A cento anni dalla morte di Péguy rileggetevi cosa scriveva sul padre di famiglia, «il vero avventuriero»

Di Charles Péguy
05 Settembre 2014
«C'è un solo avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel mondo moder­no: è il padre di famiglia. Gli altri, i peggiori avventu­rieri non sono nulla, non lo sono per niente al suo confronto»

Oggi è l’anniversario della morte dello scrittore francese Charles Péguy (Orléans, 7 gennaio 1873 – Villeroy, 5 settembre 1914), cui l’ultimo Meeting di Rimini ha dedicato un’importante mostra e un’intervista al filosofo francese Alain Finkielkraut
Qui di seguito vi proponiamo la lettura di un brano appartenente a Véronique. Dialogo della storia e dell’anima carnale, dedicata al padre, il vero avventuriero.

C’è un solo avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel mondo moder­no: è il padre di famiglia. Gli altri, i peggiori avventu­rieri non sono nulla, non lo sono per niente al suo confronto. Non corrono assolutamente alcun perico­lo, al suo confronto. Tutto nel mondo moderno, e so­prattutto il disprezzo, è organizzato contro lo stolto, contro l’imprudente, contro il temerario,

Chi sarà tanto prode, o tanto temerario?

Contro lo sregolato, contro l’audace, contro l’uomo che ha tale audacia, avere moglie e bambini, contro l’uomo che osa fondare una famiglia. Tutto è contro di lui. Tutto è sapientemente organizzato contro di lui. Tutto si rivolta e congiura contro di lui. Gli uomini, i fatti; l’accadere, la società; tutto il congegno automatico delle leggi economiche. E infine il resto. Tutto è contro il capo famiglia, contro il padre di famiglia; e di conse­guenza contro la famiglia stessa, contro la vita di fami­glia. Solo lui è letteralmente coinvolto nel mondo, nel secolo. Solo lui è letteralmente un avventuriero, corre un’avventura. Perché gli altri, al maximum, vi sono coinvolti solo con la testa, che non è niente. Lui invece ci è coinvolto con tutte le sue membra. Gli altri, al maximum, si giocano solo la loro testa, il che non è niente. Lui invece mette in gioco tutte le membra. Gli altri soffrono solo per se stessi. Ipsi. Al primo grado. Lui solo soffre per altri. Alii patitur. Al secondo, al ven­tesimo grado. Fa soffrire altri, ne è responsabile. Lui solo ha degli ostaggi, la moglie, il bambino, e la malattia e la morte possono colpirlo in tutte le sue membra. Gli altri navigano a secco di vele. Lui solo, qualunque sia la forza del vento, è obbligato a navigare a piene vele. Tutti hanno vantaggio su di lui e lui non ha vantaggio su nes­suno. Si muove continuamente con i suoi ostaggi, in lungo e in largo tra quei terribili fortunali. Le cose che accadono, i guai, la malattia, la morte, tutto ciò che accade, tutti i guai hanno vantaggio su di lui, sempre; è sempre esposto a tutto, in pieno, di fronte, perché navi­ga su una larghezza immensa. Gli altri scantonano. So­no corsari. Sono a secco di vele.

Ma lui, che naviga, che è obbligato a governare la nave su questa rotta immen­samente larga, lui solo non può assolutamente passare senza che la fatalità si accorga di lui. E allora è lui che è coin­volto nel mondo, e lui solo. Tutti gli altri possono infi­schiarsene. Lui solo paga per tutti. Capo e padre di ostaggi, anche lui stesso è sempre ostaggio. Che impor­ta agli altri di guerre e rivoluzioni, guerre civili e guer­re straniere, l’avvenire di una società, ciò che accade alla città, la decadenza di tutto un popolo. Non rischia­no mai altro che la testa. Niente, meno di niente. Lui invece non solo è coinvolto dappertutto nella città pre­sente. Dalla famiglia, dalla sua razza, dalla sua discen­denza da quei bambini è coinvolto dappertutto nella citta futura, nello sviluppo ulteriore, in tutto il tempo­rale accadere della città. Si gioca la razza, si gioca il popolo, si gioca la società, mette come posta la società. Si gioca (tutta) la città, presente, passata, a venire. Tale è la sua posta in gioco. Gli altri scantonano sempre. Sono carene leggere, sotti­li come lame di coltello. Lui è la nave grossa, pesante bastimento da carico. È il luogo d’appuntamento di tutte le tempeste. Tutti i venti del cielo congiurano e si mettono d’accordo, si abbattono da tutti gli angoli del cielo, accorrono e si intersecano da tutti i punti del­l’orizzonte per assalirlo. Lui scopre alla sorte, alla for­tuna, alla sfortuna che vigila, alla fatalità una larghezza (di spalle) (su cui abbattersi), una superficie, un vo­lume incredibile. Non è coinvolto solo nella cit­tà presente.

