Intervista al filosofo francese che nel suo nuovo libro denuncia la fine della letteratura: «I terribili semplificatori che oggi conducono le danze non conoscono l’individuo, solo esemplari: il maschio bianco da una parte, e tutte le sue innumerevoli vittime dall’altra»
Alain Finkielkraut (foto Jérémy Barande, licenza CC BY-SA 2.0)
Viviamo nel tempo delle generalizzazioni, delle persone in carne ed ossa trasformate in astrazioni politiche e morali, degli amalgami del #MeToo, che mette sullo stesso piano la parola sconveniente detta da un signore un po’ brillo a una signora e lo stupro. Colpa dei tempi rivoluzionari che viviamo, tempi intrinsecamente antiletterari: «Nei tempi ordinari ci sono due antidoti alla scomparsa del particolare nel generale: la letteratura e il diritto. L’attenzione alle differenze e il rifiuto di pensare massificando, che caratterizzano l’approccio giuridico e l’approccio letterario dell’esistenza, ci preservano dall’ideologia. Nei periodi rivoluzionari, questa umanità e questa perspicacia sono spazzate via dal dilagare di una pietà spietata», scrive Alain Finkielkraut nel suo ultimo libro, uscito per Stock qualche settimana fa e intitolato, appunto, L’après littérature, “il dopoletteratura”.
L’accademico di Francia si riconosce nelle parole che il professore di lettere indirizz...