
Affittare non conviene più. Si mangia tutto lo Stato (fino all’80 per cento di tasse)
L’affitto se lo mangia tutto, o quasi, il fisco. Con buona pace del proprietario di casa. Secondo un’elaborazione curata dal Sole 24 Ore, sulla base di dati Tecnocasa e Agenzia delle entrate, infatti, il 60 per cento in media (con punte pari all’80 per cento) dell’importo degli affitti viene letteralmente “mangiato” dalle tasse, a beneficio delle casse dello Stato. A pagare il conto più salato sono i genovesi, dove il proprietario di un bilocale può arrivare a “perdere” fino al 75 per cento del canone annuo e l’82 per un trilocale.
NON SOLO E’ LA “STANGATA” IMU. A pesare soprattutto è l’introduzione dell’Imu, che quest’anno ha chiesto al mercato immobiliare (e ai proprietari) un conto pari a 23 miliardi di euro. Ma non è tutto. Nel 2013 la percentuale del canone di locazione che si potrà portare in deduzione dalle imposte sui redditi scenderà dal 15 al 5 per cento, per effetto della riforma Fornero (dl 92/2012). Questo significa che, nelle dichiarazioni 2014 su redditi 2013, il canone ricevuto dall’inquilino peserà per il 95 e non più per l’85 per cento; una novità che determinerà aumenti nelle richieste del fisco comprese fra il 4 e l’8 per cento, a seconda della tipologia dell’immobile.
DOVE AFFITTARE CASA CONVIENE. Le sperequazioni maggior sono concentrate dove, come a Genova e Torino (qui per un bilocale l’imposizione fiscale può raggiungere l’81,7 per cento), gli affitti sono bassi e i valori catastali elevati. Conti meno salati, ma comunque elevatissimi, anche per i proprietari di immobili a Milano (52,7 per cento di tasse per un bilocale), Roma (54), Cagliari (55), Verona (57) Salerno (59) e Brescia (59,3).
LA CEDOLARE SECCA NON BASTA. Per chi sceglie il regime fiscale della cedolare secca gli importi si riducono: a Genova le tasse scendono al 67 per cento, così come anche a Brescia (44,2), Roma (38,9), Milano (37,6), Torino (66,6), Cagliari (40), Salerno (44) e Verona (42,5). Finora però la “tassa piatta” ha abbracciato solo 300 mila contratti, ossia nemmeno il 10 per cento della platea potenziale.
VALORI “SBALLATI” E INQUILINI “FORZATI”. «Come sempre quando si parla di Fisco del mattone – spiegano Saverio Fossati e Gianni Trovati sul Sole 24 ore – l’incrocio con i dati di mercato si rivela una lotteria, perché ad avere l’ultima parola sono i valori catastali il cui rapporto con il mercato è puramente casuale». E a pagare il conto più salato sono i cosiddetti «inquilini forzati», ossia quei cittadini «troppo ricchi per aspirare a una casa popolare» ma non «considerati abbastanza solidi dalle banche per accendere il mutuo necessario all’acquisto dell’abitazione» e che, pertanto, in questa condizione, «non sono in grado di pagare un canone minimamente interessante per il proprietario».
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