
Adozioni: anonimato della madre naturale o diritto del figlio a sapere?

Conta più il diritto della privacy della madre o il bisogno di sapere del figlio? Le adozioni sono materia delicata, e le leggi che la regolamentano hanno sempre funzionato, fino al 25 settembre 2012. Quando una sentenza della Corte Europea ha dato ragione ad Anita Godelli, una signora di 69 anni, che aveva scoperto a dieci anni di essere stata adottata e voleva conoscere i suoi genitori naturali. La legge che regola la segretezza della madre, in Italia, è la numero 184 del 1983, e la Corte Europea ha sancito che violava l’articolo 8 della convenzione europea sui diritti umani, visto che è permesso conoscere l’identità di una madre che ha voluto rimanere segreta solo una volta trascorsi 100 anni, dalla data del parto. Cioè, a madre ormai defunta. Venerdì 16 maggio, tre anni dopo quella sentenza, verrà discusso alla Camera dei Deputati un disegno di legge per modificare la legge del 1983, e far sì che i figli possano conoscere le proprie origini. Spiega meglio a tempi.it cosa potrebbe cambiare l’avvocato Giancarlo Cerrelli, vicepresidente nazionale dell’Unione giuristi cattolici italiani.
Può spiegarci come siamo arrivati alla discussione di questo disegno di legge?
La Corte EDU nel 2012 ha censurato la disciplina italiana che attualmente preclude l’accesso dell’adottato alle informazioni sulla madre che abbia scelto di restare anonima, senza prevedere la possibilità che essa sia interpellata con le dovute cautele dall’autorità pubblica per verificare la permanenza della volontà di non essere nominata. L’anno successivo alla sentenza della Corte EDU Godelli c. Italia anche la nostra Corte Costituzionale con la sentenza n. 278/2013 ha dichiarato incostituzionale l’art. 28, comma 7, l. 184/1983, nella parte in cui non prevede la possibilità di interpellare la madre sulla sua volontà di rimanere anonima, e lascia al legislatore l’introduzione delle disposizioni volte a consentire tale verifica, salvaguardando rigorosamente l’anonimato della donna.
Nel 2013, alla luce di tali pronunce, la parlamentare Bossa (Pd) ha presentato una proposta di legge che intende superare il diritto all’anonimato della madre e così dare la possibilità al figlio di conoscere le proprie origini. Tale proposta di legge sarà presentata, con molta probabilità, venerdì nell’aula di Montecitorio da due rappresentanti del Pd, le onorevoli Roberta Agostini e Margherita Miotto.
Cosa cambierà?
Nel caso in cui la madre al momento del parto abbia deciso di non essere nominata e di tutelare il suo anonimato, il figlio, attualmente, non può conoscere le proprie origini, se non dopo che siano passati 100 anni dal parto. Il disegno di legge presentato dal Pd, invece, intende aggirare tale anonimato, consentendo all’adottato che abbia compiuto i venticinque anni di fare istanza al Tribunale per i minorenni in cui risiede, affinché sia richiesto alla madre e al padre naturali il loro consenso al superamento dell’anonimato, per poter verificare la loro volontà di conoscere il figlio, non riconosciuto al momento della gravidanza. Il limite per l’adottato del compimento dei 25 anni per poter compiere ricerche sul suo passato rimarrà lo stesso. La legge 184/1983 all’art. 28, infatti, afferma che il minore adottato è informato della sua condizione e i genitori adottivi vi provvedono nei modi e nei termini che essi ritengono più opportuni. L’adottato, raggiunta l’età di venticinque anni può, però, accedere alle informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici. L’accesso a tali informazioni, tuttavia, non è consentito qualora la madre abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata.
Conta di più il desiderio del figlio che il rispetto della privacy della madre, quindi?
Sono due diritti che vanno bilanciati. Certamente è un diritto fondamentale conoscere le proprie origini, come del resto sancisce l’art. 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo, adottata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, che stabilisce che: “Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi”. Del resto anche l’art. 30 della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, sottoscritta a L’Aja il 29 maggio 1993 e resa esecutiva con la legge 31 dicembre 1998, n. 476 , impone agli Stati aderenti di assicurare l’accesso del minore o del suo rappresentante alle informazioni relative alle sue origini, fra le quali, in particolare, quelle relative all’identità dei propri genitori. Se, dunque, da un lato è un diritto fondamentale quello del minore a conoscere le proprie origini, lo è, in casi gravissimi, anche quello della madre, alla nascita di un figlio, a non essere nominata negli atti anagrafici e a vedere tutelato il suo diritto all’anonimato. Tali diritti meritano un adeguato bilanciamento. Credo, tuttavia, che nel disegno di legge in discussione vadano meglio specificate la modalità con la quale verrà contattata la madre. Ritengo che debbano essere previste eventuali sanzioni a chi dovesse ledere – con fughe di notizie o con altre modalità – il diritto di anonimato della madre. Ci vuole delicatezza assoluta nel comunicare una notizia di questo tipo e il disegno di legge al momento non prevede nessuna specifica modalità. Ci dobbiamo chiedere quale dramma avrà vissuto una madre per scegliere di separarsi dalla propria carne, dopo avergli dato la vita, invece che abortirlo prima. La decisione drammatica della madre di non riconoscere il proprio figlio e di non essere nominata, anche se sono passati tanti anni, merita rispetto. Potrebbe avere una nuova famiglia, non si può mandare un ufficiale giudiziario a bussare alla sua porta o spedire una raccomandata, con il rischio di rompere nuovamente il suo equilibrio. Si dovrebbe trovare una modalità per comunicarlo solo e soltanto alla madre.