È coinvolto dappertutto nell’avvenire del mondo. E anche in tutto il passato, nella memoria, in tutta la storia. È assalito dagli scrupoli, straziato dai rimorsi, a priori, (di sapere) in che città di domani, in quale ulteriore società, in quale dissoluzione di tutta una società, in quale miserabile città, in quale deca­denza, in quale decadenza di tutto un popolo lasceran­no, consegneranno, domani, stanno per lasciare, entro qualche anno, il giorno della morte, quei bambini di cui i padri  si sentono così pienamente, così assoluta­mente responsabili, di cui sono temporalmente i pieni autori. Quindi per loro nulla è indifferente. Niente di quello che succede, niente di storico è per loro indiffe­rente. Soffrono di tutto. Soffrono dappertutto. Solo loro hanno esaurito la sofferenza temporale, tutto il dolore di chi vive nel tempo. Chi non ha mai avuto un bam­bino malato non sa cosa sia la malattia. Chi non ha perso un bambino, chi non ha visto morto il suo bambino non sa cosa sia il dolore. E non sa cosa sia la morte. E, coinvolti da ogni parte nelle sof­ferenze, nelle miserie, in tutte le responsabilità, sono tutti  ingolfati nell’esistenza, sono pesanti e impacciati, sono goffi, impediti nelle manovre; sembrano deboli e vili; non solo lo sembrano; sono deboli, sono vili, sono codardi. Nella manovra. Capi responsabili e appesanti­ti, carichi e responsabili di una banda di prigionieri, prigionieri essi stessi, carichi, responsabili di una banda di ostaggi, ostaggi essi stessi, non fanno un passo che non sia vigliacco, sembrano, sono circospetti, sono prudenti, non fanno una mossa che non sia sconcertante. E tutti li disprez­zano e, quel che è peggio, hanno ragione a disprezzarli. Gli altri scantonano sempre. Non hanno bagagli. Vili, scantonano con districamenti politici. Coraggiosi scan­tonano con districamenti eroici, con districamenti d’au­dacia. Temporali, scantonano verso la carriera e le domi­nazioni temporali. Spirituali, scantonano, si defilano verso le osservanze della regola. Storici, scantonano verso le carriere della gloria. Riescono sempre, sia nella regola, sia nel secolo.

II padre di famiglia è solo, e condannato a non riuscire affatto. Non può mai scanto­nare. Deve sempre passare in tutta la sua larghezza. Ed è molto semplice, non ci passa. Non ci passa mai. Non passa da nessuna parte. Non riesce né nella regola né nel secolo. Non riesce nella regola, la regola si oppone. Prima di cominciare. Non riesce nel secolo. Il secolo si oppone prima, durante, dopo. Non riesce nella poli­tica e non riesce nell’audacia… È troppo grosso. Ha tutta la famiglia attorno al corpo. È come la donnola di La Fontaine, ma dopo che è ingrassata. Ha socialmente un grasso, un tessuto adiposo sociale, che lo rende inadatto alla corsa. Ora, temporalmente tutto non è altro che corsa, non è altro che concorso e con­correnza. Gli altri corrono, intanto, gli altri arrivano, quelli magri, fini, sottili, socialmente scarichi, sgombri di bagagli. Così tutti lo disprezzano; in sua presenza, tra di loro, lo schermi­scono; sordamente, involontariamente congiurano con­tro di lui. Più di tutti gli altri, lo disprezzano i preti. Perché hanno questo (di bello), quando si accaniscono su qualcuno, ci si riaccaniscono di preferenza. Prefe­renzialmente. E quello che chiamano la carità.

Bisogna sottolineare attentamente che la vita di famiglia è la vita più impegnata nel secolo, la vita meno conforme, la meno simpatica, la meno affine alla regola. Vuol dire lasciarsi prendere, lasciarsi ab­bindolare dalle apparenze più grossolane, commettere l’errore più smaccato, e anche naturalmente il più co­mune, l’errore più frequente, quello di dire che la vita pubblica è vivace, e la vita di famiglia è silen­ziosa, e la regola, la vita regolare è anche lei silenziosa; e quindi la vita pubblica è non ritirata, e la vita di fa­miglia è ritirata, e la regola, la vita regolare è anche lei ritirata; e concluderne, credere, che sia la vita di famiglia che è vicina alla vita di regola, apparentata alla vita di regola, e che sia la vita pubblica che se ne è allontanata. Questo è lasciarsi prendere dalle più grossolane apparenze. È diame­tralmente il contrario.

