A che serve fare appelli pro life se poi non si passa ai fatti?

Di Assuntina Morresi
15 Ottobre 2020
Aggiornamento protocolli sulla Ru486 in Umbria. Speriamo che la governatrice Tesei, dopo tanti tentennamenti, elabori linee guida adeguate

Il Centro per le Pari Opportunità (Cpo) della Regione Umbria si è pronunciato sull’aborto farmacologico, chiedendo alla Giunta Regionale di «procedere all’aggiornamento dei protocolli di somministrazione del farmaco Ru486 nell’esclusivo interesse di una maggior tutela della salute della donna, nel pieno rispetto della libertà di scelta e del principio costituzionale del diritto alla salute e che tale adeguamento avvenga nella piena e totale osservanza della Legge 194/78».

Quindi, se si volesse trarre una conseguenza logica da queste parole, il Cpo ha chiesto alla Giunta umbra di respingere le nuove linee di indirizzo del Ministro Speranza, che sono platealmente contro la Legge 194/78. Innanzitutto i consultori, dove secondo le nuove indicazioni si potrebbe effettuare l’aborto chimico, non sono nell’elenco delle strutture autorizzate all’Ivg secondo la Legge 194/78 (v. art.8). Né la legge prevede che si possa abortire al di fuori delle strutture stesse: quindi non è consentito di abortire a casa, come invece ipotizzano le medesime linee guida, quando fra i criteri non clinici per l’accesso al metodo indicano la verifica delle condizioni abitative della donna. E ricordiamo per chi abortisce al di fuori delle condizioni poste dalla L.194 ci sono fino a tre anni di reclusione come sanzione. Ancora, il Cpo chiede, giustamente, una maggior tutela della salute della donna, mentre le stesse linee guida mostrano che estendendo il limite dell’assunzione della Ru486 da sette a nove settimane, le complicanze raddoppiano (da 4, 5% a 8, 10%). Infine, che il metodo farmacologico sia peggiore di quello chirurgico è dimostrato dalle indicazioni nei confronti delle minori, per le quali si prevede il ricovero ordinario per l’aborto farmacologico: se veramente fosse un metodo migliore, meno invasivo, proprio le minori dovrebbero avere un accesso favorito.

Ma d’altra parte il Consiglio Superiore di Sanità si è ben guardato dal contestare alcunché dei precedenti tre pareri – sempre del Css, con diverse composizioni – su cui si erano basate le linee guida di 10 anni fa: ne ha invece confermato l’affermazione principale, cioè che il metodo chimico è di per sé incerto e non consente di prevedere se, quando e come avverrà l’aborto.

Speriamo quindi che la governatrice dell’Umbria, Donatella Tesei, colga l’invito del Cpo e agisca di conseguenza elaborando linee guida proprie e adeguate, dopo tanti tentennamenti: prima la promozione dell’aborto chimico (inizio fase 2 della pandemia) poi la cancellazione della delibera Marini e il ritorno al ricovero (inizio fase 3 della pandemia) per dichiarare infine di voler aderire alla lettera a quelle del Ministro Speranza.

Sicuramente queste ultime linee di indirizzo sull’aborto farmacologico potrebbero essere ignorate, senza alcun problema: su 20 governatori regionali ne sono stati eletti 15 di centrodestra, e le rispettive giunte potrebbero benissimo scrivere proprie linee guida sull’aborto con la Ru486, come fece l’Emilia Romagna dieci anni fa, disattendendo le indicazioni ministeriali e elaborando protocolli propri.

Ma sappiamo che solo il Piemonte ha fatto un primo passo in questo senso, grazie alla iniziativa dell’assessore Marroni di FdI: in quella regione l’aborto è vietato nei consultori e per il ricovero saranno i medici a decidere. Dalle altre regioni amministrate dal centrodestra, silenzio totale.

A che serve firmare appelli, proclamarsi paladini di vita e famiglia se poi non si passa ai fatti, quando è possibile, come adesso?

Che differenza c’è, nella sostanza, fra chi prende iniziative contro famiglia e vita, e chi non si oppone ma si adatta?

Ce ne ricorderemo.

Foto Ansa

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