Abbronzatevi con questo: “Orientarsi con le stelle” di Raymond Carver

Di Daniele Ciacci
14 Agosto 2012
La raccolta completa delle poesie di Raymond Carver, il prosatore americano scomparso a cinquant'anni per un cancro, che ricorda a tutti che in mezzo alla realtà c'è il desiderio di «salvare / le nostre anime immortali».

Che Raymond Carver si dedicasse parzialmente alla poesia è risaputo. Ma rispetto a quegli autori cui le origini poetiche sono state sopraffatte dalla scrittura in prosa, perché più attinenti alla propria sensibilità, Carver mostra un’oculata capacità letteraria pure nello stendere versi. Come diceva William Faulkner: «Sono dell’opinione che ogni scrittore all’inizio voglia essere poeta», ma si può dire che in Carver questo passaggio non fu cronologico. Non c’è stato un tempo della poesia e un tempo della prosa. C’è stato un tempo in cui Carver è semplicemente diventato Carver, lo scrittore che conosciamo, dedito alla pesca, alla moglie Tess, ai racconti, non più annebbiato dai fumi dell’alcol.

La casa editrice romana “minimum fax”ha il merito di aver pubblicato a più riprese l’opera in versi dell’autore americano. Prima con Blu Oltremare e con Il nuovo sentiero per la cascata, poi con Orientarsi con le stelle (17,50 euro, 553 p.), la silloge completa delle sue fatiche poetiche. Unica pecca dell’edizione capitolina – insieme alla mancanza di testo a fronte inglese – è la traduzione del titolo originario: All for us, tutto è per noi. Un titolo che fa trasparire un significato più profondo e meno impressionista di “Orientarsi con le stelle”, che raccoglie tanta parte dell’universo immaginativo di Carver senza però tirarne le fila, senza sintetizzarlo. Rimane, comunque, un peccato perdonabile, anche perché i suoi testi stupiscono ed è questo ciò che conta, alla fine.

Stupisce il sentimento del mistero, qualcosa di vivo tra le pieghe del quotidiano: «ma siamo / pescatori di salmoni. E ora piantiamo i piedi / nella neve e nei sassi e / risaliamo la corrente, / piano, pieni d’amore, verso le pozze tranquille». C’è il fiume, su cui amava affacciarsi e osservare il tragitto dei pesci. Superato l’alcolismo, Carver appena sveglio, dopo il caffè, aveva due programmi: scrivere o pescare. In pari misura queste due attività incidevano nella sua poesia: «M’ha assalito la paura di quel che non vedevo. / Poi, di tutte le cose che mi riempivano lo sguardo- / l’altra riva densa di rami / il bordo scuro della catena di monti alle mie spalle. / E questo fiume che d’un tratto / era diventato nero e vorticoso. / Ho trattenuto il fiato e ho lanciato lo stesso. / Pregando che niente abboccasse».

Gli esperimenti poetici di Carver non sono dilettantismo. Nemmeno se si presentano con quella patina di prosaico che può stizzire i palati più fini, più ermetici, più dediti all’evocazione che all’invocazione. Invocazione che poi si trasforma in preghiera, perché Carver – sebbene non credente – non riusciva a non scorgere nel reale una promessa di compimento che ha da compiersi: «Tutti noi, tutti, tutti / cerchiamo di salvare / le nostre anime immortali, certi modi / a quanto pare sono più / complicati e misteriosi / di altri. Ci stiamo / divertendo qui. Ma speriamo / che ci sarà rivelato tutto, presto».

@danieleciacci

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