
La preghiera del mattino
A chi piace (e a chi no) l’idea di un’Europa più “draghiana”

A partire da giovedì 14 settembre “La preghiera del mattino” di Lodovico Festa diventerà un contenuto riservato agli abbonati di Tempi, che la riceveranno in anteprima ogni giorno dal lunedì al venerdì via newsletter. Abbonati subito per non perderti neanche una puntata della rubrica!
* * *
Su Huffington Post Italia Alberto Quadrio Curzio scrive: «Draghi ritiene che il ritorno al Patto di stabilità e di crescita vecchio stile con qualche aggiustamento non solo non sia risolutivo, ma sia anzi dannoso. Ciò non significa che gli Stati possono spendere liberamente e indebitarsi. Le regole del bilancio e di finanza pubblica che gli Stati membri devono e possono rispettare richiedono infatti che a livello europeo ci sia una capacità di investimenti e di entrate per dare l’impronta di lungo periodo allo sviluppo. Non si possono affidare ai singoli Stati, vincolati anche dai limiti degli aiuti pubblici e scoordinati, compiti per affrontare sfide epocali. Draghi rinnova implicitamente il suo apprezzamento per il Next Generation Eu e per i Pnrr, ma anche per l’emissione di Eurobond da 750 miliardi garantiti dal bilancio europeo. In altri interventi più focalizzati sul Next Generation Eu ha espresso convintamente il suo pieno sostegno ai Pnrr, ma questo non è l’argomento della sua attuale presa di posizione. Cruciale è l’affermazione di Draghi secondo il quale se l’Europa portasse a livello federale parte delle spese d’investimento indispensabili per perseguire gli obiettivi condivisi odierni, l’Europa potrebbe arrivare a un equilibrio nello sviluppo, e non nel regresso o nella stagnazione. Due sarebbero infatti gli effetti complementari. Il primo è che “la spesa e l’indebitamento federali condurrebbero a una efficienza maggiore e a uno spazio fiscale maggiore, poiché i costi aggregati di indebitamento sarebbero inferiori”. Il secondo è che “le politiche fiscali nazionali potrebbero a quel punto essere più mirate, concentrarsi sulla riduzione del debito e sulla costituzione di riserve per i tempi peggiori. Regole fiscali più automatiche diventerebbero quindi praticabili”».
Quadrio Curzio analizza il recente intervento di Draghi sulla crisi dell’Unione Europea.
* * *
Su Startmag Francesco Damato scrive: «Iscrivere, sia pure figurativamente, Draghi ai fratelli e sorelle d’Italia e definirne la sortita “un assist” al governo Meloni – che certamente di aiuti avrebbe bisogno, per carità, sia per la complessità dei problemi sul tappeto sia per le fibrillazioni all’interno della maggioranza anche nella prospettiva delle elezioni europee dell’anno prossimo – lo trovo ingiustamente riduttivo. Direi anzi pericolosamente riduttivo, essendo ormai l’ex presidente della Banca centrale di Francoforte e del Consiglio, per non parlare dei suoi incarichi precedenti, una risorsa dell’Italia e, più in generale, dell’Europa. E pazienza se non sarà d’accordo il solito Marco Travaglio del Fatto quotidiano, che lo ha scambiato per un incompetente, o quasi, fatta eccezione per gli affari bancari, e soprattutto per un usurpatore avendo a suo tempo sostituito a Palazzo Chigi quella specie di Camillo Benso di Cavour reincarnato in Giuseppe Conte: l’avvocato di ritorno “del popolo” che contende alla segretaria del Pd Elly Schlein, fra un incontro e l’altro nelle piazze e feste d’Italia, la guida dell’opposizione e della sinistra».
Una risorsa come quella di Draghi va tutelata non immiserendola nel solito piccolo cabotaggio della nostra politica nazionale. Però l’osservazione di Damato sugli spazi che l’intervento draghiano ha aperto per la Meloni è corretta.
* * *
Sulla Zuppa di Porro Luigi Bisignani scrive: «Chiuse le porte del Quirinale, per Super Mario si potrebbe dunque aprire il portone della vera gloria pacificando finalmente la politica italiana».
Bisignani argomenta in modo un po’ barocco sulle sintonie tra Matteo Renzi e Mario Draghi. Nei ragionamenti bisignaneschi vi è più di un’osservazione acuta. Mi pare però che un eventuale asse Matteo-Mario possa funzionare, anche per stabilizzare la nostra politica nazionale, più in Europa che in Italia. L’idea di un Draghi presidente del Consiglio europeo, circolata in queste settimane, che rafforzi il rapporto Bruxelles-Washington, e rappresenti le forze più atlantiste del continente (dall’Italia alla Polonia, all’area cosiddetta anseatica che dall’Olanda arriva all’Estonia) grazie a “liberali” più legati all’anglosfera di quelli oggi egemonizzati da Emmanuel Macron, forse è un po’ arzigogolata, ma non irrealistica. E certamente aiuterebbe a stabilizzare la nostra situazione politica.
* * *
Su Dagospia si riprende un articolo di Emanuele Lauria per La Repubblica dove si scrive: «E un eventuale risultato negativo, per Franco, non farebbe che cristallizzare l’assenza dell’Italia nelle autorità economiche europee. Il tricolore non sventola più sui palazzi dell’Ue. È una storia, va detto, che comincia anche prima dell’insediamento di Meloni. Ma di certo, con l’esecutivo di destra, non c’è stato un lavoro di costruzione di relazioni tale da premiare il paese nelle nomine».
All’asse tecno-burocratico che anche grazie alla diarchia franco-tedesca ha aumentato la sua già forte presa sull’Unione Europea dopo il 2008-2011, un’apertura troppo atlantica segnata da un ruolo centrale di Draghi non piace, da qui le resistenze a una candidatura alla presidenza della Bei ben più “draghiana” che “meloniana” come quella di Renato Franco. Mentre i popolari più intenzionati a un’alleanza con i conservatori, da Manfred Weber a Roberta Metsola, moltiplicano le aperture ai socialisti per non radicalizzare la transizione alla probabile nuova fase europea che potrebbe essere aperta dal voto europeo del giugno 2024.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!