La vita di famiglia è agli antipodi della vita della regola. Nessun uomo al mondo è coin­volto nel mondo, nella storia e nel destino del mon­do quanto l’uomo di famiglia, tanto quanto il padre di famiglia, così pienamente, così carnalmente. L’uomo pubblico invece, il vir politicus, non è affatto coinvolto nel mondo, non è affatto coinvolto nella storia e nel destino del mondo. Cosa importa all’uomo politico, al demagogo, al tribuno, all’oratore, al legislatore, all’eloquente, anche all’uomo politico serio, all’uomo pubblico, all’uomo di Stato, all’uomo di governo, (e a maggior ragione) al capo di partito (come tali), cosa importa al militare e al giudice, al generale e al presidente di corte e al presidente di camera, (come tali, come tali), che importa come tali al funzionario e al magistrato, al generale, al deputato, al senatore, al giornalista, al pubblici­sta, all’esattore, e all’usciere del ministero, cosa importa al signor sindaco; cosa importa come tale a ogni uomo pubbli­co delle sorti della città presente, le sorti ulteriori, la destinazione e il destino; cosa gli importa di cosa sarà di questo popolo, cosa faremo di questo popolo; vi sono coinvolti solo con la testa e qualcuno con la gloria; al massimo con l’onore, quando ne hanno: niente, meno di niente. Non ci rischiano che la testa, al più, al maximum; al meno, di solito l’avanzamento, la carriera, al più del meno l’apice; miserie. Gloria tem­porale, onore temporale; niente, meno di niente. Avan­zamento temporale, carriera temporale, apice temporale, testa temporale; miserie. E le gioie e le miserie del dominio. E le gioie e le miserie del denaro. Ecco tutto quello che si giocano. Come tali. Se intanto, se insieme sono padri di famiglia, cosa estremamente rara, l’ope­razione è tutta diversa, il comportamento e l’azione pubblica è tutta diversa, tutta diversa la situazione anche per così dire topografica, geografica, demogra­fica. Cosa importa loro, come tali, una rivoluzione, una guerra civile o straniera, un sabotaggio di tutto un po­polo. Una diminuzione, una decrescita; una perdita, forse irrimediabile; una decadenza, forse irreparabile, irrevocabile. Tutt’al più si giocano, nel temporale, una gloria del loro nome, la gloria, ulteriore, l’onore o il discredito sul loro nome. Di solito questo tipo di con­siderazione li lascia abbastanza freddi. Sono abba­stanza poco sensibili a considerazioni di questo tipo. Di solito.

Solo il padre di famiglia mette in gioco, rischia, impegna infinitamente di più nella destinazione del mondo, nel secolo, nella destinazione di tutto un popolo; nel futuro di una razza. Nel destino di tutto questo popolo, nell’avvenire di questa razza impegna tutto, mette tutto, la sua carne e di più; si gioca la razza, si gioca davvero il popolo, si gioca la sua discendenza. II solo padre di famiglia, il padre di famiglia da solo. Ed è un pover’uomo. Tormentato da scrupoli, assalito, invaso, tormentato da rimorsi, per crimini che non ha affatto commesso, che non commetterà mai, che altri mille, che tutti gli altri commetteranno, sente oscura­mente, molto profondamente, che è lui, in effetti, che è lui davvero il responsabile. Perché è padre di famiglia. È uno dei casi più significativi che ci siano di responsa­bilità senza colpa, di colpevolezza senza colpa. Eppure di responsabilità reale, di colpevolezza reale; comune; misteriosa; di fatalità, anche; infinitamente più profonda; segreta; in comunità, in comunione; con la crea­zione con (tutto) il mondo; infinitamente più grave delle nostre proprie responsabilità, personali, particola­ri, limitate, note, individuali e collettive; infinitamente più profonda; infinitamente più vicina alla creazione stessa; e quasi (oscuramente ce ne accorgiamo), quasi infinitamente più giusta, attinente alla creazio­ne stessa, al mistero, al segreto della creazione; una col­pevolezza, allora, infinitamente più seria delle nostre colpevolezze propriamente criminali.

Per il padre di famiglia (questo è lo stato, costante, uno stato situazionale; è la sua stessa patente, la sua condizione ab urbe condita, una volta fondata la famiglia. È la sua stessa definizione, il pane di tutti i (suoi) giorni, il cruccio delle sue notti. È il midol­lo, stesso, della sua vita, il segreto della sua esistenza, la sua regola interiore, la sua regola esteriore, la regola del suo secolo, la sua regola di secolo. Ed è un pover’uomo; innocente criminale; innocente responsabile; innocente colpevole; innocente assalito da scrupoli; innocente tormentato dai rimorsi; legato, incatenato da ogni parte, mani, piedi, da tutti i lacci, da tutte le catene, è lui, amico mio, è lui, e lui solo, che ha le relazioni peri­colose; confuso, prigioniero, ostaggio, manette alle ma­ni, ganasce ai piedi, capo, responsabile dei prigionieri, capo, responsabile degli ostaggi, fa pena, è esposto a tutto, ai quodlibet, alle ingiurie, al peggio di tutto: a una sorta di riprovazione, di malevolenza universale, di presa in giro, di tacita ingiuria, (peggiore, infinitamen­te più grave di quella formale), perché se è così tacita, se può essere così sottintesa, come se andasse da sé, per così dire; non vale la pena di parlarne, perché tutti lo sanno bene; è una cosa intesa, senza che ci si pensi, una cosa alla quale tutti consentono, a cui tutti danno la mano. È infinitamente peggio di una cosa infinitamen­te concertata, che una cosa universalmente concertata. È una cosa universalmente non concertata. Così è infi­nitamente meno demolibile. Una cosa che va da sé. Che si sappia. Allora tutti ci calpestano sopra.

