L’America si prepara alla “notte della rabbia” sull’aborto

Di Caterina Giojelli
24 Giugno 2022
Barricate intorno alla Corte Suprema, centri di aiuto alla vita dati al fuoco dagli attivisti di Jane’s Revenge, punti gravidanza nel mirino delle élite. E mentre la stampa pratica il silenzio sulle minacce ai giudici il paese attende la decisione su Roe v Wade
aborto america

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È questione di ore: attorno alla Corte Suprema sono già stata innalzate le barricate, Washington si prepara alla “notte della rabbia” proclamata dal gruppo abortista Jane’s Revenge, quella che verrà innescata dal parere finale dei nove giudici qualora si confermasse il ribaltamento della sentenza sull’aborto Roe v Wade.

Una call to action all’insurrezione per le strade di Capitol Hill, culmine della rappresaglia degli attivisti pro-aborto scatenata dalla fuga di notizie pubblicata da Politico con la bozza di parere firmata dal giudice Samuel Alito. Era il 2 maggio: da allora si sono registrati oltre 40 incidenti, attacchi violenti o intimidazioni a dozzine di chiese, centri di aiuto alla vita e per la gravidanza in tutto il paese in risposta.

Jane’s revenge, molotov e aborto

Dalla molotov che ha innescato l’incendio e distrutto parte del centro di First Image (il secondo attacco alla realtà che aiuta le mamme incinte senza mezzi) il 10 giugno scorso a Gresham, zona di Portland, al “bombardamento” del CompassCare di Buffalo, danni per centinaia di migliaia di dollari e l’immancabile scritta “Jane was here”, attacco rivendicato il 14 giugno su Abolition Media da un comunicato di Jane’s Revenge: «Non siamo un gruppo ma siamo tanto, ci avete visto in azione a Madison, Ft. Collins, Reisertown, Olympia, Des Moines, Lynwood, Washington, Ashville, Buffalo, Hollywood, Vancouver, Frederick, Denton, Gresham, Eugene, Portland, e continuiamo ad agire in innumerevoli altri luoghi in modo invisibile».

Poi l’ultimatum: «I vostri trenta giorni sono scaduti ieri (…) abbiamo dimostrato nell’ultimo mese quanto sia facile e divertente attaccare. Siamo versatili, siamo volubili e non rispondiamo a nessuno tranne che a noi stessi. Abbiamo promesso di adottare misure sempre più drastiche contro le infrastrutture oppressive (…) per i nostri alleati che dubitano dell’autenticità dei comunicati e delle azioni: c’è un modo per ottenere prove inconfutabili che queste azioni sono reali. Vai a farne una tu stesso. Sei già uno di noi. Tutti voi con la voglia di imbrattare, bruciare, tagliare, inceppare: ora è il momento».

Obiettivo, i centri di aiuto alla vita

E mentre gli attivisti imbrattano, incendiano, distruggono, le élite apparecchiano la fine dei centri di aiuto alla vita a mezzo legge. La California ordina loro di fornire agli utenti informazioni su come accedere all’aborto, il governatore di New York, Kathy Hochul, firma un disegno di legge che autorizza il commissario statale per la salute a indagare sull'”impatto” di questi centri sull’accesso delle donne ai “servizi di assistenza sanitaria riproduttiva e sessuale”. «Tutto ciò smentisce la caratterizzazione “pro-choice” che il movimento per i diritti dà di se stesso – nota bene il Wsj -. Nessuna donna è costretta a recarsi in una di questi centri, dove più di 10 mila medici professionisti autorizzati hanno lavorato o offerto volontariato nel 2019 (dati Charlotte Lozier Institute). Oltre a fornire servizi di ecografie e test di gravidanza, i centri aiutano le donne a ottenere forniture e consulenza». Ma «accesso alle interruzioni di gravidanza per tutti, senza giustificazioni» è diventato il nuovo mantra dei liberal americani: dall’Illinois alla California, dal Colorado a Washington, gli stati fanno a gara per apparecchiare il “futuro post Roe” e diventare gli hub dell’aborto per tutto il paese.

