
I gazzettieri della morte e la manifestazione ScegliAmo la Vita a Roma

Il marasma è il solito: fanno i capricci, pestano i piedi sulla 194, dicono che in Italia è impossibile abortire come si deve perché ci sono gli obiettori di coscienza, impossibile morire come si deve perché c’è la Chiesa cattolica, i pro-life, il Medioevo.
Fanno i capricci, i giornali al seguito dei radicali. Due riprese sui dati Istat e l’inverno demografico e poi montano teatrini contro i fondi per la vita nascente e pubblicano storie come quella di «Giulia, giovanissima, 19 anni. Quell’età in cui una gravidanza indesiderata può segnarti la vita».
L’eterna crociata per scardinare la 194
Giulia, che dopo avere trovato a Napoli “tutte le porte chiuse”, è riuscita ad abortire “appena in tempo” a Roma grazie a una telefonata alla Laiga: «Mi chiedo cosa sarebbe successo se non avesse trovato quel numero», commenta a Repubblica Silvana Agatone, presidente di una associazione di ginecologi che si piccano di difendere la 194 e al contempo il diritto di violarla, dal momento che la legge che disciplina le modalità di accesso all’aborto non autorizza all’interruzione di alcuna gravidanza perché “indesiderata” data la giovane età.
Quanto ai numeri, «proprio non ci siamo. L’indagine presentata dall’Associazione Coscioni (e tradotta in lettera aperta ai ministri Speranza e Cartabia, ndr) in merito all’applicazione della legge 194 sull’aborto, dal punto di vista dei dati fa acqua da tutte le parti», scrive Eugenia Roccella, smontando su Avvenire lo studio che ripropone la trita e ritrita denuncia sull’impossibilità di abortire per colpa del numero di obiettori di coscienza in un paese in cui la media nazionale è di 1,1 aborti alla settimana e dove il numero di punti aborto in diverse regioni italiane supera quello dei punti nascita, «e la media nazionale mostra che sono praticamente uguali. Eppure sappiamo che gli aborti corrispondono mediamente al 20% delle nascite».
La “ola” per l’aborto e l’eutanasia
Fanno i capricci i giornali, parlano di “diritto all’aborto” e “diritto al suicidio” negati, chiamando libertà, amore, altruismo, l’ammazzare bimbi in pancia o adulti malati o handicappati. E chi dissente e, di più, non fa la “ola” per le pillole abortive o l’eutanasia di Stato – non a caso il testo sull’eutanasia in discussione al Senato altro non è che una legge 194 che, invece che al concepito, mira all’ammalato, il disabile, l’anziano non autosufficiente – è uno spietato bigotto reazionario, un oscurantista al guinzaglio della Chiesa cattolica.
Insomma, tira la solita aria mortifera, nella fattoria degli intellettuali. Ma poiché gli scritti vivono solo metaforicamente, fuori dalle redazioni accade finalmente qualcosa di segno contrario: c’è chi ha deciso di uscire, non per fare capricci, banchetti o raccolta firme, ma per ricordare una cosa semplice: quelli lì sono esseri umani. E come tali non sono disponibili.
La manifestazione ScegliAmo la Vita
E questa sì che è una notizia: oggi, nelle vie della capitale, manifestano migliaia di persone col profilo scabroso agli occhi di chi si fa scudo di donne e malati per disintegrare i diritti umani (dove sarebbe l’umanità nel togliere invece di accogliere una vita per quanto imperfetta o indesiderata?) per poi chiamare l’intera operazione “battaglia per i diritti civili”. Persone impresentabili, senza giornali e televisioni, ma con pancioni, carrozzine, carrozzelle, persone che invece di restare allo spioncino del soggiorno sono scese un attimo in piazza per dire la verità, parolina sfrattata dalle ultime piazze organizzate all’insegna di libertà, responsabilità, giustizia, dignità, diritti: quelli lì sono vivi, sono uno di noi.
“ScegliAmo la Vita” è stata convocata da oltre cento tra enti e associazioni di tutta Italia a Roma, con lo schema più semplice e popolare possibile: partenza alle ore 14, da Piazza della Repubblica e corteo fino a Piazza San Giovanni in Laterano, testimonianze, musica, per lanciare «la sfida della speranza in un’epoca segnata dalla disperazione e dalla cultura mortifera dello scarto, che abbandona anziani, disabili, malati e mamme con gravidanze difficili – spiega Massimo Gandolfini, già leader dell’oceanico Family Day e oggi, insieme a Maria Rachele Ruiu, portavoce della manifestazione -. C’è un Paese che all’eutanasia delle persone fragili, all’inverno demografico e all’aborto, che ancora oggi elimina 100mila bambini ogni anno, risponde con la cura, il sostegno e l’apertura alla vita».
C’è vita in ogni carrozzina
Un paese che non marcia per denunciare, ma per festeggiare la vita, e per accogliere anche il dolore di chi ha abortito, «le donne hanno il diritto di non essere abbandonate alla disperazione e alla solitudine dell’aborto e di essere accolte insieme ai loro figli. Hanno il diritto di avere a disposizione tutte le soluzioni per superare le difficoltà di una gravidanza inaspettata», ricorda sempre Maria Rachele Ruiu. Una manifestazione per le donne, i fragili e per «tutte le vittime della cultura dello scarto: l’età, la grandezza, il luogo in cui ci si trova, le difficoltà economiche e sociali o le fragilità non possono essere motivo di discriminazione, non possono determinare il valore di un essere umano».
Il marasma è il solito, ma la notizia oggi non sono quelli che fanno i capricci, pestano i piedi dal Medioevo per il diritto a sbarazzarsi di un problema, la notizia, almeno oggi, sono quelli che hanno raggiunto Roma e manifestano spingendo carrozzine e carrozzelle per dire una cosa semplice: queste persone non sono un problema, queste sono persone, sono uno di noi. In che Bibbia e di quale civiltà molto progressivamente aggiornata starebbe scritto che ucciderle è un diritto umano?
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