Allora, rin­galluzzito, anche il prete ci calpesta sopra. Clericus. Il sacerdote se ne accorge bene, un istinto di casta lo av­verte, uno degli avvertimenti, uno degli istinti più si­curi, uno degli istinti più infallibili, un segreto orgo­glio infallibile lo avverte che è lui il nemico, il più lontano, il più straniero, che l’uomo di famiglia, che il padre di famiglia è l’uomo più lontano dalla regola e dalla clericatura, l’uomo del mondo più coinvolto nel mondo, un istinto segreto lo avverte che lui è infinita­mente più vicino al pubblico peccatore; e reciproca­mente; che il tribuno, l’oratore, l’eloquente, l’uomo della tribuna è infinitamente più vicino all’uomo del pulpito, infinitamente più imparentato all’uomo del pulpito, che l’uomo del meeting, della pubblica riunio­ne è infinitamente più vicino all’uomo della predica e all’uomo del sermone; più pronto, per l’uno e per l’al­tro, sia per diventarlo, sia per subirne l’effetto, sia insie­me l’uno e l’altro, che sono dello stesso genere, che si passa comodamente e quasi continuamente dall’uno all’altro, che c’è tra loro un’intesa, interna, un accordo segreto, una somiglianza, almeno di modo, e in più che appartengono allo stesso mondo; e per la regola che il celibe, l’uomo libero, il non prigioniero, il non ostag­gio, lo slegato, il non legato, l’inlegato, il mai legato, lo scantonatore, il pié leggero, il corridore, il bombarolo, il festaiolo, l’uomo all’erta è infinitamente più vicino; e più pronto, più disponibile; che lui piace di più; che con lui ci si capirà meglio, ci si intenderà sempre. E poi è lui che è un personaggio gradevole. Il padre di fami­glia è un povero essere. Tirar su solo tre bambini, pensa un po’. Che grottesco, che ridicolo. Tutte le forze della società sono congiurate, si congiurano contro una cosa del genere. Ora, il sacerdote è una forza della società, fa parte delle forze della società. Allora tutti calpestano il padre di famiglia. Allora il sacerdote, ardi­to, lo calpesta. Non ha che indulgenza, e che indulgenze, per tutti gli altri. Si crede di solito che il celibe, l’uomo senza famiglia è un uomo di fortuna(e), un avven­turiero, che vive di avventure.

Invece è l’uomo di fami­glia che è un avventuriero, che vive non solo alcune avventure, ma una sola, una grande, un’immensa, una totale avventura; l’avventura più terribile, la più costan­temente tragica; la cui vita stessa è un’avventura, il tes­suto stesso della vita, la trama e l’ordito, il pane quoti­diano. Ecco l’avventuriero, il vero, il reale avventuriero.

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29 commenti

  1. Filomena

    @Aldo Cannavò
    Del tuo ragionamento condivido solo il tuo “distacco” dal denaro. Per me non è mai stato la leva per prendere le decisioni più importanti. Sono abituata a fare le cose che ritengo giuste anche se fuori dagli schemi qualunque cosa rappresentino. Credo che le cose non si debbano fare solo perché questo impone determinati ruoli compresi quelli indicati nel modello descritto nell’articolo. La famiglia tradizionale come la intendi tu non mi appartiene. Per me la famiglia è un luogo di incontro tra due persone che si amano e che condividono la vita rispettando le aspirazioni di ognuno. I figli ci possono essere a completamento di una Unione ma è anche possibile completarsi a vicenda. Quello che conta è accettarsi per come si è e amarsi per questo. So che tu non condividerli ma se una persona non si realizza pienamente secondo me non ha nulla da dare agli altri, in primis ai figli e bada bene non parlo di denaro.
    Spero che apprezzerà la sincerità come io apprezzo la tua anche se non potrei mai fare le tue scelte di vita.
    Ps. Mi vengono i brividi a pensare come dai per scontato che il ruolo delle donne debba essere solo in famiglia, per fortuna oggi la maggior parte di noi ha abbandonato questo modello che appartiene a un passato fatto di discriminazioni e dipendenza dagli uomini.

  2. Aldo Cannavò

    Dio situa il padre di famiglia al vertice della sua creazione poichè diventa socio con lui ogni volta che mette al mondo un figlio.Potrebbe creare direttamente ma preferisce servirsi di lui per fare una persona con un’anima immortale.Più figli l’uomo mette al mondo maggiore è la sua dignità e valore, poichè realizza il programma stabilito dal Creatore.Se la società capisse ciò aiuterebbe la famiglia nel modo dovuto,cellula essenziale che la compone, dalla cui integrità dipende l’integrità ed il benessere dello stato.

    1. Ale

      @Aldo Cannavo …ahahah ..Ma sei reale? Credi veramente in quello che dici?! E la donna che ruolo avrebbe secondo il tuo grande sapere??visto che è la donna a mettere al mondo un figlio e Non l’uomo!!! Patetico.

      1. Aldo Cannavò

        Ale, ti ho già risposto nel mio commento di pochi minuti fa.La madre non metterebbe al mondo nessun figlio se non ci fosse il concorso del padre. Continui a travisare la recensione di Peguy,che parla del padre,come avrebbe ugualmente parlato della madre.Il tessuto adiposo a cui si riferisce è il peso della famiglia,poichè se è numerosa costringe la madre a fare davvero la madre,senza pesare sui suoi genitori o pagare estranei che allevino i suoi figli.Il ruolo della madre è il maggiore e più nobile che esista perchè da lei dipende lo svilippo psichico e morale di futuri costruttori della società.Anche se oggi non è valutato poichè si considera la persona in base a ciò che guadagna, non in base al suo ruolo.Se hai amici disoccupati dì loro che debbono ringraziare tutte le lavoratrici che hanno rubato loro il lavoro.Molte di loro preferirebbero fare solo la mamma,poichè sono costrette a lavorare fuori casa ed in casa.Hanno però seguito il miraggio costruito dal capitalismo che ha bisogno di mano d’opera da sfruttare.Da vecchie capiranno d’aver sprecato la loro vita nel nome di una falsa libertà avendo rinunciato,per una piccola pensione, pure al calore di una famiglia che dia loro assistenza e consolazione.