Resta l’intoppo, i giudici “conservatori”, i partecipanti alle messe, i centri di aiuto alla vita. Alleato formidabile, insieme alle piazze che lanciano bombe incendiarie e alle “ancelle” dell’aborto deputate a interrompere le funzioni religiose, la stampa americana. Dopo aver diffuso gli indirizzi delle abitazioni private dei sei giudici e organizzato picchetti davanti alle loro case, nessuno è insorto quando gli attivisti capitanati dall’agguerrito collettivo Ruth Sent Us hanno invitato gli americani a «dare voce alla propria rabbia» davanti alla chiesa e alla scuola dei bambini di Amy Coney Barrett. Il tutto subito dopo l’arresto per tentato omicidio di Nicholas Roske, il 26enne che ha viaggiato armato dalla California fino al Maryland per uccidere Brett Kavanaugh.

E sel’assalto a Kavanaugh fosse accaduto a RBG?

Immaginate di essere nel 2015, scrive Brendan O’Neill, immaginate il giudice Ruth Bader Ginsburg difendere l’autonomia del corpo delle donne e rilasciare interviste per il diritto all’aborto sicuro. Immaginate gli attivisti prolife che «si presentano a casa di Ginsburg e sventolano cartelli. Gridano “Vergogna!” mentre Ginsburg si nasconde all’interno. Alla fine se ne vanno, ma un agitatore pro-vita si sente così eccitato dalla furia anti-Ginsburg che decide che deve uccidere la giustizia malvagia e assassina di bambini. Va a casa sua con fascette, spray al peperoncino, martello, nastro adesivo e una pistola. L’unica cosa che gli impedisce di compiere il suo atto atroce è la presenza di due marescialli nei pressi della residenza di Ginsburg. L’aspirante assassino se ne va, amareggiato di non essere stato in grado di massacrare un giudice per le sue opinioni politiche».

Cosa sarebbe successo allora? Forte si sarebbe levata la condanna di tutti i media del mondo occidentale, condanna di un attentato alla vita di un giudice colpevole di essere pro-aborto. Sarebbero fioccati gli editoriali, il tracciamento dei collegamenti tra attivisti pro-life e attentatore. Si sarebbe parlato di “terrorismo interno”. Ma nel caso di Kavanaugh, «dov’è l’analisi, lo tsunami di editoriali, la rabbia e la preoccupazione dei social media? Il genere di cose che sarebbe senza dubbio seguito a un presunto tentato omicidio se l’obiettivo fosse stato Ruth Bader Ginsburg o Hillary Clinton o chiunque altro i media liberal ritengano sieda dalla parte giusta della storia?».

La violenza delle piazze e delle élite

La verità è che «quando si parla di violenza politica, c’è sempre uno straordinario doppio standard» continua O’Neill: «Se un atto di violenza serve alle narrazioni dell’élite woke sulle gerarchie dell’oppressione e sul flagello della bianchezza e sui pericoli della retorica di destra, verrà fatto esplodere. Se non lo è, non lo sarà. L’atto stesso (e le sue vittime) conta solo nella misura in cui può essere sfruttato per fortificare il dominio morale delle nuove élite. Questo è il vero motivo per cui il presunto tentato omicidio di Kavanaugh è stato “abbandonato” dai media uscendo dal radar politico, perché non è utile . Al contrario, è un evento problematico poiché minaccia di complicare le narrazioni semplicistiche che sono alla base del consenso dell’élite».

A Washington da giorni ci si imbatte nel volantini che invitano alla “notte della rabbia”, «per i nostri oppressori: se gli aborti non sono sicuri, non lo siete nemmeno voi. Jane’s Revenge». È solo questione di ore.

Foto Ansa

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