Pensa che la discussione sul riconoscimento genitoriale possa coinvolgere anche le nuove tipologie di figli? Quelli nati con fecondazione eterologa?
Ho questo dubbio. È contraddittorio che da una parte con questo progetto di legge si voglia superare il diritto all’anonimato di una madre che drammaticamente fa la scelta di abbandonare il proprio figlio e, invece, dall’altra, in taluni paesi europei, per il donatore di gameti si tutela in modo assoluto il suo diritto all’anonimato. In Italia, d’altra parte, in attesa di una regolamentazione della fecondazione eterologa, dopo la sentenza della Consulta, vi sono proposte che sposano una disciplina che preveda l’anonimato del donatore di gameti e ciò al fine di incentivare la loro donazione; del resto era così la disciplina prima dell’approvazione della legge 40/2004. Tuttavia, nel caso in cui anche in Italia fosse codificato un diritto all’anonimato del donatore dei gameti – e ciò solitamente avviene nella maggior parte dei rapporti familiari artificiali (fecondazione eterologa, maternità surrogata, adozioni omosex), per i quali alcuni ordinamenti codificano il diritto all’anonimato dei donatori, cancellando il diritto dei figli a conoscere le proprie origini – il nascituro verrebbe ad essere mortificato due volte: la prima per il fatto di non poter vivere ed essere educato dal proprio genitore biologico e la seconda volta dal fatto di non poter ricostruire le proprie origini. Tutto ciò avverrebbe per soddisfare eminentemente un desiderio degli adulti.
Una conseguenza di questo disegno di legge potrebbe essere un aumento degli aborti?
Molte madri certamente si sentiranno meno tutelate e potrebbero per questo optare per la scelta più facile, quella di interrompere la gravidanza. La stessa legge 194/1978 tra i suoi fini ha quello, rimasto purtroppo sulla carta, di prevenire gli aborti; mi chiedo allora: la proposta di legge che sta per essere discussa va in tale direzione, o faciliterà gli aborti? Il diritto all’anonimato non è un diritto assoluto, ma in casi molto gravi merita tutela. Ogni anno in Italia ci sono circa 400 casi di figli non riconosciuti, che sono accolti in famiglie che li amano. Siamo certi che con l’approvazione di questa legge ci saranno ancora mamme che avranno il coraggio e la forza di portare a termine una gravidanza indesiderata?
Foto neonato da Shutterstock
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6 commenti
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c’è gente che non sa fare di meglio che distribuire commenti OT … ci vuole pazienza 🙂
Non so se il mio commento sia andato perso, ma ripeto che , se leggi bene, caro untuoso Nino, nell’articolo si parla, eccome, del tema accennato da me !
Quindi non c’è “gente “(( come sei infantile ! ) in OT, semmai gente con una coda di paglia notevole !
Come al solito si gioca sulle parole. Si parla di “anonimato”. Ma il problema è tutt’ altro.
L’ anonimato potrebbe essere un diritto solo per cose che riguardano te stesso.
Ma se ci sono in gioco i diritti degli altri, mica puoi accampare l’ anonimato!
Come se io ti prelevassi i soldi dal conto corrente, e poi pretendessi il diritto all’ anonimato… Anonimato per te, forse; ma non per gli altri che vengono derubati! Loro hanno diritto di sapere.
Per fortuna caro clemente, il legislatore italiano che vuole modificare la legge non la pensa come te. Perchè non garantire l’anonimato (come tu vorresti) rischia solo di aumentare gli aborti
E tutti siamo sicuri che l’untuoso Nino sia preoccupato per l’aumento degli aborti ( lui che distribuirebbe pillole abortive a destra e a manca ! ) e non per il fatto che i figli strappati dalle braccia della propria mamma dai suoi amichetti , un giorno possano cercare la loro mamma, altrimenti chiamata “ragazza che ha donato l’ ovulo “.
La questione è effettivamente complicata perché ci sono due esigenze teoricamente opposte. Però, sempre per la precisione, la corte europea non ha sancito il diritto del figlio di sapere, quindi l’anonimato della madre (ma anche del padre) viene tutt’ora considerato prioritario (anche nella proposta di legge di cui si parla) rispetto al desiderio del figlio di conoscere le sue origini