        1. Ale

          @ Aldo Cannavo’ .. Hai scritto “SE HAI AMICI DISOCCUPATI DI’ LORO DI RINGRAZIARE TUTTE LE LAVORATRICI CHE HANNO RUBATO LORO IL LAVORO”.. Ti rendi conto di avere una Mentalità che si avvicina Molto a quella dell’Ayatolla’ ( o come cavolo si chiama) Komeini ?! Ho visto un documentario dove Donne Lavoratrici persero il lavoro con l’avvento di tale Despota in Favore di Padri di Famiglia ed una Volta Rimaste Vedove Dovevano Andare a Mendicare in Mezzo Alla Strada!!!!!!! O Sperare di Essere Sposate da un Parente del Defunto Marito!!!!! Che di fatto le Trattava in Genere come Mogli di Serie B o C non essendo Magari Più Giovani!!!!! Sei Di Una GRETTEZZA UNICA. E le donne che Non Possono o Non Vogliono Avere Figli o che si Dedicano Alla Ricerca Come la Grande Rita Levi Montalcini ?! Anche a Lei Avresti Tolto IL Lavoro????????? Per Darlo Ad Un Padre di Famiglia!!! Evviva la Meritocrazia. Per gente come te si dovrebbe vivere ancora nel medioevo. Mi Fai Orrore. Ma tanto. E aggiungo e’ grazie a uomini piccoli come te se le donne ancora oggi Non Hanno Leggi Che Le Tutelino di Più nel Mondo del Lavoro. Tu i Paesi del Nord Europa non li prendi come esempio, per te l’esempio e’ KOMEINI!!!!!!!

  3. Filomena

    Aggiungo che questo signore oltre ad essere una palla è lui, non sua moglie, un tessuto adiposo sociale a carico della collettività perché non sarebbe in grado neppure di provvedere a se stesso con questo piagnisteo.

  4. Laura

    Peguy e’ un figlio del suo tempo e con un temperamento radicale per cui i toni risultano un poco eccessivi e un poco drammatici.
    Se una madre di famiglia avesse dovuto esprimere gli stessi concetti al femminile probabilmente avrebbe detto le stesse cose con espressioni magari più rilassate e positive.
    Resta che il ruolo di genitore e’ veramente notevole e difficile, non sostenuto dalla società, con responsabilità, fatica e a volte sofferenze grandi
    I figli li porti nel cuore in ogni momento della giornata.
    Ma non credo che anche altri ruoli non possano comportare battaglie e avventure profonde.
    Pensiamo ad un politico che sia veramente responsabile e cerchi il vero bene dei suoi concittadini, non sarà la sua una strenua battaglia che toglie il sonno, magari di fronte a scelte difficili e terribili come la guerra?
    E ci sono tanti altri lavori in cui sei responsabile degli altri, non ci si può scherzare.
    E i sacerdoti? Dovranno rispondere di moltissime anime!
    Il povero curato D’Ars, prete per eccellenza, dormiva un’ora per notte per quanto era preso dalle cure delle anime!

    1. Ale

      Nella mia famiglia c’è stata una donna che, rimasta vedova con tre figli, non si è mai lamentata, si è rimboccata le maniche, dandosi all’allevamento di animali e alla vendita degli stessi, ed è riuscita a far laureare tutti e tre i figli negli anni trenta del secolo passato. Una donna tosta e battagliera, sempre fiduciosa delle proprie possibilità e francamente messa peggio di questo lamentoso scrittore, solo per il fatto di essere “donna” in un’epoca dove esser tale era molto svantaggioso. Mio nonno quando parlava di questa sua zia si inorgogliva e mi diceva di aver fiducia in me stessa perché tutto è possibile, basta crederci. Le scuole erano care, collegi lontani da casa e non esistevano rimborsi o aiuti dello Stato. Per questo motivo trovo il Signor Peguy di una palla allucinante.

  5. Ale

    Non sembra che a questo Peguy piaccia la famiglia..la percepisce come un’ancora che evita la navigazione verso lidi di piacere, o come un tessuto adiposo ingombrante che lo rende goffo e pesante insomma ne esce fuori la figura di uno “sfogato”, suo malgrado, che in qualche modo rimpiange la vita da single, ed invidia chi fa carriera o vita mondana, senza essere forzato a risparmiare per mantenere i figli. Ovvero un poco di ottimismo e felicità non traspare mai, ma solo rassegnazione ad abbracciare la croce ed andare avanti. Poi non stupiamoci se qualcuno “sclera” e ammazza tutti perché “i figli rimangono anche con il divorzio”. A me e’ venuto in mente l’ultimo folle che quest’estate ha ucciso moglie e figli con questo racconto. Di cristiano ci vedo solo la fase della via crucis..

