
Al carabiniere quel che è del carabiniere (ma a Dio quel che è di Dio)

Caro direttore, insieme a tanti amici, ho dedicato molto tempo della mia ormai lunga vita a lottare e difendere un principio elementare per un cristiano cattolico: quello della libertà della Chiesa, che appare più nobile se detto in latino, libertas ecclesiae.
La Chiesa, nei secoli, ha sempre avuto un’unica preoccupazione, prima ancora di entrare nel merito delle questioni: quella di salvaguardare la propria libertà di annunciare la verità di Cristo Salvatore, che costituisce, così appare ad un povero laico a digiuno di “teologia”, lo scopo vero per la quale Cristo stesso l’ha fondata. E, insieme a questi tanti amici, per anni abbiamo comunicato, limitati e peccatori come eravamo e come siamo, la bellezza e la profondità dell’incontro con Cristo nella Sua comunità vivente. E proprio per questo “centuplo” vissuto, abbiamo difeso tutto ciò che derivava dall’esperienza cristiana.
Con questa intenzione, abbiamo sempre difeso la libertà della scelta educativa fin dagli anni Sessanta; abbiamo, per questo, anche contribuito alla nascita di esperienze scolastiche libere; abbiamo sempre convintamente difeso la famiglia come il nucleo fondamentale di ogni società (ed in questi giorni vediamo che il Paese è interamente appoggiato sulla roccia della famiglia); abbiamo contribuito a far entrare il principio di “sussidiarietà” nella nostra stessa Costituzione; abbiamo difeso (con conseguenze anche fisiche spesso devastanti) la libertà di presenza delle comunità cristiane nella società, nelle scuole, nelle università, nei quartieri; abbiamo difeso la libertà di pensiero e di opinione della Chiesa che la cultura dominante cercava (e cerca) di mettere a tacere. Insomma, il Signore ci ha permesso di darci da fare per difendere le libertà che da Lui derivano.
Penso che abbiamo fatto molto bene e, personalmente, rifarei tutte le battaglie affrontate, cercando di fare meno errori possibili: ma rifarei tutto, perché, altrimenti, sentirei di tradire il grande annuncio che mi è stato fatto e che ci chiama anche a cose più grandi di noi (stiano attenti tanti cattolici alla retorica circa l’importanza delle cose piccole: piccole o piccolo-borghesi?). Rifarei tutto, anche se in questi giorni certi atteggiamenti di alcune autorità religiose e cattoliche mi inducono nella tentazione (che caccio subito) di pensare che forse avrei fatto meglio a rimanere chiuso in casa mia, proprio come in questi giorni.
Un “tentatore”, in questo senso, è stato quel vescovo lombardo che, proprio in questi giorni, ha rimproverato un proprio sacerdote per avere celebrato la S. Messa alla presenza di sei (hai letto bene: sei) fedeli distanziati tra di loro e muniti di mascherina e di guanti. Un solerte carabiniere è intervenuto per interrompere il Santo Sacrificio, privo di ogni senso delle proporzioni e di rispetto per quello che stava per avvenire su quell’altare. A fronte di questo grave e incredibile episodio, il vescovo, invece di dimostrare almeno comprensione verso questo suo valoroso sacerdote, con una nota ufficiale della sua curia, ha dichiarato e sottolineato «con sommo dispiacere che il comportamento del parroco è in contraddizione con le norme civili». Leggendo questo comunicato sono rimasto di stucco, ma non posso tacere.
Allora, vorrei ricordare a quel vescovo ed a tanti (purtroppo) suoi colleghi, che tra le “norme civili” esistenti nel nostro Paese esiste anche quella che prevede la possibilità di ricorrere all’aborto (anzi, molti sostengono, addirittura, che si tratti di un “diritto” della donna); esiste quella che prevede il divorzio reso sempre più veloce e immotivato; esiste una norma che ha rivoluzionato il concetto di famiglia; esiste una norma che ha aperto in via probabilmente irreversibile all’eutanasia; qualcuno vuole dar vita a norme che farebbero irrompere i poteri statali come uno tsunami nella vita personale di cittadini e fedeli. Ed allora, caro vescovo, di fronte a tutte queste norme i suoi parroci non potrebbero più giudicare negativamente aborto, divorzio, eutanasia e sostenere positivamente la famiglia come il Creatore l’ha concepita solo perché si tratta di materie contenute in “norme civili”? In altra parole, la “norma civile” prevale sempre e comunque sul problema della salvezza delle anime e dell’annuncio della verità e addirittura della presenza di Cristo? E ancora: siamo in terra di Lombardia, fecondata cristianamente dalla presenza del grande sant’Ambrogio, il quale non ebbe timore di contrastare la “norma civile” quando la stessa appariva contraria alla giustizia ed alla libertà della Chiesa. E Ambrogio aveva il coraggio di opporsi addirittura ad un imperatore, non ad un semplice carabiniere. Ma ancora di più: nei primi tempi del cristianesimo, anche l’accensione dell’incenso all’imperatore derivava da una “norma civile”: ed allora i tanti nostri martiri, che ancora oggi fecondano l’intera Chiesa, hanno sbagliato a non adeguarsi ad una ingiusta “norma civile”? Una curia lombarda di oggi accuserebbe i martiri di avere violato una “norma civile”?
La verità, poi, è che il bravo parroco lombardo non ha neppure violato alcuna norma civile, perché non ha determinato alcun assembramento, visto che c’erano 6 fedeli in parecchie centinaia di metri quadrati: senz’altro molti meno di quanti vediamo nei centri commerciali o nelle librerie!
Da povero laico (combattente senza armi) non posso che esprimere piena solidarietà al parroco di questo episodio. E non posso non allarmarmi per una Chiesa che, attraverso tante sue autorità, sembra più preoccupata di essere ligia al potere civile che al compito di annunciare anche sacramentalmente Gesù Cristo. Infatti, anche quella donna che versava il prezioso unguento sui piedi di Gesù stava violando una “norma civile”, tanto che i farisei si sono scandalizzati. Gesù è stato crocifisso perché ha violato tante “norme civili”, per essere fedele al mandato del Padre.
Per fortuna, esiste anche una autorità che ci ha aiutato a fare chiarezza nella verità e nella carità. Il cardinale Giovanni Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, ha detto a chiare lettere che nessuno può interrompere una Santa Messa, neppure un carabiniere, il quale, al massimo, avrebbe potuto intervenire alla fine della Messa per ammonire il parroco, ma non interromperlo. Spero che il vescovo lombardo e la sua curia abbiano avuto modo di leggere le parole di questo Principe della Chiesa.
Peppino Zola
Foto Ansa
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