Afghanistan. «Joe Biden ha fatto un errore strategico clamoroso»

Di Leone Grotti
10 Settembre 2021
Intervista a Mario Mauro, già ministro della Difesa: «I talebani sono criminali, non possono cambiare. Europa e Occidente hanno condannato al calvario milioni di cittadini»
Le donne protestano contro i talebani a Kabul, in Afghanistan

Le donne protestano contro i talebani a Kabul, in Afghanistan

«Immaginare che i talebani potessero diventare interlocutori credibili dal punto di vista del rispetto dei diritti umani non è solo un’illusione, è una scelta di ripiego strategica fatta per convenienza». Commenta così a tempi.it la situazione dell’Afghanistan Mario Mauro, già ministro della Difesa e fondatore del centro studi di relazioni internazionali Meseuro. Mauro parteciperà domani mattina a Milano alle 9.30 all’incontro “Afghanistan anno zero?” organizzato e moderato da Luigi Amicone, candidato al Consiglio comunale di Milano con Forza Italia.

Dopo la riconquista del paese e la rovinosa ritirata degli americani, i talebani stanno già mostrando il loro vero volto: sottomissione delle donne, omicidi, minacce ai giornalisti. Qualcuno sperava che sarebbero cambiati.
Quando Joe Biden, per giustificare che gli americani non avrebbero più combattuto le guerre degli altri, ha incolpato le amministrazioni afghane inefficienti e corrotte ha fatto un errore clamoroso di cultura politica e visione geopolitica.

Quale?
Immaginare che l’autoritarismo dittatoriale di una teocrazia di matrice islamista come quella dei talebani sia meglio di inefficienza e corruzione. Questa è una ipotesi di ripiego a cui gli americani si sono arresi sulla spinta dei propugnatori dell’accordo con i talebani, cioè Turchia e Pakistan, con il supporto logistico e finanziario del Qatar. E questo ripiego fatto per ipotetica convenienza si trasformerà in un calvario.

Per chi?
Innanzitutto per gli afghani perché la permanenza nel paese per 20 anni della missione Nato ha fatto passare la popolazione da 20 a 38 milioni, sulla spinta di maggiore prosperità e libertà. La popolazione studentesca è passata da 800 mila maschi a 12 milioni di persone, la metà dei quali è rappresentata da donne. E questo sarà il problema più grande per i talebani, che avranno a che fare con persone che l’aria di libertà l’hanno respirata e non per forza si piegheranno supinamente come nel 1996 ai talebani.

La vittoria dei talebani rappresenta un cataclisma umanitario e geopolitico. Eppure non sembra che l’Unione Europea se ne stia preoccupando troppo.
Voglio essere sincero: l’unica reazione degna di nota sull’Afghanistan è arrivata da Angela Merkel, che ha fatto un discorso molto chiaro assumendosi precise responsabilità, accusando l’Europa e l’Occidente di essersi limitati a sperare nel cambiamento dei talebani, invece di chiamare in modo determinato le cose con il loro nome. La posizione più contraddittoria invece è stata paradossalmente espressa dal responsabile della Politica estera europea, Josep Borrell.

Che cosa ha detto?
Ha affermato che siccome i talebani hanno vinto, ora bisogna dialogare con loro. Può essere certamente vero per far fronte alla crisi umanitaria, ma non ha senso in generale se pensiamo che ci ostiniamo a definire “governo” la cricca di potere formata da esponenti di una milizia armata che ha prodotto un colpo di Stato. Perché i loro ministri dovrebbero essere considerati legittimi? Ecco perché dico che la prima colpa dell’Europa e dell’Occidente è non chiamare le cose con il loro nome.

E se volessimo farlo, cosa dovremmo dire?
Che le persone nominate dai talebani come responsabili del governo della nazione si sono già macchiate di orrendi crimini contro donne, comici e giornalisti che li hanno contestati. Non mi pare inoltre che ci siano state elezioni: chi dice che i talebani godano dell’appoggio della maggioranza degli afghani? Un’Europa degna di questo nome dovrebbe gridarlo a gran voce. I paesi membri dell’Ue non stanno poi entrando nel merito dei problemi.

C’è stata una riunione per gestire il nodo delle migrazioni.
Ecco, alcuni pesi stanno costruendo muri per contenere l’ipotetico flusso migratorio che, ricordo, sarà un flusso di richiedenti asilo e non di migranti economici. Gli afghani sì che hanno ragione a scappare. Con loro non si può ripetere il mantra, che in altre parti del mondo può anche avere senso: “Aiutiamoli a casa loro”. Cosa facciamo, diamo soli ai talebani perché oltre al danno ci sia anche la beffa? Perché possano rimpinguare le loro casse per mantenere nella prigionia e nella persecuzione molti degli abitanti? Oppure diamo soldi ai pakistani perché gestiscano campi profughi dove i talebani avranno libero accesso per mantenere in stato di terrore chi scappa dall’Afghanistan? Queste domande meritano risposte concrete da parte dell’Ue, che deve immaginare l’integrazione di chi vuole vivere in libertà. Su questi temi, non ho sentito grandi e intelligenti risposte.

E sul rinnovato attivismo della Cina, invece?
In questo caso, devo dire, la responsabilità è degli americani. Il disimpegno Usa va anche a detrimento della strategia recente di provare a coinvolgere l’India in un fronte anticinese. Io temo che questo ritorno di fiamma dell’egemonia pakistana sull’Afghanistan insieme all’occupazione cinese di spazi vitali in chiave economica rappresenterà un ulteriore ridimensionamento degli americani dal Pacifico al Medio Oriente.

Nelle ultime settimane si è parlato molto in Europa di difesa ed esercito comune europeo. È un obiettivo davvero realizzabile?
Da un punto di vista teorico, il disimpegno americano ha insegnato molto all’Europa. Quando gli Stati Uniti invasero l’Afghanistan chiesero l’applicazione dell’articolo 5 della Nato, quello che stabilisce che un attacco armato contro un paese membro è da considerare come un attacco diretto contro tutti i membri. Quando se ne sono andati, però, non hanno fatto appello a niente e non hanno consultato nessuno. La teologia cattolica ci insegna che si va in paradiso per amore di Gesù, ma anche per paura dell’inferno. Quindi questo atteggiamento americano potrebbe essere motore reale di decisioni sostanziali da parte dei Ventisette.

Questo in teoria, ma in pratica?
Sono abbastanza scettico perché nelle presidenze del Consiglio e nelle cancellerie europee una determinazione e una capacità visionaria che vada in questa direzione non la vedo proprio. I tedeschi e i francesi sono chiamati a breve a prove elettorali importanti. Se i politici non si faranno carico di spiegare ai cittadini in campagna elettorale che senza un esercito europeo non potremo garantire la sicurezza del continente e che questo rappresenterà un costo per i contribuenti, non vedo come chi vincerà potrà avere il coraggio e la forza politica di proporre un passo del genere all’opinione pubblica. In Germania la campagna elettorale è agli sgoccioli e finora non si è parlato di questo tema. In Francia neanche, anche se i transalpini hanno ancora tempo. Ecco perché non credo che l’esercito comune europeo si possa realizzare al momento, di sicuro non nei prossimi cinque anni.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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