    1. Aldo Cannavò

      Ale, Peguy sà bene ciò che dice.Se si vuole fondare una vera famiglia bisogna avere molti figli,poichè avendone solo uno o due difficilmente si può insegnar loro a non essere egoisti.Io ne ho avuto cinque,progettati con mia moglie appena sposati.Naturalmente con la decisione abbiamo fatto voto di povertà,poichè abbiamo accantonato il progetto di acquistarci la casa e rinunciato ad una vita agiata poichè mia moglie ha rifiutato impieghi allettanti per accudire in casa i nostri figli.Siamo pure stati derisi da certi furbi per la nostra ingenuità.Io mi vedo inquadrato in pieno nella mia vita del padre descritto da Peguy.Ora che siamo vecchi però,pur piangendo la perdita di un figlio di soli trentanove anni,capiamo di aver fatto la scelta buona perchè abbiamo la consolazione dei figli e dei nipoti,cosa che non possono avere gli sposi che hanno investito nella carriera e nel benessere, molti dei quali ora passano la loro vecchiaia in ricovero.

  6. dodi

    Questo pezzo è reale,pensate alla vita di tanti padri che lavorano per garantire un futuro migliore x i figli,pensate a quei padri che non dormono persi nel pensiero di non poter mantenere la famiglia,un uomo,un padre ha una responsabilità che porta sulle spalle da mattina a sera e la moglie condivide e supporta.Per fortuna ci sono ancora uomini così!non egoisticamente presi solo dall’effimero che il mondo offre…sono veri eroi,fatti di carne,non di silicone,io ne conosco!e ne vado fiera…..pensate ai vostri padri…

    1. giovanna

      Cara Dodi, sono d’accordo perfettamente con quello che dici.
      Tra l’altro è ovvia la contrapposizione che fa Peguy tra il padre di famiglia che è il vero avventuriero e un qualsiasi uomo, con funzioni anche pubbliche, che alla fine vive una vita molto meno avventurosa !

      Certo che ce ne vuole per vederci una contrapposizione con la donna !
      E’ un tema che c’entra come i cavoli a merenda !

      Rapportato ai nostri tempi, rimanendo essenziale quel padre di famiglia descritto, mi ci potrei identificare anche io come madre : la mia vita è decisamente avventurosa e piena di responsabilità !
      Molto più avventurosa di qualsiasi figura politica femminile !

      E comunque bisogna avere dentro almeno un po’ di poesia, uomini o dinne che si sia, per capire una simile poesia, se si è colmi di aridità non si riesce a capire !

      1. giovanna

        Caro Giuseppe, leggo solo ora il tuo intervento, direi che abbiamo colto una stessa sfaccettatura possibile !
        E d’altra parte, mi sono sempre ritenuta una persona, una donna anche, senza il minimo, che sia minimo, che sia minimo, ma minimo senso di inferiorità nei confronti del maschile, pur nelle indubbie e salutari, e direi anche benedette, differenze.

  7. Filomena

    Tutto l’impianto della religione cristiana si basa sull’assunto del peccato originale: la colpa del capostipite ricade su tutta la progenie per l’eternità. Successivamente il figlio si fa padre per riscattare sulla croce il peccato di Adamo Oggi se si pensasse di far ricadere sui figli le colpe dei padri, si griderebbe alla peggiore delle tirannie, nella cultura morale e giuridica moderna, infatti, la responsabilità è personale e individuale. Solo nelle culture arcaiche la responsabilità è tribale, razziale e ricade sulla comunità, finche la memoria dura. E spesso dura a lungo.
    Nel cristianesimo quindi la sofferenza è la conseguenza di una colpa che necessita di redenzione,conseguentemente l’esistenza che si compie su questa terra è vissuta solo come un transito. L’aspettativa del futuro (ultraterreno) lenisce il dolore. Chi oggi soffre domani sarà liberato dal dolore. Il dolore non appartiene alla vita, ma è capitato alla vita terrena a seguito di una colpa, e quindi come qualcosa di assolutamente separato dalla vita stessa. Ciò significa che la vera vita non è sulla terra, perché la vera vita non conosce il dolore, la vita per cui siamo nati non è terrena.
    Ciò comporta una svalutazione della vita terrena ”valle di lacrime” che , come dicono i profeti, trova la sua giustificazione nell’attesa di nuovi cieli e nuove terre”.
    Per questo, il dolore nella tradizione cristiana, non va solo sopportato ma anche amato.

    1. Aldo Cannavò

      Filomenna,il dolore non svaluta la vita terrena ma la arricchisce.Satana ha convinto Eva a mangiare la mela dicendole: per conseguenza conoscerai il bene ed il male.Non pensare che Eva fosse stupida,poichè Dio l’aveva create perfetta anche mentalmente.Ha solo preso una decisione,poichè aveva capito che avrebbe goduto pienamente il Paradiso solo se lo avesse conquistato.La Chiesa della sua decisione dice ” felix culpa” quindi la esalta.Colpa tanto più felice perchè ha per conseguenza l’incarnazione di Dio nella persona di Gesù,che dà all’uomo la dignità di avere un Fratello ed una Mamma divini.

