueing, le cascate di piume e paillettes, l’epica delle fate madrine in Technicolor? Ecco, non erano a Pagano. Le drag della Marciona sono più modello “André the Giant in lingerie”. O “Jafar di Aladdin con gli stivali”. Tra una performance e l’altra (leggi zompettare in tondo su Lady Marmalade) la loro furia antifascista, anticolonialista, antiomonormativa, antitransfobica, antirazzista, anticolonialista, antisraeliana viene tradotta da un signore in lis, la lingua dei segni con altrettanta foga.

E quando iniziano a cantare “resistenza fino alla vittoria”, “dal fiume al mare”, “free free Palestine”, a deporre la bandiera della Palestina a terra e ad accendere fumogeni rossi e verdi in uno sballonzolare collettivo e collerico di tanga, choker con borchie a cono, copricapezzoli e calze a rete, più che scivolare tra i confini del genere e gli oppressori come sirene in un mare di identità che Pride scànsate, ci ritroviamo lì: nel caro, vecchio teatro dell’assurdo di Ionesco – ma con regia di Vampeta.

Inizia la Marciona, il ciclone si abbatte sulla Marciona

Si è fatta una certa ora, finalmente ha inizio la Marciona, finalmente sapremo com’è un Pride antagonista, il colpo di scena che manca a questa carrellata di am3 che più che bruciare l’armadio degli stereotipi sembrano averne rimesso in funzione le fabbriche di tutto il regno. Ci appostiamo dietro al ricchioncello. O almeno così crediamo.

C’è appesa la testa di un manichino decapitato appena all’ingiù con la scritta “generic fascio”, c’è la bandiera dei trans e quella della Palestina. È lì che anche il cielo decide di unirsi alla protesta. Neanche il tempo di capire che cosa diavolo sia un fidget toys: alle ore 19.10 un ciclone tropicale di magnitudo “ira funesta di Mario Adinolfi” si abbatte sulla Marciona. E noi non abbiamo nemmeno una passaggia.

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