
L’Afghanistan è una sconfitta durata vent’anni

Lo scrivo con dolore, perché è una vicenda che si intreccia con vent’anni di studi sul terrorismo islamista, con Itstime, e con sette missioni, dal 2009 al 2015 tra Herat e Kabul, che lasciano sul campo tante amicizie e speranze.
È caduta Kunduz nelle mani dei talebani, domani Lashkar-Gah, poi Kandahar, Mazar-i Sharif, Herat: Kabul sarà conquistata o si sarà arresa. Potremo declinare la progressiva penetrazione dei talebani con vocabolari differenti, ma il senso politico e militare è inevitabilmente quello di una sconfitta che si è costruita in due decenni.
La missione è fallita
Se la missione doveva essere quella di stroncare quell’Al-Qaeda, e i talebani, rinchiusa nelle caverne di Spin Ghar, o Tora Bora, con un’azione nel 2001, in risposta al massacro terrorista del Nine Eleven, alle Torri Gemelle: la missione è fallita. Al punto che il fallimento è celebrato nell’avere identificato l’Undici Settembre 2021 come la data di completamento del ritiro americano dal Paese: quel medesimo giorno di vent’anni prima prese il via la guerra, il medesimo giorno (venti anni dopo) si decide di chiuderla con un atto che così consolida al mondo la più grande delle sconfitte americane. E dei loro alleati.
L’avere ricercato questa doppia ricorrenza coincidente è il simbolo della stupidità di gestione di questa guerra. E della mancanza di rispetto per chi ci è morto. E della mancanza di rispetto per tutti quegli afghani che avevano creduto alle favole della propaganda che esportava democrazia, con la pace e il benessere.
Accordi con i talebani
Quanto sta accadendo non solo era prevedibile: fino a un certo punto è stato guidato per essere così e non altro.
Il riassetto internazionale è in atto da mesi: bypassato il GIROA di Ghani attraverso colloqui diretti con i suoi antagonisti talebani da parte americana che, poi, ha affrettato un ritiro che ha lasciato completamente scoperto l’esercito nazionale, l’ANA, votato alla fuga, alla sconfitta o alla immolazione senza più mezzi aerei, né logistica, né specialisti, l’Afghanistan va a sostituire la Siria come campo di conflitto “in affitto” per il confronto tra potenze. Russi e cinesi, iraniani, indiani e pakistani: si affollano per garantire la continuità dell’interesse nazionale proprio stringendo accordi con i talebani. Chi riuscirà nell’intento, se non sarà dalla loro parte almeno starà solo a guardare. Chi fallirà nell’accordo, sarà il nemico da combattere.
La sconfitta del sogno
Nel frattempo, continueranno a morire gli afghani e proprio e soprattutto quelli a cui abbiamo insegnato nelle università di Herat la pratica e l’etica del giornalismo nello spirito della libertà; quelle famiglie le cui figlie sono andate a scuola con le nostre borse di studio; quei giovani e quelle giovani a cui abbiamo fatto vedere la politica illusoria della democrazia parlamentare; quelle donne che avevano risposto alla violenza dandosi fuoco e che abbiamo salvato nei nostri ospedali, ma solo temporaneamente; tutti coloro i quali hanno partecipato in qualche modo alla sconfitta del sogno contrabbandato come nuovo scenario di vita possibile anche per l’Afghanistan.
Tutti complici
E ancora adesso c’è qualcuno che invoca la resistenza di questi afghani come speranza di contrasto all’avanzata talebana. Senza ritegno: perché quella degli afghani, abbandonati da coloro di cui si erano fidati, non è resistenza al nemico ma è lotta per la sopravvivenza di se stessi, mi auguro con il massimo spirito di egoismo personale e con la massima consapevolezza che, se sopravviveranno, dovranno trovare un’altra via rispetto a quella che tutta la compagine internazionale ha cercato di propinare loro per due decenni.
La tragedia dell’Afghanistan sta cominciando ora, perché sarà peggio di prima, levatrice l’America, complici tutti noi. Io per primo.
Foto Ansa
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