  8. Valentina

    Questo brano è strutturato complessivamente in senso negativo. Particolarmente brutte le idee di “ostaggi”, “grasso”, “tessuto adiposo sociale” in riferimento a moglie e figli. L’autore è vissuto in un tempo diverso dal nostro e certamente le sue idee sono superate e inaccettabili ai giorni nostri. Ma secondo me si può trarne comunque una considerazione valida anche oggi: se una persona dovesse avere una visione così negativa della famiglia e della vita familiare farebbe molto meglio a non sposarsi. Evitererebbe di soffrire lui e soprattutto di far soffrire altri.

  9. Giuseppe

    È vero: questo pezzo è stato scritto molti anni fa, quando il modello di famiglia era molto diverso da quello attuale. Peguy non “proponeva” un modello di famiglia, ma descriveva quello che allora c’era. Bisogna provare a rileggerlo immaginando anche la “madre di famiglia” come avventuriera… O, ancor di più, la madre sola con figli a carico… Credo che forse questo pezzo lo si troverebbe ancor più attuale…

    1. Filomena

      Anche mettendo da parte il giudizio offensivo sulle donne che esce da questo modello di famiglia che probabilmente era rappresentativo dell’800, neppure l’idea complessiva di famiglia non ne esce molto bene, tanto per usare un eufemismo.
      E qui mi ricollego alla visione cristiano cattolica della vita e della società che qualcuno vorrebbe proporre anche oggi. Tra le varie opere di Peguy, mi chiedo perché Tempi è andato a scovare lo scritto peggiore, anche a fronte di altre opere di taglio diverso. È evidente che si vuole descrivere una visione mortificante della famiglia. Nessuno nega che la vita riserva anche situazioni negative di difficoltà, ma il dolore è la sofferenza non può essere un merito. Le difficoltà esistono, vanno affrontate insieme ma sono il rovescio della medaglia rispetto al piacere e alla felicità di stare assieme e di godere della vita. Perché bisogna sempre evidenziare l’aspetto mortificante e autoadesivo, cioè il bicchiere mezzo vuoto? È ovvio che in questo modo il matrimonio assume una connotazione negativa è sempre più passa l’idea che “chi me lo fa fare?” Vorrei far notare che NON siamo nati per soffrire e che il sacrificio non è un merito in se come sta alla base dell’insegnamento cristiano perché allora forse la vita non ha molto senso. Il sacrificio in molti casi è necessario e fa fatto ma non è mai una cosa positiva.

  10. Filomena

    @Gianluca
    Apprezzo la tua onestà intellettuale di riconoscere che il modello di famiglia proposto in questo articolo non corrisponde all’insegnamento cristiano e del resto anche una come me che non si riconosce nella morale cattolica capisco che quanto descritto va al di là di ogni dottrina. Mi chiedo dove sono le donne che commentano su Tempi e perché non una parola di sdegno per come vengono descritte qui le donne? Personalmente mi aspetto che la redazione si scusi per aver sostenuto queste tesi pubblicando il pensiero di un uomo delle caverne.Passi che Tempi sia conservatore ma stavolta ha esagerato.

    1. VivalItalia

      Filome sei esilarante …. chi te dipingeva quarche mese fa come na 16enne der centro sociale non se avvicinava nemmeno da luntano al ridicolo con cui te ricopri travisando e ideologizzando tutto ciò che commenti.. facce ride!

  11. gianluca

    Da futuro padre, cattolico, mi vengono in mente tre ipotesi: 1) l’articolo é una provocazione; 2) non ho capito quello che ho letto; 3) chi ha postato l’art non ha letto o non ha capito ciò che ha letto. Ne esce guori uno sfigato, piuttosto che un avventuriero. Menomale che c’é s.Paolo e il Catechismo, che a leggere sta cosa quassù mi viene la tristezza più becera. Filome’ questo non é l’insegnamento di Cristo, te lo assicuro.

    1. giovanna

      Caro Gianluca, perché non provi a dettagliare cosa ci sia di sconfortante in questo brano ?
      Non mi dire che non ti tremano le vene rispetto al passo che stai per fare, perché altrimenti per te la vedo proprio brutta, ma brutta.
      ( possibile che non cogli il senso dell’avventura del costruire una famiglia ? se non lo cogli ora, lo coglierai dopo un giorno dopo che ti sarai sposato , e anche quando avrai figli, altrimenti che ti sposi a fare, per meno di questo ? cosa credi, che seguire Gesù sia una passeggiata di salute ? ti ricordi, il centuplo quaggiù, anche in persecuzioni )

      1. Filomena

        @Giovanna
        Peccato che questa meravigliosa avventura di cui parli seguendo l’insegnamento di Cristo, per l’autore dell’articolo riguarda solo il capofamiglia. La moglie è “un tessuto adiposo sociale” a carico del marito. Prendo atto che condividi questo ruolo (anche se come donna mi rattrista sapere che altre donne hanno una cosí scarsa considerazione di sé) ma allora si coerente ed evita anche di aprire bocca, può farlo solo l’uomo.

