
Al governo francese sta sfuggendo di mano il “caso abaya”

Parigi. «Non ci sono stati incidenti di rilievo», dichiarava in tutta serenità lunedì il premier francese, Élisabeth Borne, in occasione del primo giorno di scuola per dodici milioni di studenti e di divieto dell’uso dell’abaya, la tunica islamica che corpo il corpo femminile da capo a piedi. Solo qualche ribelle isolata.
«Alcune hanno accettato di toglierlo. Con le altre ci saranno dei colloqui, delle iniziative pedagogiche per spiegare loro che c’è una legge che proscrive l’utilizzo di qualsiasi segno o abito attraverso i quali gli allievi manifestano l’appartenenza a una religione, qualunque essa sia», aveva aggiunto Borne.
In quelle dichiarazioni c’è tutta l’ingenuità, e l’autocensura, di un governo che sta sottovalutando le conseguenze del divieto imposto con l’idea (giusta) che non si tratta soltanto di un pezzo di stoffa ma di un “abito religioso”, che continua a minimizzare gli episodi di violazione della laicità e le pressioni delle associazioni islamiste.
«Islamofobia di Stato»
L’ultima conferma di una situazione che rischia di degenerare da un momento all’altro, e che mostra fino a che punto sia infiammabile il rapporto tra islam e laicità, arriva dalla Seine-Saint-Denis, il dipartimento con il più alto numero di cittadini di confessione musulmana, nonché di foreign fighters entrati nelle fila dello Stato islamico.
Al liceo Maurice Utrillo, nel comune di Stains, studenti e professori sono in sciopero contro «l’islamofobia di Stato», ossia contro il divieto di indossare l’abaya. «No alla politica islamofoba del governo», si legge nell’appello del collettivo Lycée Utrillo 93 a incrociare le braccia a oltranza contro la decisione dell’esecutivo. «Ci rifiutiamo di stigmatizzare chi indossa un’abaya o un qamis (la tunica lunga indossata dagli uomini, ndr)», scrivono i contestatori, secondo cui «la polemica lanciata dal governo sulle abaya e sui qamis cerca di nascondere gli attacchi al sistema dell’istruzione pubblica, e in particolare il taglio drastico delle risorse».
Non è solo una moda
Sui muri del liceo Maurice Utrillo sono apparse scritte come questa: «Comparer des lycéennes à des terroristes c’est non!». E alcuni genitori hanno deciso di partecipare alla “lotta”. «Ha il suo stile, si veste diversamente a seconda dei periodi, talvolta in jeans, talvolta in pantacollant», ha dichiarato al Parisien la madre di una studentessa di 16 anni. «E l’anno scorso ha portato l’abaya perché era alla moda».
Peccato che, come rivelato da una nota confidenziale dei servizi di sicurezza dello Stato francese non si tratta soltanto di una moda, bensì di una delle offensive attraverso cui gli islamisti testano la resistenza della République. Stando a quanto emerso dal documento, l’intelligence parigina ha notato un’inquietante convergenza tra alcuni professori degli istituti della Seine-Saint-Denis e le associazioni islamiste contro le nuove regole imposte dal governo.
Minacce di morte
Sempre secondo la nota confidenziale, nei giorni successivi all’annuncio del ministro dell’Istruzione francese, c’è stata una moltiplicazione di attacchi sui social network contro la Francia e i suoi dirigenti tacciati di “islamofobia”: la maggior parte degli account da cui sono partiti i raid digitali hanno sede in Turchia.
Venerdì, a Clermont-Ferrand, è successo un fatto ancor più grave: il preside de liceo Ambrois Brugière è stato minacciato di morte dal padre di una studentessa musulmana che si era presentata all’ingresso della scuola in abaya ed è stata per questo respinta. Il padre, attualmente in stato di fermo, ha minacciato di sgozzare e decapitare il preside per aver negato l’ingresso alla figlia.
Il ricordo va inevitabilmente all’ottobre del 2020 quando a Conflans-Sainte-Honorine le minacce di morte nei confronti di Samuel Paty, il professore di storia e geografia in seguito decapitato da un jihadista ceceno, furono sottovalutate.
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