
Tentar (un giudizio) non nuoce
Africa-Cina: il rischio di un nuovo colonialismo

Si è svolto in questi giorni, dal 4 al 6 settembre, a Pechino il Forum sulla cooperazione Cina-Africa (FOCAC), alla presenza di una cinquantina di leader africani. Forum che, dopo la pandemia, per la prima volta si è svolto in presenza nonostante esista da ben 24 anni, alternandosi ogni tre anni in una capitale africana e una cinese. L’ultima volta si era svolto a Dakar nel 2021 prevalentemente online. La presenza fisica dei leader africani alla “corte” di Xi Jinping è un’occasione per riflettere su quanto sta accadendo. Quest’anno, tra l’altro, il FOCAC è inaugurato non solo dal presidente cinese e dal suo co-host sudafricano Cyril Ramaphosa ma anche dall’attuale presidente dell’Unione Africana e presidente del Ruanda, Paul Kagame, e dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.
La presenza di queste ultime due figure è significativa in quanto riflette l’importanza che le relazioni tra la Cina e i paesi africani hanno assunto a livello continentale e globale. Questa evoluzione è diretta conseguenza del drastico cambiamento di status e ruolo della Cina e di vari paesi africani negli ultimi diciotto anni. Come sottolinea l’ISPI i due “attori”, oggi «sono tra i più importanti attori nello scenario mondiale, capaci di definire e forgiare iniziative regionali e globali. Basti pensare all’Agenda 2063 e alla One Belt One Road (OBOR), due iniziative – la prima africana, la seconda cinese – volte a creare reti infrastrutturali e commerciali con il fine di promuovere il commercio e l’integrazione non solo a livello regionale ma anche internazionale».
Non bisogna dimenticare che Cina e Africa assieme rappresentano 2,8 miliardi di abitanti. Mentre scriviamo queste righe non possiamo ancora trarre un bilancio definitivo del summit, ma si può certo proporre una riflessione sull’importanza di non lasciare l’Africa nelle mani della Cina, e della sua idea di cooperazione che è molto distante dalla nostra, ad esempio quella incarnata dal “Piano Mattei”.
Prestiti e armi
Sono due i fatti, in particolare, su cui suggerirei di riflettere. Il primo riguarda la strategia di Pechino che, negli anni scorsi, è stata quella di riempire i Paesi africani di prestiti cinesi. Negli anni tra il 2013 e il 2018 le casse cinesi hanno erogato prestiti alla media di 10 miliardi di dollari l’anno, nel 2016 quasi 30. Questo ritmo si è contratto con la pandemia, è ripreso solo lo scorso anno ed oggi siamo ancora lontani da quelle “gigantesche” cifre.
Che cosa hanno generato questi prestiti? Una sorta di nuova dipendenza coloniale, perché molti paesi africani si sono trovati nella condizione di non poter restituire le risorse ottenute ed in cambio la Cina, come ci ricorda sempre l’ISPI, in un articolo di questi giorni, «da primo creditori di molti progetti infrastrutturali africani ha iniziato a chiedere in cambio il controllo di queste infrastrutture. È quello che alcuni definiscono la trappola del debito. Per chi stipula prestiti con Paesi che hanno difficolta a rimborsare, il colosso cinese sequestra i beni pubblici strategici dei creditori inadempienti».
Il secondo aspetto su cui occorre riflettere è che la Cina è diventata in questi ultimi anni il principale esportatore di armi in Africa, soppiantando la Russia, che, anche a causa della guerra in Ucraina, ha dovuto ridurre di circa la metà l’esportazione delle proprie armi. Non sono meno di 21 i Paesi dell’Africa che hanno avuto importanti armi cinesi negli ultimi cinque anni e sono sette su dieci gli eserciti subsahariani che utilizzano veicoli blindati fabbricati in Cina. Quasi tutti i paesi africani, tra l’altro, mandano i propri giovani a formarsi militarmente nel paese asiatico.
Diffidenza verso l’Occidente
Perché questo? Perché il combinato disposto del controllo delle risorse finanziare e delle leve miliari rappresenta una formidabile tenaglia per assicurarsi le leve del potere. Se questi due aspetti non dovessero bastare a suscitare qualche dubbio vale la pena ricordare che nell’ultimo summit FOCAC, la Cina si era impegnata ad acquistare non meno di 300 miliardi di prodotti africani, per riequilibrare la bilancia commerciale, che oggi è largamente a suo vantaggio. Ma questo impegno è rimasto lettera morta.
Questo scenario di consegna alla Cina del continente africano per noi europei può sembrare sorprendente, ma lo è molto meno se teniamo in conto la storica diffidenza africana a causa del colonialismo europeo, e negli ultimi anni anche verso gli Stati Uniti. Sono noti i recenti golpe militari che hanno praticamente espulso la presenza sia della Francia sia degli Usa da Mali, Burkina Faso e Niger. È altrettanto evidente però che non sarà il neocolonialismo cinese a sollevare l’Africa dal suo destino.
Il Piano Mattei
Tutto ciò rende ancora più importante l’approccio originale e cooperativo che il nostro Paese ha introdotto con il Piano Mattei, che va ben al di là della semplice cooperazione economia ma può rappresentare il fondamento di un rapporto diverso tra l’Europa ed il Continente africano. Nell’interesse di entrambi.
L’approccio italiano è stato impostato, infatti, su una collaborazione da pari a pari, con l’obiettivo di aiutare l’Africa a crescere grazie allo strumento dei partenariati partitari, che generano ricadute positive per tutti. Stiamo parlando di una cooperazione che parte dallo sviluppo, passando alla promozione delle esportazioni e degli investimenti e ancora all’istruzione, alla formazione professionale e superiore, alla salute, all’agricoltura e alla sicurezza alimentare, sino al partenariato energetico anche nell’ambito delle fonti rinnovabili e della gestione dei flussi migratori legali. Non armi o prestiti irrecuperabili, ma un rapporto all’insegna della crescita e della collaborazione paritaria. L’obiettivo generale è quello di costruire una linea di cooperazione che si distanzi da quell’approccio predatorio che ha costituito fino ad ora troppe volte il rapporto tra Occidente e Stati africani.
Questa volta, dunque, l’Italia può indicare a tutti una strada costruttiva e positiva per uno sviluppo pacifico, utile all’Africa, tanto quanto all’Europa e al mondo.
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