Ogni mattina Alessandro Gassmann si sveglia e vuole salvare il mondo

Di Luca Del Pozzo
24 Febbraio 2022
L'attore è in ansia per la sorte del pianeta. Beato lui che ha pensieri così nobili, ma basterebbe informarsi un po' per evitare gli eccessi retorici

Dice un assai corrucciato Alessandro Gassmann (Fatto Quotidiano del 21/02), che «l’ansia per il clima è un sentimento che provo in ogni momento, è il primo dei miei pensieri la mattina». Oibò. Come non essere ammirati e riconoscenti?

Così come siamo sicuri che siccome ogni volta che vede la plastica s’infuria, il Nostro si sarà già attivato per far sostituire in certe confezioni di tonno (do you remember?) quelle orride e inquinanti forchettine usa e getta in vera plastica con altri utensili.

Però, e lo dico non senza un pizzico d’invidia, beato lui che si sveglia con ansie sì nobili. Purtroppo, lo confesso, i miei pensieri mattutini sono molto, ma molto meno bucolici e molto, ma molto più prosaici. Diciamo pure terra terra (scritto rigorosamente con la “t” minuscola, che io l’unica madre che riconosco oltre a quella terrena è la Madonna).

Un futuro peggiore

Anzi diciamo pure – si può ancora, sì? – che quello del cambiamento climatico lo considero certamente un problema concreto ma, intanto, non più grave di altri; secondo, e cosa più importante: trattasi di problema rispetto al quale sia le analisi circa la reale portata del fenomeno e relative cause, sia le soluzioni proposte sono sovente contrassegnate da un tale assolutismo (cui fa da pendant un moralismo sprezzante e accusatorio semplicemente irricevibile, della serie: il sottoscritto sensi di colpa manco l’ombra) che non solo fa a sportellate con un approccio appena scientifico, ma quel che è peggio si traduce in politiche e narrative a supporto che se messe in pratica rischiano seriamente di lasciare alle generazioni future un mondo ben peggiore del nostro (per restare sul tema plastica: qualcuno di lor signori che ogni due per tre punta il ditino e inarca il sopracciglio, ce l’ha un’idea anche vaga di cosa avrebbe significato curare i malati e proteggersi dal Covid-19 in un mondo plastic-free?).

Ma come? Ma quando?

È doveroso e sacrosanto sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche della sostenibilità, ecc., con ogni iniziativa possibile, ci mancherebbe. Meglio però se fondata su dati di realtà oggettivi e non su narrative – e la galassia ambientalista, spiace dirlo ma è così, ne è piena – cui soggiacciono interessi senza dubbio legittimi ma pur sempre interessi (o vogliamo ancora credere alla favoletta delle solite lobby brutte sporche e cattive, da una parte, e di un insieme di anime pie tutte dedite al bene del prossimo, dall’altra?).

Narrativa come quella che immagina un futuro full electric e con le sole rinnovabili a tirare la carretta. Ma come? Ma quando? Basterebbe un solo dato: se fosse possibile attaccare il mondo intero ad una singola presa di corrente, l’80% della domanda attuale di energia resterebbe inevasa. Immaginare che le cose possano cambiare non dico per azzerare quell’80% ma anche solo capovolgendo il rapporto a favore dell’elettrico (con, ripeto, le sole rinnovabili come fonte di produzione), semplicemente non sta in piedi.

Va bene alzare l’asticella e fissare target sempre più sfidanti, ma up to a point. E piuttosto che fantasticare del migliore dei mondi possibili meglio faremmo, tutti, a lavorare per costruire il migliore dei mondi fattibili. Fintanto, per dirne una, che si continuerà a ritenere il “fattore antropico” cosiddetto il principale responsabile del cambiamento climatico quando, lo ha ricordato di recente il prof. Antonino Zichichi (non esattamente un pinco pallino), sul riscaldamento globale «le attività umane incidono al livello del 5%; il 95% dipende da fenomeni naturali legati al Sole» (Libero del 15/2/22), di strada ne faremo poca. E pure nella direzione sbagliata.

Consigli di lettura

Ciò detto, il vero problema quando si parla di ambiente è “a monte”. Ed è un problema di ordine culturale di cui si sono occupati con grande lucidità e competenza, pur partendo da angolazioni diverse, due pesi massimi del calibro di Angelo Panebianco (Corriere della Sera, 8/10/21) e Carlo Stagnaro (Il Foglio, 8/11/21). Il punto è questo: in seno alla galassia ambientalista esistono due differenti approcci. Uno – che Stagnaro chiama l’ambientalismo “dei risultati” – è quello il cui «unico genuino interesse è bloccare il cambiamento climatico»; l’altro invece (che per Stagnaro è l’ambientalismo “della rivoluzione”) è l’ambientalismo che Panebianco chiama «anticapitalismo con tutti i mezzi». Questo secondo modello riflette «l’orientamento di coloro che sono interessati soprattutto a combattere il capitalismo identificato con la società occidentale. Un tempo questa corrente animava i movimenti comunisti. Oggi che il comunismo è un’utopia usurata, inservibile, il nuovo veicolo è la lotta al cambiamento climatico (più in generale sul tema della sostituzione del marxismo con l’ecologismo in seno al progressismo contemporaneo, rimando all’ottimo saggio di Giulio Meotti, Il dio verde. Ecolatria e ossessioni apocalittiche). Non è stato forse il capitalismo occidentale, negli ultimi secoli ad avere violentato l’ambiente? E dunque lottare contro i cambiamenti climatici e contro il capitalismo in versione occidentale non sono forse la stessa cosa?». La differenza tra i due modelli non potrebbe essere più marcata: «L’ambientalismo dei risultati – sottolinea Stagnaro – significa usare l’ambientalismo per aggiustare il clima, anziché usare il clima per affossare il capitalismo».

È di tutta evidenza come non sia affatto indifferente se, nel contesto della sfida epocale della transizione ecologica e delle strategie per contrastare il climate change, a prevalere sia l’uno o l’altro approccio. Anzi, diciamo le cose come stanno: il primo approccio è giusto, il secondo sbagliato. E il motivo è presto detto: checché ne dicano gli ultras di ieri e di oggi dell’uomo di Treviri, i fatti dimostrano che si deve al capitalismo, come giustamente sottolinea Stagnaro, «la più straordinaria esplosione di benessere diffuso che si sia mai vista durante l’intera storia umana, e che oggi ci sta mettendo a disposizione la cassetta degli attrezzi di cui abbiamo bisogno».

Un posto migliore

Leggere per credere, tra gli ultimi contributi, La grande ricchezza. Come libertà e innovazione hanno reso il mondo un posto migliore, di D. N. McCloskey con A. Carden. «La vera minaccia – scrivono gli autori – non è il cambiamento climatico, ma la sua paura può ispirare sciocche proposte populiste… Noi vogliamo davvero migliorare il mondo tramite invenzioni in grado di superare la prova del mercato, rendendo i poveri più ricchi (è già accaduto) e riducendo le diseguaglianze (già accaduto anche questo)».

Bene dunque a combattere con tutti i mezzi il cambiamento climatico facendo ciascuno la sua parte. Occhio però a non buttare il bambino con l’acqua sporca. Come ha scritto qui Leone Grotti, «fare retorica sulla fine del mondo è sempre sconsigliato quando subentra con prepotenza il tema della fine del mese». Prendere nota, grazie.

Foto Ansa

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