    2. Aldo Cannavò

      Gianluca,hai travisato l’articolo. Se consideri il padre sfigato perchè fà sacrifici e lavora nell’ombra prendi un’abbaglio.Non esiste nessun successo senza sacrifici.Ti capisco perchè non sei ancora padre.Quando lo sarai,se sei davvero cattolico,non se credi solo di esserlo,come si credono tanti altri incoerenti comprenderai per esperienza quando esso riporta.Naturalmente ha solo parlato del padre.Se avesse parlato della madre avrebbe detto le stesse cose.Rallegrati perchè San Paolo ed il catechismo sono per la famiglia trattata dall’autore,non per quella di oggi ( per fortuna non tutte) che mostra i segni della sua decadenza,che provocano la decadenza della società.

  12. Filomena

    Ma un simile pezzo da museo, dove siete andati a trovarlo, risale al tempo della pietra? Scommetto che neanche nell’ ottocento quando è vissuto, le donne si lasciavano considerare come un grasso, un tessuto adiposo sociale, a carico del capofamiglia che le considerava suoi ostaggi. E comunque la dice lunga che Tempi proponga questo modello di famiglia e società nel 2014. Rendo noto che oggi non esiste più “un capofamiglia” ma due adulti che responsabilmente si fanno carico nella stessa misura di eventuali minori che hanno messo al mondo. Le donne poi non hanno bisogno di essere “a carico” di nessuno n’è tanto meno di rispondere a un capo. Stiano sereni questi uomini trogloditi, l’unica avventura di cui possono vantarsi è quella di provvedere a s’è stessi esattamente come le loro compagne o mogli per gli affezionati al matrimonio. Altre responsabilità escludendo quella dei propri figli al 50%, non ne hanno in famiglia e se in caso di malattia o bisogno uno dei due adulti si fa carico dell’altro temporaneamente lo fa unicamente perché ama la persona con cui condivide la vita, non perché è un eroe avventuriero. Questo articolo è una delle peggiori dimostrazioni di maschilismo becero.

    1. Aldo Cannavò

      Filomena, tu conosci la famiglia malata dei tuoi tempi e non puoi capire il valore dell’ articolo.Certamente il suo autore parla della famiglia di qualche generazione fa,quella dove i figli trovavano tutti gli elementi per una crescita fisica e morale.Per fortuna oggi ne esistono ancora tante che si sono conservate integre.Naturalmente in esse i ruoli di padre e madre sono complementari ed essenziali entrambi.Chi dava forza e senso era il vero amore, rivolto al ” tu”, non all’ “io”. Oggi si vorrebbe degradare la famiglia ad un’opportunità di star bene,basata solo sull’ io,quindi sull’egoismo.In questa famiglia alla prima crisi dei genitori esiste la separazione,cioè lo sfascio del programma naturale che la società ha bisogno per il suo benessere.Ritengo sbagliata la parola maschilismo,inventata per giustificare tante discrepanze delle famiglie malate.Non esiste superiorità fra i genitori nè dell’uno,nè dell’altro.Entrambi sono collaboratori del disegno meraviglioso del Creatore, che pure non comprendi perchè forse non sei credente.Diversamente avresti compreso che il Padre e la madre sono i veri eroi e costruttori della società.

      1. Filomena

        @Aldo Cannavó
        Io non sto contestando la famiglia in se è non sostengo nemmeno la famiglia egoistica perché quello che fa parlare del “tu” a cui ti riferisci sono i sentimenti che stanno alla base dell’Unione tra due persone. Prima di accusate le persone di egoismo nella famiglia, hai letto bene l’articolo? Se le parole hanno un senso non si può sostenere come hai fatto tu, che i coniugi sono sullo stesso piano e poi condividere quello che si sostiene che il marito è il capofamiglia e che la moglie è un tessuto adiposo sociale a carico dell’uomo. Se questo non è maschilismo, non saprei proprio come definirlo….anche perché mi entrerebbero. Ti consiglio di leggere molto bene l’articolo perché tra l’altro non credo che neanche questo “piangersi addosso” da parte del capofamiglia avventuriero, rientri nel vostro concetto di famiglia Cristiana, ma questo dal canto mio è secondario perché come hai detto tu io non seguo i precetti della tua fede e penso che se si ama veramente una persona con la quale si condivide la vita si è disposti ad aiutarsi vicendevolmente senza badare minimamente ai ruoli preconfezionati dalla religione o dalla natura se così preferisci chiamarla.

        1. Aldo Cannavò

          Filomena,l’articolo non definisce la moglie un tessuto adiposo.Parla solo dell’uomo.Se parlasse della donna farebbe pure a lei un encomio.Parlare di sacrifici non è piangersi addosso.Anzi la capacità di sacrificarsi,oggi molto rara,rappresenta un valore che onora chi la possiede.Il concetto cristiano della famiglia è condiviso in qualsiasi società,meno quella occidentale,che avendolo perso soffre la crisi familiare che tutti vediamo.Proprio perchè in certe famiglie si è perso il senso religioso della vita si è giunti al divorzio,con tutte le sue conseguenze nefaste,specie per i figli.Conseguenze che io conosco bene perchè sono stato volontario per decenni in un’istituto che si occupa di giovani provenienti da famiglie in difficoltà e lo sono ancora al servizio dei senza dimora come volontario dell’ Auxilium.L’ipocrisia della società stà nell’ ignorare questa piaga sociale, che considera una conquista,la quale contribuisce indirettamente al peggioramento della vivibilità di tutti,anche dei buoni genitori.

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